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BOULEVARD

L'Ombra delle Reti

IL MONDO COME VIRTUALITA' E PROGRAMMAZIONE
di Piergiorgio Odifreddi

 

Noi costruiamo una visione del mondo a partire dalle nostre percezioni personali, e lo rappresentiamo concretamente come un insieme di oggetti dall'esistenza indipendente, coi quali interagiamo: questa visione genera una nozione di realtà. Non appena ci allontaniamo però dal livello personale per addentrarci nel sociale, nel planetario, nel cosmologico, le rappresentazioni diventano via via più astratte: esse cedono gradualmente spazio alla nozione complementare di virtualità.

Realtà e virtualità sono dunque estremi fra cui situiamo le concettualizzazioni della nostra esperienza; ma esse sono anche parole, e come tali possiedono un pericoloso potere esplosivo. Un detonatore classico è stato fornito dalla filosofia, che è rimasta ipnotizzata da due opposte concezioni: la realtà della virtualità, e la virtualità della realtà (esse vanno sotto il nome di platonismo e idealismo).

Un detonatore moderno ci è dato praticamente dall'intera cultura occidentale del XX secolo, ciascuna delle cui espressioni ha a suo modo minato le fondamenta del realismo ingenuo: la letteratura (sono usciti di scena non solo il racconto, ma addirittura l'autore), la linguistica (il testo è stato dissolto dal decostruzionismo), la pittura (nel surrealismo è scomparsa la logica, nell'astrattismo la descrizione), l'architettura (a Disneyland e Las Vegas è nata l'iperrealtà), la politica (il balletto dello spettacolo ha reso invisibile il banchetto degli affari), l'economia (la pubblicità è divenuta il vero prodotto), i media (la notizia ormai non riporta, ma crea l'avvenimento), la guerra (il campo di battaglia ed il sangue sono stati sostituiti da uno schermo e da impulsi elettronici), lo sport (l'importante non è più parteciparvi, ma assistervi o anche solo parlarne), l'antropologia (la realtà si è rivelata come un prodotto culturale e mitologico), la fisica (la materia si è trasformata in campi ed energia), la matematica (la descrizione del mondo fisico ha ceduto il passo ai sistemi astratti).

Non stupisce che l'informatica si sia precipitata1 ad offrire un detonatore postmoderno, visto che in soli cinquant'anni essa ha dimostrato eccellenti capacità di delirio di potenza: dapprima con la cibernetica, che sognò di sintetizzare il cervello, e poi con l'intelligenza artificiale, che cercò di simulare la mente. Le realizzazioni concrete scaturite da quei progetti, modeste se paragonate alle aspettative prometeiche, avrebbero dovuto insegnare un po' di cautela; esse hanno invece prodotto il terzo delirio della realtà virtuale, che pretende non solo di simulare l'intero mondo esistente, ma anche di costruirne una cornucopia di alternativi.

 

Passato prossimo

Virtuale è un'aggettivizzatione di virtù, il cui significato era in origine 'potere' o 'forza', e divenne poi più generalmente 'eccellenza' o 'capacita'. Il suo uso nella scienza non è nuovo: in ottica (immagini e fuochi), in meccanica (velocità e momenti), in fisica subatomica (particelle), e anche in informatica (memoria).

L'ossimoro 'realtà virtuale' descrive oggi, come vedremo, una serie di divagazioni tecnologiche ispirate da problemi di simulazione di volo per l'addestramento di piloti militari: dal primo videogioco nel 1949 (in cui l'animazione di una palla era controllata da un programma, e dipendeva dai parametri inseriti dall'utente), alla prima interfaccia multisensoriale nel 1968 (un casco in cui due minuscoli schermi televisivi presentavano all'utente un'immagine tridimensionale computerizzata, che si modificava mentre egli si muoveva).

Il termine (nella variante 'realtà artificiale') fu pero originariamente introdotto negli anni '70 dall'architetto Myrton Krueger in riferimento ad ambienti responsivi, in cui luci e suoni mutano a seconda dei movimenti delle persone.

