Finanziaria '97

Finanziaria '97: la stangata delle buone maniere

di Renato Strumia

E' opinione condivisa che il governo più europeista d'Europa abbia fatto il suo piccolo capolavoro. Nella prima mattinata di Venerdì 26 settembre oltre 300.000 metalmeccanici sfilavano sulle piazze italiane, nel loro primo sciopero generale dopo 6 anni e dopo lo storico accordo del 23 luglio '93. Alle 11,30 a Milano, poco distante dal luogo dove Faustino Bertinotti, già leader della Cgil Piemonte ed attuale segretario del Partito della Rifondazione Comunista, veniva acclamato dagli operai manifestanti, si chiudeva l'asta giornaliera sul telematico dei titoli di Stato. Mentre le quotazioni dei BTP e del mercato azionario salivano a livelli mai visti dall'inizio del 1994, i rendimenti netti sui titoli pubblici scendevano quasi generalmente al di sotto del sette per cento. Un altro pezzo dell'"anomalia italiana" se ne stava andando, forse per sempre.
Cos'era successo? Era successo che poche ore prima di quegli eventi il PRC aveva dato via libera alla supermanovra economica per entrare in Europa, vistando l'accelerazione impressa dal governo al ritmo del nostro rientro nei parametri di Maastricht. In poche ore una manovra annunciata per 32.000 miliardi nel Dpef di fine giugno è lievitata a quasi il doppio, sfruttando l'ennesimo colpo di scena intervenuto dall'esterno (in questo caso il vertice shock di Valencia con la Spagna che annunciava, a metà settembre, una sua "fuga in Europa" entro il 1998). Il governo olivastro non ha potuto rischiare la figuraccia e sfidare il tandem franco-tedesco sul diktat "integrarsi o perire": convocato d'urgenza il Faustino, si è impostata la quinta finanziaria da "lacrime e sangue" e ha buttato il cuore oltre l'ostacolo, sperando nel consueto stellone. I mercati l'hanno presa bene e fra qualche giorno si può sperare che anche Chirac ed Aznar capiscano. Tutti, si sa, sono impegnati in questi giorni a tagliare in casa propria e non sempre si trova il tempo di leggere i giornali: il governo tedesco sta tagliando l'indennità di malattia, il francese sta scippando il fondo previdenziale di France Telecom, il belga si sta vendendo l'oro, la Gran Bretagna sta "razionalizzando" la sanità, la Spagna sta tagliando i salari pubblici.
Certamente i soloni del nostro governo hanno messo insieme un piccolo capolavoro, depurando il doloroso complesso delle misure necessarie di tutti gli aspetti che, presi in sè, possono apparire singolarmente odiosi. L'abile mix di strategie di comunicazione e immagine, coniugato con una sottile conoscenza di tutti gli artifici contabili appartenenti al mondo del possibile, ha prodotto il paradosso di una manovra pesante come un macigno, ma articolata in modo assai calibrato. Veltroni, più Visco, più Ciampi, ed il gioco è fatto.
Il contenuto concreto della manovra è ancora tutto da verificare, ma si possono dedurre dei primi segnali. Un primo messaggio importante è stato: non si toccano pensioni e sanità. Sulla base di questo assunto, Rifondazione ha abbassato le armi e i Popolari abbassato la voce. Il governo si è conquistato un primo importante lasciapassare, abbassando il rischio di vedersi un'opposizione sociale in piazza e qualche franco tiratore in Parlamento. In realtà non è proprio così: l'intenzione di salassare dell'1% i baby-pensionati (intendendo per tali tutti quelli che hanno ottenuto la pensione di anzianità senza l'età anagrafica) non è affatto tramontata, anzi già si dà per scontato che torni nel dibattito alla Camera e che il PRC voti a favore. Idem per quanto riguarda le pensioni d'invalidità del passato regime. I tagli a previdenza e assistenza pesano per 6.102 miliardi, il 25% della spesa tagliata.
Il secondo messaggio del governo è stato: resta inalterata la pressione fiscale, che può salire tuttalpiù di mezzo punto, cioè, secondo Visco, una scorreggia statistica. Qui l'obiettivo è il Polo, che sogna piazze piene di bottegai e padroncini al grido di rivolta ed obiezione fiscale, come se fosse facile inventarsi una struttura di mobilitazione militante in queste categorie e sulla base di interessi sovente impresentabili. In realtà gli 11.000 miliardi di nuove entrate colpiscono settori ben precisi: arretrati Inps delle piccole e medie imprese, i meccanismi di elusione tramite le società di comodo, i fringe benefits come prestiti aziendali, ticket pasto e utilizzo auto. Anche il salario indiretto viene dunque toccato, mentre restano indeterminate almeno un terzo delle nuove entrate (4.285 mld. da stabilire entro dicembre)..
Il terzo messaggio del governo è che i 20.000 miliardi di tagli alla spesa rappresentano una semplice "razionalizzazione" degli sprechi, una limatura ai trasferimenti dello Stato agli enti pubblici come le F.S. e l'Anas (3.000 mld.), un miglior utilizzo dei fattori produttivi nel pubblico impiego. In realtà si blocca il turn over in gran parte dell'apparato statale, si tagliano le spese per il personale per 2.115 mld., la sanità per 1.200 mld., la finanza locale e regionale per 4.680 mld, i servizi di pubblica utilità per 2.340 mld., mentre si ribadisce la pluriennale politica di moderazione salariale nel settore pubblico. I dipendenti statali sembrano destinati a pagare il biglietto più caro per l'ingresso in Europa.
