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E' possibile pensare la filosofia politica a partire dai nuovi media?


Silvano Cacciari


E' possibile pensare la filosofia politica a partire dai nuovi media?

"... optare per un pensiero critico che prenderà la forma di una ontologia di noi stessi, di una ontologia dell'attualità; questa forma di filosofia, da Hegel alla scuola di Francoforte, passando attraverso Nietzsche e Max Weber, ha fondato una riflessione all'interno della quale ho cercato di lavorare."
(Michel Foucault, Una lezione su 'Che cosa è l'illuminismo' di Kant, 1983)

A. Nuovi media (New Media)
Per new media si intende la generazione di mass media successiva alla diffusione massificata della televisione a colori, della radio e del telefono. L'anello di congiunzione tra i primi media "maturi" - intesi come largo oggetto di consumo in un mercato tendente al sovraffollamento - e i new media è la prima generazione di personal computer (quella dei primi anni '80). E' un anello di congiunzione perché, pur non essendo un media, il personal porta con sè caratteristiche nuove - ad esempio archivio, scrittura, videografica e calcolo - anticipando alcuni tipici tratti dei new media senza avere le qualita di interconnessione di massa che trasfornano il personal in un media.
I new media vanno intesi come una generazione di media nella quale si integrano le competenze e le specializzazioni dei precedenti media "maturi" con la creazione di specializzazioni di nuovo tipo. Nei nuovi media viene quindi a cadere la distinzione tra media 'pubblico' (ad esempio la televisione) e media 'privato' (ad esempio il telefono) e questo all'interno di un processo che vede il nuovo media non come semplice integrazione dei due elementi ma come elemento che raccoglie queste competenze mentre ne crea altre. Il new media, che dovrebbe essere elemento fondamentale e veicolo privilegiato delle autostrade elettroniche [1], non è però legato strettamente alle fortune di questi servizi. Stuart Brand: "I telefoni, la radio, la televisione nacquero come mezzi analogici - ogni onda acustica riprodotta era il risultato di una conversione continua dell'onda originale in un segnale elettrico corrispondente - ma ognuno di essi ha subito un brutale processo di digitalizzazione e quindi di computerizzazione. Con la digitalizzazione tutti i mezzi diventano traducibili l'uno nell'altro - i bit, unità minime di informazione utilizzate dalle apparecchiature digitali, emigrano senza problemi - sottraendosi ai tradizionali mezzi di trasmissione. Un film, una telefonata o l'articolo di una rivista sono così trasmessi, in forma digitale, attraverso una linea telefonica, un satellite o su un supporto fisico. [...] I mezzi di comunicazione si stanno trasformando l'uno nell'altro e quando si uniscono procreano. Poiché il processo si autoalimenta e si autoespande, non c'è da aspettarsi una situazione di stabilità in tempi brevi. E' la versione civile di quel che gli specialisti della corsa agli armanenti chiamano "deriva tecnologica" - l'incontrollabile insorgere della facoltà inventiva al di là di ogni tentativo di prevederla o regolamentarla"[2]. Che questa deriva sia incontrollata lo testimonia la grossa difficoltà che hanno le compagnie telefoniche a gestire il processo [3]; ad ogni modo è interessante osservare come l'integrazione di un media nell'altro sia la base stessa di come si costruiscono i media oggi: la digitalizzazione.
New media è quindi una definizione adatta a un media che integra più facoltà, precedentemente appartenute a singoli media, nello stesso momento in cui cerca di integrarsi con altri new media [4]. Se vi collegate in rete con lo stesso personal che invia i fax, vi cura l'agenda telefonate, e monta i vostri video in VHS o Super 8 mentre cerca di trasmetterli, o vi fa da videotelefono, avete gia un new media (e con un Pentium queste e molte altre facoltà sono gia ampiamente garantite). Tutte le possibilità di acquisire proliferazione che il vostro new media ha, e tutte le possibilità di nascita di nuovi media che da esso derivano, contribuiscono a determinare il fenomeno dei new media. L'autostrada elettronica sarebbe una delle strutture commerciali e d'informazione possibili a supporto di questo mezzo. La pay-tv, Internet, le varie BBS lo sono già, mentre l'autostrada ne rappresenterebbe una fase più evoluta in cui è enormente potenziato il supporto commerciale e di relazioni comunicative.
