Perché siamo incompatibili con questa CUB

Perché siamo incompatibili con questa CUB

CUB - Federazione Provinciale di Reggio Emilia

Quando entrammo nella CUB pensavamo di aver centrato un percorso tendente a una ricomposizione, mediante una pratica sindacale di lotta reale, del vasto arcipelago dell'autorganizzazione che allora cominciava ad esprimersi, sia pure con linguaggi e tecniche sindacali dissimili. Eravamo certi che il tempo fosse giunto per ricostruire un sindacato di base, portatore di progetti trasformativi della società e capace di mandare a casa CGIL-CISL-UIL. Eravamo, altresì, certi che la CUB potesse rappresentare, proprio per le sue caratteristiche costitutive, sancite da statuti, programmi e metodologia, un soggetto portante ed aggregante per tutti i segmenti dell'opposizione sociale diffusi nel paese. Infatti, i capisaldi su cui la CUB avrebbe dovuto costituire l'"altro sindacato" erano precisi e dirompenti nello stesso tempo e, soprattutto, puntuali e conflittuali nella loro realizzazione. La CUB si sarebbe fatta, secondo i promotori, per dare vita ad un sindacato antagonista a governo e padronato, indipendente dal quadro istituzionale e dai ceti politici, basato su una democrazia interna che riducesse al minimo il peso dell'apparato, con forti autonomie locali, portatore di valori a partire dalla battaglia per realizzare una democrazia effettiva nei posti di lavoro. Questi e solo questi erano i presupposti per i quali aderimmo alla CUB con quella coerenza che ci ha sempre contraddistinto nelle nostre situazioni.
Ebbene, questi presupposti decisivi e insindacabili, almeno per quanto ci riguarda, sono stati, nell'arco di una stagione, sistematicamente smentiti da una pratica sindacale istituzionale, da una metodologia burocratica e da una prassi interna di stampo autoritario. Tutto ciò ha trasformato la CUB in qualche cosa di completamente estraneo ai suoi presupposti originari.
La CUB, in estrema sintesi, è diventata:

a) un sindacato di stato, firmatario, con le RdB, di tutti i contratti-bidone del pubblico impiego, sottoscritti assieme ai confederali e agli autonomi, contrari agli interessi dei lavoratori. Contratti, peraltro, inquadrati negli accordi di luglio contro cui la CUB aveva promosso grandi mobilitazioni con scioperi provinciali e nazionali. Paradossalmente, è stato pure firmato il contratto della scuola, che, precedentemente, il sindacato di categoria della CUB, la FLSU, aveva rifiutato di firmare. Queste "scelte tattiche" sono state avallate (leggi assunte) dall'assemblea nazionale di Rimini, stabilendo un punto di non ritorno sulla strada della svendita dei diritti dei lavoratori finalizzato a recuperare privilegi per la neoburocrazia sindacale.

b) un sindacato verticale. Dall'assemblea di Rimini è emersa la tendenza da parte dei dirigenti nazionali di RdB ed FLMU a costituire un sindacato verticale, saldamente gestito dagli apparati e controllato, regione per regione, dai funzionari locali. Con questo processo centralizzatore si punta ad eliminare il dissenso, riducendolo ad una questione di folklore e/o di quattro gatti, per poter gestire una crescente istituzionalizzazione della CUB. Parallelamente si punta ad eliminare l'autonomia dei collettivi di base e delle federazioni locali e provinciali facendoli diventare dei semplici esecutori di scelte fatte altrove. Il sindacalismo verticale risponde sempre e comunque ad un'opzione burocratica che i nuovi ceti dirigenti impongono, per assumere ruoli e compiti funzionali ad un controllo completo della Confederazione.

c) un sindacato autoritario. Quando pensiamo a come è stata organizzata la partecipazione all'assemblea nazionale di Rimini da parte dei dirigenti della FLMU di Milano, ci rendiamo conto di quanto sia debole, come alternativa ai confederali, una struttura in cui si riproducono metodi rumeni, simili a quelli usati da CGIL-CISL-UIL per eliminare il dissenso. Un sindacato di base che sia tale non può arrivare ad un'assise nazionale con la maggior parte dei delegati nominati dall'alto e ripartiti a regola d'arte per normalizzare l'intero dibattito non tenendo in alcuna considerazione le assemblee dei lavoratori. Allo stesso modo è inaccettabile che un dirigente nazionale, sindacalista di mestiere da una vita, declassi sul da delegato ad osservatore senza diritto di parola un lavoratore arrivato a Rimini con il mandato di un'assemblea provinciale della CUB.

Davanti a questo dobbiamo riconsiderare seriamente la nostra collocazione all'interno della CUB nella misura in cui sono venuti a mancare quei punti dirimenti senza i quali non è possibile, a nostro avviso, costruire un sindacato conflittuale, libertario e solidaristico. La stesa precipitazione della CUB verso una deriva istituzionale, confermata dalla carenza di iniziativa e mobilitazione su taglio delle pensioni, finanziaria e contratti, ci impone una riflessione capace di fare ripartire, innanzitutto a livello regionale e locale, un percorso, aperto a tutte le aree del sindacalismo di base, tendente al rilancio delle lotte. Tale percorso, però, dovrà essere contraddistinto da una chiara prospettiva legata all'indipendenza ed all'autonomia del sindacato. Nello stesso modo, è necessario evidenziare il ruolo dell'organizzazione di fronte alle nuove forme di burocrazia emergenti nel sindacalismo di base se effettivamente vogliamo costruire una struttura priva di burocrazia e gestita dai lavoratori in prima persona. Da tempo sosteniamo un'ipotesi sindacale orizzontale, fondata sulla sovranità delle assemblee e sostenuta dai militanti, dove i cosiddetti operatori sindacali abbiano funzioni tecniche con una rotazione certa. Purtroppo l'esperienza della CUB ci conferma che gli operatori sono funzionari a vita che i loro compiti sono squisitamente politici. Sono questi gli elementi che, se da una parte ci fanno allontanare dalla CUB, dall'altra ci spingono a riproporre una ipotesi di sindacalismo di base scevra dai difetti manifestati da questa esperienza. Comunque, ne riparleremo presto.



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