Il quarto messaggio è che la "tassa sull'Europa" va varata a fine anno e prelevata a inizio 1997, che sarà di 13.000 miliardi e che toccherà solo i redditi medio-alti, intendendo come tali tutti quelli superiori ai 20 milioni lordi annui. Si tratta, come è ovvio, di un'addizionale Irpef che colpisce la quasi generalità dei redditi da lavoro dipendente, in misura certamente modulata e progressiva, ma con inesorabile implacabilità nei confronti di chi ha una struttura trasparente del reddito. La quasi generalità del lavoro autonomo, al contrario, non ha nulla da temere.
Il quinto messaggio è che gli ultimi 12.000 miliardi arriveranno da maquillage finanziari, cioè riaggiustamenti di poste interne al bilancio dello stato, sulla falsariga dell'"esproprio proprietario" subito da France Telecom. Si tratta di una versione nostrana di quella "finanza creativa" che sembra furoreggiare tra i nostri europartner, ben felici di prendere buovi voti anche se hanno copiato il compito. Il messaggio vuol essere tranquillizzante (non paga nessuno, è solo un aggiustamento), in realtà alla vigilia erano circolate ipotesi poco chiare su un eventuale risucchiamento delle liquidazioni pubbliche e private. Insomma, vedere per credere.
Quello che ha immediatamente colpito tutti è invece il forte rincaro della tassazione sulla casa, su cui frenano, sin da subito, il Pds, il Prc e ampi settori del centro. Il taglio alla finanza locale costringerà i comuni ad alzare al massimo l'aliquota Ici, calcolata ora su valori catastali rivalutati del 10%, mentre l'innalzamento ai fini Irpef sarà del 5%. Essendo la casa un bene diffuso, tutto sembrerebbe risolversi con un occhio di riguardo per la prima casa, sotto forma di maggiori detrazioni per il proprietario non speculativo.
In sostanza, ci troviamo di fronte ad un rinnovato entusiasmo governativo per l'Uem, da farsi nel gruppo di testa. Il ciclo delle finanziarie si compie, con andamento perfettamente sinusoidale: un anno su e un anno giù. Nel 1992 maximanovra da 92.000 miliardi, nel '93 manovra soft da 28.000 mld, nel '94 nuovo shock da 48.000 miliardi, nel '95 rallentamento da 32.000 mld, nel '96 nuovo top a 62.000 miliardi. Lo "stop and go" del governo serve per non uccidere l'economia, ma resta tutta da dimostrare la tenuta e l'efficacia finale di questa baraonda di provvedimenti. Il successo del nostro atterraggio in Europa (la "catarsi" come l'ha definita Ciampi) dipende da una scommessa sui tassi, cioè sulla riduzione della spesa per interessi nel bilancio dello stato. Questa spesa conta ancora per un quarto sulla spesa totale, e supera di un terzo il disavanzo complessivo. Soltanto un pesante abbattimento di questo fardello permetterà un serio rientro, ed i mercati in questo momento sembrano d'accordo. Ma basterebbe uno starnuto della Fed, nella prossima riunione di metà novembre, che facesse pensare ad un rialzo dei tassi americani dopo la rielezione di Clinton per catapultare Oltre Atlantico masse ingenti di capitali, distruggendo ogni ipotesi di ribasso duraturo dei tassi in Europa. A quel punto, tutto verrebbe ridefinito. Sul piano della fiducia e del rischio paese, va poi attentamente valutato l'impatto, nel lungo periodo, di quelle 7 deleghe di riordino del sistema fiscale che si è fatto dare Visco. Ogni accenno a qualcosa che assomigli ad una patrimoniale fa venire l'orticaria ai fondi esteri e a tutti quelli che puntano sui buoni dello stato. Il discreto, ma continuo, trasferimento di capitali in Svizzera o Lussemburgo verificatosi subito dopo le elezioni di aprile può riprendere in forme ben più impetuose.
L'ultima e forse più seria variabile è l'andamento dell'economia reale e del Pil, che è al denominatore in tutti i parametri del trattato europeo. L'effetto recessivo dei provvedimenti della finanziaria è quasi certo: le famiglie italiane hanno un alto tasso di risparmio e tagliando gli interessi, cioè le cedole, si taglia anche il reddito disponibile. Se aggiungiamo l'insieme dei prelievi straordinari e la già esangue situazione dei salari abbiamo un'idea abbastanza chiara di quello che succederà ai consumi, alla produzione, all'occupazione.
Non è ancora scontato, insomma, che ad andare in Europa sia un cadavere in cammino, più che un paese capace di far vedere i "sorci verdi" ai suoi concorrenti/partner.
L'affidabilità finanziaria del governo può recare seri danni all'economia reale. Anche questa volta è possibile che venga costruito un fragile edificio di carta. Tuttavia va riconosciuto che i componenti del governo hanno molto "mestiere" e che faranno attenzione ad evitare i trabocchetti. La sinistra vera e l'opposizione sociale hanno davanti a sè un compito non facile, perchè rischiano oggi un serio isolamento culturale e politico, come poche volte si è verificato in questo paese. Se sapranno apprestare una risposta adeguata alla nuova situazione, avranno davvero realizzato qualcosa di straordinario.



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