"Un giorno vi accorgerete che il bottone del polsino sinistro sta comunicando con il destro via satellite". Così, scherzano con il pubblico e i giornalisti, i ricercatori del Media-Lab di Boston mentre mostrano come questo sia possibile. Nell'attesa crediamo che in questo continuo e attuale ridefinirsi dei nuovi media ci sia gia abbondante materiale d'indagine per la filosofia politica.

B. Filosofia politica e nuovi media
Il rapporto tra filosofia politica, media e nuovi media è tanto robusto quanto incerto.
E' robusto se consideriamo gli spunti di riflessione che recentemente sono venuti da questioni della comunicazione legate a questioni politiche come Ross Perot, Berlusconi, il rapporto tra televisione e rivolta di Los Angeles, il ruolo dei media nella guerra civile jugoslava o la guerra del Golfo. Si ha la stessa impressione se guardiamo alla teoria dell'agire comunicativo di Habermas o al Luhmann autopoietico: che si focalizzi l'attenzione teorica su un'ipotetica crescita del mondo della vita all'interno della società o sull'autoreferenzialità delle organizzazioni in un ambiente sociale complesso, resta l'importanza attribuita ai processi comunicativi in un contesto che, anche se non vi guarda proprio direttamente, ha influenzato e incalzato la filosofia politica.
Se invece guardiamo alla filosofia politica da tempo prevalente, il normativismo filosofico alla Rawls - recentemente ridivulgato in una efficace ricostruzione di Kymlicka [5] - notiamo, en passant, che in questa impostazione si è passati da una riflessione classica sulla sovranità e il potere al tentativo della fondazione di un corpo coerente di prescrizioni connesse a un'idea di giustizia che serva come criterio di formazione del giudizio politico e di accettabilità delle istituzioni. Si tratta dunque di una teoria normativa che aspira a generare i criteri del giudizio politico usando categorie utili anche al mondo della comunicazione come "noi", "valori", o la stessa idea di giudizio; inoltre l'elemento centrale del consenso per sovrapposizione, che prevede una convergenza collettiva di consenso che non può non essere anche un atto comunicativo. Nonostante tutto, il rapporto con la sfera della comunicazione si fa incerto. Innanzitutto perché questo normativismo non prevede una fenomenogia della comunicazione e dei suoi strumenti, ma la piega alle sue esigenze di corretta formulazione del giudizio politico. Di conseguenza, perché è indifferente - piuttosto che imparziale come aspirerebbe - rispetto al media attraverso il quale si veicolano i giudizi, e con il quale essi si incarnano in potere vincolante tramite le decisioni. Questo modo di sussumere il mondo della comunicazione da parte di questa filosofia politica - generando criteri di giudizio politico universalmente validi e indipendenti da ciò che emerge o meno dal mondo della comunicazione - rende la sua relazione con i media vecchi e nuovi perlomeno incerta oppure vincolata al problema della applicazione dei suoi criteri.
Qui, ad ogni modo, il problema non è quello di opporre un supposto mondo autentico e reale della comunicazione al preteso artificio di un giudizio politico meramente formale nel suo funzionamento. Si tratta piuttosto di far emergere una serie di tematiche che con un paradigma normativistico non emergerebbero, ovvero di pensare tematiche della comunicazione che hanno rilevanza nella teoria politica ma che non sarebbero individuate a partire dal problema dei criteri di giudizio politico universalmente validi.
