Un'associazione di volontariato

 

Il volontariato rappresenta un importante principio ispiratore del progetto di intervento della cooperativa per i suoi valori di servizio, solidarietà e gratuità. La sua capacità di esprimere partecipazione e pluralismo costituisce anche un insostituibile tramite con il territorio, una risorsa capace di ricostruire la rete relazionale e sociale: può innescare, anche in situazioni socialmente problematiche, un circolo di reciprocazioni che rendono solidali le relazioni.

Riteniamo che lo stato sociale, per affrontare le sfide che minacciano il senso e la qualità della vita dei cittadini, vada rifondato sui valori di una nuova solidarietà. Il volontariato può fornire i codici adeguati alle esigenze di un altruismo che intende diventare relazione sociale significativa. La società complessa, ben lontana dal poter fare a meno dei contributo dei cittadini, sta cercano nuove forme di partecipazione, anche senza la mediazione dei partiti. Questo potrebbe essere il senso di alcune recenti leggi nazionali e regionali quali la 142 e 242 /1990 sulle autonomie locali, la 266 /1991 sul volontariato, la 381/ 1991 sulle cooperative di solidarietà sociale o la 104/1992 sull'integrazione sociale delle persone handicappate. Il rinnovamento del sociale non può avvenire senza comportare il rinnovamento della politica cos“ come, circolarmente, il rinnovamento della politica non si innesca senza l'apporto del sistema sociale in termini di partecipazione e di nuova cittadinanza.

L'Associazione non promuove attività specifiche: non è nata per affiancare le comunità terapeutiche, non è al servizio di Terra Mia, non si occupa necessariamente di tossicomania o di emarginazione sociale: raccoglie esperienze diverse e sensibilità molteplici che ritrovano un punto d'incontro nel comune impegno per una partecipazione sociale piena.

Tuttavia questo obiettivo viene perseguito con una sensibilità specifica: l'Associazione custodisce un'esperienza "particolare" di grande valore (la "comunità di accoglienza") e la vive come metafora di un'attenzione da coltivare: a partire dalla fatica, dalla povertà e dall'angoscia del vivere, promuovere una revisione radicale degli stili di vita ed una condivisione dei motivi che danno senso, valore e speranza al vivere di ognuno.

L'icona dei discepoli di Emmaus (Vangelo di Luca cap. 24) è molto evocativa e significativa per descrivere la nostra storia e per dire la nostra identità. A noi è capitato di percorrere un tratto di strada con persone dal "volto triste" e dal passo disorientato. Abbiamo ascoltato a lungo il racconto di attese deluse, di sogni infranti, di progetti inconclusi, di fallimento angosciosi. E da persone disorientate e distrutte, forse pi¯ ancora dei viandanti di Emmaus, abbiamo pi¯ volte sentito pronunciare parole simili: "noi credevamo... noi speravamo...". Si tratta certo di due strade molto diverse: una partiva da Gerusalemme dove il corpo martoriato del crocifisso Ges¯ aveva lasciato sgomenti coloro che lo avevano seguito dopo aver rinunciato a tutto; l'altra si snoda nel labirinto di città anonime e fredde dove tante giovani vite stazionano senza direzione e senza scopi. Una medesima esperienza accomuna però i due racconti: lo stupore e la meraviglia grande nell'accorgerci che, anche con noi, cammina un altro personaggio, per un po' apparso come assente ed estraneo (ma cos“ non era !) che, alla fine, ci schiude gli occhi e, "cominciando da Mosˇ e dai profeti..." d'un tratto apre squarci di luce, invita a progetti di vita inimmaginati.

La nostra storia potrebbe essere letta come un'umile testimonianza che quando il dolore e la vergogna vengono portati con un atteggiamento di fede in Dio, tramutano, per la forza dello Spirito di Ges¯, in nuove capacità di vita e di amore; può, oggi, esprimersi come riconoscenza al Signore Crocifisso e Risorto per la grazia che dà ai suoi figli di ritrovare una pienezza di vita là dove c'erano le opere della morte; può continuare come impegno a portare amore dove c'ˇ indifferenza, giustizia dove c'ˇ egoismo... a compiere la volontà del Padre anche all'interno di situazioni molto distanti dal suo progetto. I due viandanti del Vangelo esprimono bene anche altri aspetti della condizione dei nostri giorni e sono, nello stesso tempo, una splendida icona del cristiano, formato alla scuola della Parola e alla sequela di Cristo. Noi non siamo che "pellegrini", siamo precari e provvisori: la meta è ancora oltre e la patria lontana... La distanza rende relativi tempo e spazio ma fa luce su di essi: non è importante difendere un' "identità", piuttosto occorre perderla, accettare di vivere "senza certezze": "Chi avrà trovato la sua vita la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà"(Mt. 12,39). In un clima di accentuata precarietà si sente però oggi forte il bisogno di poter toccar con mano qualche piccolo segno di speranza, di intravedere nuovi orizzonti di senso, di ritrovare nuove capacità di vita.

Uno di questi segni può essere la presenza di luoghi e comunità di accoglienza per chi proviene da esperienze di distruzione e di non senso: l'annuncio della misericordia di un Dio che non giudica ma guarisce e ridona la vita; la liberazione di Dio portata nei luoghi dove pi¯ è evidente la miseria dell'uomo. Il male stesso ha una sua parte nel progetto di Dio: dove il male abbonda, sovrabbonda la Grazia. I discepoli hanno incontrato il risorto per un momento, per un istante che non hanno potuto trattenere. Il loro desiderio era grande: "Stai con noi, ormai è sera" .... "Stiamo tra di noi, fuori è buio e fa paura..." Invece "partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme ", ritornarono nella loro città.

Chi si ritrova nell' Associazione si esercita nella pratica della misericordia e della liberazione, nella sperimentazione e nell'annuncio dell'antropologia cristiana, nella fedeltà religiosa ai tempi nuovi che viviamo, perchˇ si è lasciato interrogare dai fenomeni delle dipendenze come sintomo della situazione spirituale del nostro tempo ed ha intravisto la forza guaritrice dell'azione di Cristo.