Una tale interattività fra fruitore e opera è tipica di un'intera concezione artistica del nostro secolo (si pensi ad esempio ai libri con inizi o finali multipli, in cui il lettore può scegliere percorsi alternativi)2. Essa ha ispirato il progetto Xanadu, proposto nel 1960 da Ted Nelson con l'intento di creare un archivio elettronico dell'intera letteratura di lingua inglese, da cui si potessero attingere a volontà testi per la creazione di collage letterari chiamati ipertesti, mediante strumenti di manipolazione detti ipermedia (quali i word processors, che all'epoca non esistevano ancora, oltre ad evoluti sistemi di riferimenti e concordanze). Tali ipertesti avrebbero dovuto soppiantare il libro come testo fisso sequenziale stabilito dall'autore, e sostituirlo con un prodotto multidimensionale in continua evoluzione e personalizzato dal lettore.3

All'interattività fra fruitore ed opera corrisponde quella fra utente e macchina, ma è anche possibile estendere l'accezione del termine e parlare di interattività fra macchine: si arriva così al concetto di rete di computers in comunicazione, in cui essi si incontrano (inter)faccia a (inter)faccia. Il primo esempio di una tale rete fu l'Arpanet, creata dal Ministero della Difesa statunitense per collegare una serie di computers coinvolti in uno stesso progetto, ed evoluta poi nell'Internet.

Il progetto Xanadu costituisce l'ultimo passo di un'evoluzione descritta da Marshall McLuhan nel 1962, secondo la quale la tecnologia ha mutato l'individuo in soggetto tipografico: come la stampa ci ha resi tutti lettori e la fotocopiatrice tutti editori, così il word processor ci ha trasformati tutti in autori, facendo corrispondere ad un'esplosione della produzione un'implosione dei ruoli.4

Analogamente, la rete costituisce l'ultimo passo di un'evoluzione descritta da McLuhan nel 1964, secondo la quale la tecnologia ha mutato l'individuo in soggetto planetario: come nell'ottocento le macchine avevano potenziato la muscolatura, cosi nel novecento l'elettricità ha esteso l'intero sistema sensoriale (bocca e orecchie mediante il telefono, gli occhi con la televisione, ed ora il cervello e il sistema nervoso attraverso il computer e la rete), facendo corrispondere ad un'esplosione del corpo un'implosione del mondo, ormai trasformato in un villaggio globale.5

Con tutti questi ingredienti, il passaggio alla concezione della realtà virtuale era un piccolo passo per dei visionari, benché un passo da gigante per i realisti: si trattava 'soltanto' di creare la possibilità di un avvolgimento totale nei media, estendendo il progetto Xanadu all'intero mondo dell'informazione (letteratura, musica, teatro, cinema, televisione, giornali, architettura), le interfacce all'intero sistema sensoriale umano (mediante caschi con visori e auricolari, e guanti e tute con sensori tattili, di posizione e di movimento)6, e infine la rete all'intero globo.

In questo modo l'espressione 'realtà virtuale' cessò di simboleggiare la generica condizione postmoderna da cui è partita la nostra discussione, per passare a indicare una sua specifica espressione tecnologica.

Presente

Inutile dire che attualmente sono disponibili soltanto alcuni mattoni dell'edificio che la realtà virtuale vorrebbe costruire. Essi hanno comunque raggiunto una certa consistenza, sintetizzata nei dati seguenti.

Le reti collegano ormai numeri enormi di utenti (22 milioni in 50 stati la sola Internet). Basta citare la posta elettronica e il Bancomat per notare che esse hanno cambiato sia la nostra percezione del mondo che la nostra interazione con esso, e il progetto di 'autostrade elettroniche' a fibre ottiche dell'amministrazione Clinton per prevedere che esse sono destinate ad accrescere il loro ruolo.