Questo vale per chi ha interesse a rispondere alla domanda "perché studiare il potere?", ovvero a scegliere, fra le possibili, la domanda radicale di filosofia politica. L'emergere dei nuovi media pone nuovi elementi di specificazione per la risposta e per meglio configurare quel territorio emergente sopra accennato. In quest'ottica bisogna considerare due questioni, legate a tematiche degli anni '80 e '90.

1) Mezzi di comunicazione e filosofie dello sviluppo
Il rapporto tra mezzi di comunicazione e teorie dello sviluppo ci chiarisce anche quello tra mezzi di comunicazione e potere. Ne La comunicazione mondo di Mattelart [6], per esempio, si insiste molto sulla crescita delle comunicazioni di massa sulla base dello sviluppo delle tecnologie belliche. La tecnologia bellica delle comunicazioni a distanza, intesa come comunicazione rapida di istanze di comando e di potere, genera il sapere e le discipline necessarie per il suo passaggio nelle tecnologie della crescita economica e dello studio del reticolato sociale ad essa necessario. Così il mezzo di comunicazione si può concepire come elemento necessario della logistica preposta alla crescita economica su grande scala: sussume dal mezzo di comunicazione bellico elementi come la comunicazione rapida di istanze di comando e, di suo, allarga la sfera degli elementi conoscibili tramite questa logistica: non solo ordini e collegamenti ma tutti gli atti di sapere necessari all'irrompere di una sfera pubblica societaria e persino l'universo degli atti comunicativi estranei alla sfera economica.
Il mezzo di comunicazione viene quindi a essere la cifra dei diversi modi di trasmissione delle istanze - e degli scontri- di potere e comando a seconda del contesto in cui essi avvengono. Soprattutto permette che queste istanze e scontri avvengsno su una larga scala geografica a partire da più fonti.
Se ci si vuole addentrere nella importanza strategica del mezzo di comunicazione in questi processi, si vada a vedere The Passing of Traditional Society. Modernising the Middle East di Lerner [7]: non a caso ci troviamo di fronte a un classico delle filosofie dello sviluppo, della sociologia della comunicazione e del controspionaggio. Concepito all'interno di gruppi di ricerca della comunicazione di massa dei vari dipartimenti federali Usa, passati dall'arruolamento permanente durante la guerra mondiale a quello durante la guerra fredda, The Passing of Traditional society è citato sia nei testi di sociologia della comunicazione che in quelli della teoria dello sviluppo. Si tratta di uno studio sulle figure sociali presenti nel medio oriente e sulle politiche necessarie per il loro orientamento verso il binomio democracy-free market economy che garantirebbe un rapporto con l'Occidente dettato meno dalla Realpolitik e più da una robusta organicità economica e istituzionale. Il passaggio dalla società "tradizionale" alla società occidentale è qui innervato nella concentrazione di sapere e di mezzi di comunicazione. Addirittura il livello di sviluppo raggiunto viene commisurato al rapporto tra tasso di scolarizzazione e diffusione dei media oggi definibili tradizionali: radio, carta stampata, televisione. Se si considera che qui il livello di sviluppo non è solo la produzione delle merci ma anche il livello di "occidentalità" delle istituzioni, non si può non notare che qui la diffusione di mezzi di comunicazione tradizionali è la cifra di una raggiunta maturità o meno dello sviluppo delle istituzioni (connaturate a uno sviluppo del mercato). In questo modo la diffusione dei mass media tradizionali viene a essere considerata come la diffusione di una tecnologia politica - ovvero di uno strumento costruito da una lega di razionalità scientifiche ad uso politico - interrelata allo sviluppo delle istituzioni politiche ed economiche del welfare occidentale della fase fordista. Se in Foucault la tecnologia politica è il sapere di governo unito alle discipline specifiche per il suo esercizio [8], qui il mezzo comunicazione come tecnologia politica è ciò che raccorda la conoscenza di un dato stadio di maturità di una società con le discipline preposte alla sua ammistrazione, concorrendo così a determinare l'esercizio effettivo di governo e la sua pubblicità.