La computer grafics tridimensionale, necessaria per rappresentare visivamente l'informazione, non solo si è affermata come un settore imponente del mercato (valutato fra i 10 e i 20 miliardi di dollari ne di varie attività dai nomi futuristi come CAD, CAM, CAE10), ma anche la creazione di nuovi mercati e ruoli professionali legati alla realtà virtuale stessa. Le applicazioni scientifiche interessano soprattutto i campi basati sulla visualizzazione di modelli (dall'architettura alla chimica), quelle pedagogiche i campi in cui la sperimentazione con la realtà può essere impraticabile o sconsigliabile (dall'astronautica alla chirurgia). E, beniniteso, non si possono scordare le applicazioni militari, che sono un po' la giustificazione principale dell'intera impresa informatica: da esse tutto è partito (si ricordino le simulazioni di volo e di battaglia), e ad esse tutto ritorna (come si è potuto amaramente constatare nelle immagini della Guerra del Golfo).

Altrettanto ovvia è la potenzialità ricreativa, ludica ed edonista: il cammino dei giochi a base di realtà virtuale sembra anzi essere l'unico percorribile nell'immediato a livello di massa, e sta già facendo grandi promesse (che non escludono, ovviamente, il sesso virtuale).

Un'ultima, meno ovvia potenzialità è stata proposta da Elémire Zolla in Uscite dal mondo: descrivendo la realtà virtuale come "la prima innovazione decisiva a partire dalla rivoluzione industriale'', egli la vede come un possibile strumento per quel perfezionamento psichico che finora era accessibile soltanto mediante concentrazione, meditazione, estasi e trance. In particolare, attraverso convincenti esperienze virtuali si potrebbe pervenire a percepire per analogia l'illusorietà della realtà, e raggiungere quindi la 'liberazione'.

Non possiamo nascondere che noi restiamo molto scettici su tutta la linea, anche se per motivi generici: da un lato, perchè sappiamo bene che la produzione (non solo di merci, ma anche di divertimento) va forse a vantaggio dei produttori, ma certo non dei consumatori; dall'altro perchè diffidiamo delle vie regie, nella fattispecie di soluzioni tecnologiche (dalle pillole ai computers) per i problemi della mente.

C'e comunque almeno un'obiezione specifica, riguardante l'enfasi posta dalla realtà virtuale sui mondi tridimensionali da visitare con tutti i sensi secondo percorsi individuali, in contrapposizione alle opere letterarie o musicali classiche, che sarebbero invece mondi unidimensionali fruibili secondo un unico percorso imposto dall'autore. Questa enfasi, fra l'altro ingenuamente ignara dell'opera aperta, va nella direzione proposta da Walt Disney in Fantasia, di integrare la musica con i cartoni animati, ma non in quella suggerita da Johann Sebastian Bach, di leggere l'Arte della fuga senza eseguirla, alla ricerca di una musica al di là del suono. Siamo qui di fronte ad una scelta fra poetiche diverse (l'ipersensorializzazione o la desensorializzazione), che riflette non solo il tipo di utenza a cui ci si intende rivolgere (nell'esempio musicale, l'asilo o il conservatorio), ma anche il livello di fruizione che si cerca di raggiungere (gli aspetti superficiali o quelli profondi).

 

Cibercultura

La realtà virtuale è comunque un messia la cui venuta è stata annunciata. Come succede in questi casi, l'attesa viene alleviata da opere letterarie che, oltre ad organizzare e definire le aspettative in una fede, finiscono per tramutarsi in libri sacri quando la natività si faccia attendere un po' troppo. Il profeta della realtà virtuale è William Gibson, che in una trilogia di romanzi ha dato coerenza a brandelli di sogni, organizzandoli ed estrapolandoli in una vera e propria Weltanschauung informatica. Nel Neuromante egli ha coniato la parola ciberspazio, che poi è divenuta di uso comune, per descrivere "un'allucinazione vissuta consensualmente, una rappresentazione grafica di dati ricavati dalle banche di ogni computer del sistema umano'', ed ha dichiarato esplicitamente che gli antecedenti dell'idea vanno cercati nei videogiochi, nei programmi di grafica e in alcuni esperimenti militari. Il protagonista del romanzo appartiene ad un'evoluzione della specie degli hackers (i 'cowboys di interfaccia o della consolle'), a cui sembra essere riservato l'accesso al mondo superinformatico del ciberspazio: questi fortunati, che rischiano in continuazione di venir ridotti all'encefalogramma piatto dai vari sistemi di protezione del sistema, non soltanto possono avere accesso all'apparato sensoriale dei vivi provvisti di opportuni collegamenti, sperimentandone le sensazioni nel proprio corpo, ma addirittura riescono a comunicare con i morti le cui personalità siano state opportunamente sintetizzate in programmi.

In Giù nel ciberspazio Gibson suggerisce la "possibilità malsana" che la virtualità finisca per creare una sensazione di estraneamento globale, facendo divenire la realtà "semplicemente un concetto come altri". Inoltre, egli narra la trasformazione del ciberspazio da semplice rappresentazione di dati manipolati dall'uomo a universo popolato da spiriti indipendenti: questi dei cibernetici, nati nel momento in cui alcune intelligenze artificiali si sono fuse in una forma di vita superiore, interagiscono con gli esseri umani sia con fenomeni di possessione secondo i paradigmi del voodoo, che con scambi di conoscenza in seguito a patti faustiani.

Non può stupire che nel mondo moderno i testi sacri non si limitino ai libri, e si estendano ai media in generale: oltre alla ciberletteratura sono dunque nate una cibercinematografia ed una cibermusica. In particolare, due films presentano in maniera visiva le due tendenze tecnologiche della realtà virtuale: ispirate, rispettivamente, alla cibernetica e all'intelligenza artificiale.

Il primo, Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, mostra un meccanismo per la registrazione dell'attività cerebrale in atto durante la visione, e per la sua riproduzione mediante una rielaborazione computerizzata: in questo modo il protagonista registra immagini che poi può far vedere alla madre cieca, aggirandone lo spento nervo ottico e collegandosi direttamente al suo cervello. Il meccanismo viene poi adattato alla registrazione dei sogni, con effetti deleteri: gli utenti diventano dei drogati, vivono per vedere i loro sogni, annegano da svegli nelle proprie fantasie notturne, e si risanano soltanto dopo una disintossicazione dalle immagini e una terapia di parole (mediante scrittura e lettura).

Il secondo, Il tagliaerbe di Brett Leonard, descrive un meccanismo composto di una tuta con sensori ricetrasmettenti collegati a terminazioni nervose sull'intero corpo, e di una ruota mobile a cui si è fissati al bacino ed ai piedi e che permette movimenti tridimensionali. A differenza del caso precedente, in cui gli stimoli erano registrati e quindi riproducevano un ambiente reale, qui essi sono provocati da un computer e creano un ambiente virtuale, con cui l'utente interagisce. L'intensità delle esperienza virtuali (non escluse quelle sessuali) sembra potenziare enormemente le capacita del protagonista nel mondo reale, ed egli si muta da deficiente a superuomo, acquistando addirittura poteri paranormali (quali la lettura del pensiero e la smaterializzazione di oggetti). Alla fine sarà il suo stesso corpo a smaterializzarsi nella rete, ed egli entrerà a far parte del sistema.

 

Mitologia

Stranamente, le iperboli più sconsiderate si trovano comunque non nei romanzi e nei films (che posseggono una loro razionalità virtuale), ma in alcuni interventi presentati a congressi ufficiali.

Il rapporto sul SIGGRAPH '90, nel primo capitolo di Mondi virtuali di Woolley, espone una mitologia in divenire, secondo la quale l'immersione totale nei media produce una rivoluzionaria esperienza allucinatoria che mette in contatto con un nuovo mondo, le cui leggi appartengono non più alla fisica ma alla psicologia.