In Lerner questi media intesi come tecnologie politiche sono legati a un concetto di sviluppo della società e delle istituzioni di sostanziale matrice spenceriana: dal semplice al complesso, verso una evoluzione delle istituzioni che rappresenti lo stadio evolutivo maturo di una società esattamente come si suppone sia avvenuto in Occidente. Diciamo quindi che i media come tecnologie politiche vengono ad assumere il carattere di una conformazione della comunicazione necessaria a raggiungere il livello di evoluzione - istituzionale ed economica - possibile in tutte le società, livello di evoluzione di cui l'Occidente è misura e limite. Queste tecnologie politiche della comunicazione sono veicolo della circolazione di potere, e logistica del comando all'interno del caotico universo della sfera pubblica dello stato welfarista. In questa maniera, i media tradizionali sono tecnologia politica - e quando non sono utilizzati nella sfera politica semplici mass media - per una supposta evoluzione complessa delle istituzioni innervate nello stato sociale.
Col procedere degli anni '80 vediamo che il rapporto tra tecnologie politiche della comunicazione e filosofie dello sviluppo, qui viste nel risvolto economico-istituzionale, subisce sia un cambiamento di strutture che di paradigma. Vengono a cambiare sia i mezzi di comunicazione che il contesto econonomico e il paradigma di sviluppo si fa, da evoluzionista, diffusionista. Le tecnologie politiche della comunicazione servono qui un altro ordine del discorso, un salto epistemologico. Nella stretta economia di questo discorso ci interessa però solamente rilevare come, e quali, differenti mezzi di comunicazione servano un altro paradigma economico e istituzionale ponendo domande alla teoria politica.
Per questo aspetto ci riferiamo a un autore, Kenichi Omahe, recensito anche da Marco Revelli su "il Manifesto" [9] come elemento di punta del pensiero postfordista. A noi interessa soprattutto rilevare alcuni argomenti contenuti nelle Triadi del potere [10] dove si considera, già a metà degli anni '80, come i media legati alla diffusione dei dati on line e via satellite trovino centralità nella circolazione di istanze di comando e di potere dell'azienda transnazionale che toglie quote e competenze di potere allo stato nazionale e che orienta un modello complessivo di sviluppo, economico e istituzionale, assai diverso da quello indicato da Lerner.
In contrasto con l'evoluzionismo neospenceriano, che indica un modello di crescita valido universalmente e ovunque stimolabile, qui si insiste su un paradigma diffusionista, ovvero su un modello in cui la crescita delle istituzioni, politiche e economiche, non avviene ovunque ma in aree culturali concentrare e si espande ove ne sia il caso. A qualcuno questo modello potra sembrare la mera esplicitazione di quanto è implicito nel modello evoluzionista, ovvero il primato dell'Occidente; in realtà qui avviene un salto di paradigma economico (dal fordismo al postfordismo), di competenze istituzionali (dalla centralità delle istituzioni nazionali e internazionali classiche a quella delle istituzioni che facilitano la libertà dell'impresa nel globo) e, per venire a noi, di tecnologie politiche della comunicazione (dai mass media "tradizionali" a quelli legati alla diffusione planetaria di informazioni). Qui salta l'idea di una crescita del sistema sociale che sia simile per tutti, si afferma l'unicità del sistema occidentale proprio mentre si teorizza una rete di dati, comandi, circolazione di potere che abbraccia il globo che non serve per universalizzare un sistema ma per difendere l'espansione del "centro" occidentale.
Dalla metà degli anni '80, quindi, i prototipi dei nuovi media servono come tecnologia politica nello spostamento di poteri e competenze nelle istituzioni nazionali e internazionali, sono conduttori di scontri, poteri, comandi e producono il terreno stesso dove avviene questo spostamento: quello che chiamiamo oggi spazio virtuale. Anche questo spazio non esiste solo in funzione dei lettori di Gibson: registra un'altra interessante mutazione nel rapporto tra tecnologie politiche e questioni valide per la teoria filosofica in politica.

2) Mezzi di comunicazione: dal postmoderno al virtuale
Si dia una sfera pubblica classica come quella descritta, nei primissimi anni '70, da Negkt e Kluge nell'ormai storico Oeffentlichkeit und Erfahrung [11]: partiti di massa, istituzioni democratiche, radicalismo extraparlamentare e... televisione diffusa con consumi maturi. Rivendicazioni politiche, mediazioni istituzionali, scontri improvvisi coesistono con le più atomistiche culture del consumo.
Si pensi poi alla Condition Postmoderne [12] di Lyotard dove l'arcifamosa considerazione sul comunismo come grande narrazione si sposa con le considerazioni sul Coming Of Postindustrial Society (1973) di Daniel Bell: ci troviamo di fronte a società temperate da livelli diffusi di consumo materiale, ad alta concentrazione simbolica. In queste società istruite, e quindi disincatate, sarebbe risultato automatico lo smascheramento del volto narrativo e affabulatorio delle ideologie politiche tutte.
Nella letteratura di questo tipo, la sfera pubblica politica viene identificata con l' ideologia del racconto della rivoluzione, mentre vengono esaltati, estraendo argomenti dalla sfera pubblica del consumo, l'aleatorietà, la frammentarietà, l'eterogeneità dello spazio collettivo che vengono ad assumere i tratti morfologici della società postmoderna. Qui la velocità di circolazione dell'alta concentrazione simbolica delle merci è garanzia della vivacità creativa di un'epoca: "Il postmodernismo è orientato al mercato perché esso è il principale strumento di comunicazione della nostra società" [13]. Assunto il rivolgimento classista delle società come mitologia mascherata, assunta la market-oriented society come luogo di una robusta intelaiatura scientifica, è l'ora della liberazione della fantasmagoria estetica delle capitali del postmoderno. Esse stesse sono, tramite l'architettura postmoderna, elemento dinamico di significazione estetica e produzione di senso. Lo sviluppo della sfera pubblica del consumo, tramite i suoi impetuosi estetismi [14], permette che la città stessa, o meglio la parte di città in sintonia con quel tipo di sfera pubblica, sia tecnologia impolitica della comunicazione. Ma quando è la città stessa ad essere tecnologia - seppur impolitica - della comunicazione, è tolta la mediazione dello strumento esterno: c'è l'empatia con la merce. Quindi, se l'elemento capitalistico è, secondo Jencks, l'elemento stesso della comunicazione, e la sua metropoli la prova più tangibile, se esso tenta continuamente la trasformazione della sfera pubblica del consumo in empatia con la merce nello spazio urbano, la sfera pubblica politica si raggrinsisce fino all'invisibilità. In questo modo la politica tende a mimetizzarsi con l'amministrazione e le sue corrispondenti tecnologie politiche della comunicazione. L'empatia rende quindi discrete le trame di relazioni di potere, decisione, comunicazione. L'empatia si rende esperienza universale conoscibile e trasmissibile; la politica mimetizzata nell'amministrazione si rende invisibile, astratta, gergale. Ecco il risultato della dissoluzione della sfera pubblica classica.
Le tecnologie della comunicazione degli anni '80, tutto ciò che prepara e precede i new media, si intessono bene in questo meccanismo: massima visibilità, e immediata decifrabilità dei risvolti di tecnologie della comunicazione impolitica, ripetizione seriale e infinita di immagini che raffigurano lo choc empatico di uno spazio urbano che sembra naturalmente preposto; tecnologie della rappresentazione della sfera pubblica politica -ridotta alla raffigurazione di uno spazio privato progressivamente di poteri ovvero il parlamento dello stato nazionale - come luogo di decisioni confuse e astratte, non immediatamente comprensibili ma che hanno la forma della razionalità ammistrativa.
Con l'emergere compiuto delle tecnologie del virtuale e dei primi new media, lo spazio pubblico del consumo esalta alcune caratteristiche già presenti negli anni '70 e '80. Mike Davis (1991): "La città americana è in procinto di essere sistematicamente rivoltata verso l'interno. Gli spazi valorizzati dalle nuove megastrutture e dai centri commerciali sono addensati in centro, le facciate sulla strada denudate, l'attività collettiva immagazzinata in compartimenti strettamente funzionali e la circolazione internalizzata in corridoi sotto la costante sorveglianza dei servizi di polizia privati. Alla privatizzazione dell'architettura pubblica, inoltre, si è accompagnata la ristrutturazione dello spazio elettronico, tramutato in agorà invisibile a base di servizi pay tv, banche dati elitarie e sistemi di televisione via cavo per abbonamento. Entrambi i processi rispecchiano evidentemente la deregulation dell'economia e la recessione dei servizi garantiti" [15]. Davis definisce questo fenomeno "declino del liberalismo urbano" [16]. Qui la sfera pubblica del consumo non è più quella della società delle merci matura e disincantata dalle ideologie (quanto incantata dall'empatia con la merce): diventa il processo da salvaguardare tramite le politiche della "sicurezza". La merce non è più promessa universale di cittadinanza ma elemento da garantire e fonte di pratiche di esclusione, occasione regale di confinamento e recintamento di spazi. Allo stesso tempo i nuovi media come tecnologie politiche della comunicazione servono un'interazione e un agire politico liberale il cui territorio non è più quello dello spazio urbano - ormai deturpato dalle politiche della "sicurezza", reso insignificante dai nonluoghi, sfibrato dalle speculazioni edilizie - ma quello costruito, e investito da un surplus di fascino estetico, dal virtuale. Il flusso di comandi, scontri, dati e informazioni che si intessono nelle tecnologie politiche della comunicazione possibile con i nuovi media è la costruzione del terreno che rende possibile l'agire neoliberale e l'autostrada per il suo ordine del discorso.

Possiamo quindi notare come la nostra stringatissima ricognizione nel rapporto tra mezzi di comunicazione e questioni di filosofia politica ci riporti a tematiche - come il problema della circolazione del potere, il modello di sviluppo delle istituzioni, la localizzazione della sfera pubblica - che stanno nel cuore stesso della filosofia politica. Allo stesso tempo emerge un terreno -quello del mutamento dei modelli di sviluppo politici e istituzionali, dello spostamento della sfera pubblica - dove si può presuppore che le differenti tecnologie politiche della comunicazione siano elemento archeologico di differenti ordini del discorso politico che le problematiche del normativismo filosofico politico non individuano (anche quando si pone il problema di unificarli). Ad ogni modo, con questo tipo di attenzione si fanno uscire le tematiche dei mezzi di comunicazione dall'ambito puramente tecnologico, comunicativo o estetico. Esse entrano nell'ambito di un terreno di formazione delle tecnologie politiche - di cui sono l'hard core - che ci rende più nitida la conformazione di una teoria politica. Se in Foucault è la convergenza di tattiche politiche - espresse tramite le tecnologie politiche - che forma e fa emergere la teoria politica [17], e se questo discorso ha una sua dignità teorica, allora i nuovi media non emergono solo come problemi politici ma anche come problemi di formazione della teoria politica.
In questa maniera si apre un nuovo terreno di analisi sia della sfera della comunicazione che di quella politica nonché del terreno che sembra emergere tra queste due, viste finora con una certa strabica separatezza.


Note

[1] Il progetto di autostrade elettroniche emerse dall'agenda elettorale di Al Gore per le presidenziali '92. Consisteva nell'idea che lo stato federale avrebbe dovuto fornire l'infrastruttura elettronica (cavo, satellite) a un processo di interconnessione che avrebbe riguardato sempre di più sfere commerciali e produttive. Nonostante questo progetto abbia subito mutazioni, tipiche di ogni elaborazione di questo tipo, ogni idea simile, pensata fuori dagli Usa, viene chiamata "autostrada elettronica". A regola d'arte, l'autostrada elettronica sarebbe solamente l'infrastruttura materiale, e legislativa, del processo ma ci sembra che, per spiegare il fenomeno che essa va a costituire, non possa essere descritta separatamente dall'idea commerciale. Per avere un'idea dell'enorme complessità finanziaria dell'operazione, e delle ristrutturazioni economiche ad essa sottintese, si consiglia una serie di articoli apparsi sull'Herald Tribune nel marzo 1995 sulla conferenza dei paesi del G7 sui temi della comunicazione. A parte il timore dei paesi europei di essere risucchiati dagli Stati Uniti nella vicenda, e a parte la questione di come effettivamente saranno queste autostrade elettroniche, il fenomeno e il settore, nonché gli apparentamenti tra corporations, sono abbondamente in movimento.
[2] Stuart Brand, Media Lab, Il futuro della comunicazione, Bologna, 1993, p. 39.
[3] Qui si consideri che uno dei fattori degli aumenti tariffari delle compagnie telefoniche nazionali 'classiche', come la Telecom Italia, è proprio quello che vuole che le aziende che si connettono in rete con compagnie all'estero paghino il servizio alle compagnie del paese con cui si collegano. Inoltre la deriva tecnologica dei new media impedisce di portare a fondo progetti precedentemente perseguiti dalle compagnie telefoniche. Si veda la presenza, in Internet, di programmi come il Cu-See-Me che permette di trasformare il proprio personal in un videotelefono spiazzando potenzialmente i progetti di videoconferenza delle grandi compagnie (cfr. Il sole, febbraio 1996).
[4] In questo fenomeno è potentemente entrato il telefonino (un attrezzo da oltre 20.000 nuovi utenti al giorno in Italia nel dicembre 1995. Cfr. Il sole 24 Ore, dicembre 1995). Federico Rendina (GSM è giaà guerra..., Il sole 24 Ore, febbraio 1996): "Poderose, e finora inesplorate, le virtù tecnologiche di cui il GSM, in attesa di sistemi ancor più potenti (il corsivo è nostro, ndr), è già capace. Grazie alla completa interazione con la telematica (banche dati, caselle di posta elettronica e fax, accesso diretto a Internet) e all'uso della carta a microprocessore che identifica il telefonino anche per altre prestazioni, come il pagamento elettronico di merci e di servizi".
[5] Will Kymlicka, Introduzione alla filosofia politica, Milano, 1996.
[6] Mattelart, La comunicazione mondo, Milano, 1992.
[7] Lerner, The Passing of Traditional Society. Modernising the Middle East, New York, 1956.
[8] M. Foucault, Resumé des cours, Pisa, 1994.
[9] Si veda Il Manifesto 3\5\96.
[10] K. Omahe, Triadi del potere, Milano, 1986.
[11] Negkt e Kluge, Oeffentlichkeit und Erfahrung, ediz. it. Sfera pubblica e esperienza, Milano, 1979.
[12] F. Lyotard, La condition postmoderne, ediz. it.: La condizione postmoderna, Milano, 1981.
[13] Jencks, The Language of postmodern Architecture, 1984.
[14] Su queste tematiche non possiamo non rimandare allo straordinario libro di Marco d'Eramo, Il pidiessino e il grattacielo, Milano, 1996.
[15] Mike Davis, La citta di quarzo, Roma, 1993, pp. 124-125.
[16] Ivi, p. 125.
[17] Si veda Michel Foucault, op. cit.

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