L'uso della metafora allucinatoria non è casuale: il legame fra computers e droga, peraltro già presente negli esempi di cibercultura citati, ed in ogni caso evidente a chiunque abbia osservato o sperimentato l'uso della macchina sull'utente, dal livello semi-passivo dei videogiochi a quello attivo della programmazione, ha una lunga storia. Essa ci sembra racchiusa nei percorsi di due personaggi emblematici: Timothy Leary, che negli anni '60 descrisse l'esperienza del viaggio con l'LSD in inequivocabili termini elettronici,11 e negli anni '90 parla della realtà virtuale come di una continuazione di quelle esplorazioni della coscienza che finora aveva condotto con altri mezzi; e Steward Brand, che organizzò nel 1966 a San Francisco una grandiosa seduta di gruppo in cui l'LSD avrebbe dovuto fondere le menti individuali in una psiche collettiva (il Trips Festival), e la ripetè nel 1990 nel medesimo luogo e con analoghi scopi, semplicemente sostituendo all'LSD esperienze di realtà virtuale (il Cyberthon).

Neppure l'uso della metafora rivoluzionaria è casuale, anche se il legame fra computers e rivoluzione può sembrare meno evidente. In realtà, nella California degli anni '60 molti pesci-ingegneri della nascente Silicon Valley nuotavano nelle acque della controcultura, e sognavano la liberazione tecnologica. Nel 1972 nacque la People's Computer Company, con il programma di usare il computer per "liberare la gente, invece di controllarla", e di proporre una concezione alternativa a quella dell'IBM, incentrata in quegli anni su macchine aziendali grandi, care e difficili da usare (i cosiddetti mainframes). Due dei sognatori, Steven Jobs e Steve Wozniak, presero sul serio lo slogan "il potere del computer al popolo",12 fondando la Apple e costruendo nel 1984 la prima macchina individuale piccola, poco cara e facile da usare (il cosiddetto personal). Questa rivoluzione, come tutte, finì naturalmente nel bonapartismo, nel trasformismo e nella controrivoluzione: la Apple divenne un colosso finanziario, l'IBM si convertì alla nuova filosofia, ed entrambe si spartirono il mercato. Altrettanto naturalmente, i nostalgici faticano ad accettare l'evidenza: ad esempio, Brand sostiene che oggi il potere dei computers si è disperso, e "il controllo dell'industria dei bit ha cominciato a passare nelle mani dei cittadini e dei consumatori".13

Al SIGGRAPH '90 comunque, nonostante droga e rivoluzione, non si era ancora toccato il fondo: è negli atti della prima conferenza internazionale sul ciberspazio, raccolti in Cyberspace di Benedikt, che il giocattolo del secolo diventa la misura di tutte le cose, coinvolgendo campi ancora più improbabili.

In primo luogo, l'erotismo. Il computer ci viene infatti presentato come femmina (quindi una calcolatrice, non un calcolatore), perchè il suo tasto principale invoca la penetrazione (ENTER), che si può realizzare attraverso il video (debitamente provvisto di 'tube' catodiche).14

In secondo luogo, l'antropologia. L'entrare ed uscire dall'universo del computer, oltre a fornire un ovvio richiamo al punto precedente, è stato infatti interpretato come una ripetizione di riti di separazione da un esterno e di incorporazione in un interno, e quindi più in generale come rito di passaggio da una cultura (umana) ad un'altra (delle macchine).15

In terzo luogo, la filosofia. In particolare, la Monadologia di Leibniz: in essa il mondo (la rete) e un sistema di monadi individuali (gli utenti), ciascuna indipendente dalle altre e senza possibilità di contatto diretto con esse, quindi senza finestre (ma con terminali); ogni monade ha del mondo una rappresentazione individuale (dipendente dal proprio software), e dio (il sistema operativo centrale) coordina le varie rappresentazioni, in modo da permettere interazioni (virtuali) fra monadi.16

In quarto luogo, la magia. Il ciberspazio dovrebbe infatti tradurre in realtà l'antico sogno di controllare il mondo con la forza di volontà, oltre che di un universo animista le cui entità sono governate da spiriti: per una strana inversione, l'aldilà di quell'universo sarebbe però il nostro aldiqua, la sua natura sarebbe la nostra tecnologia, e lo spirito delle sue entità immortali sarebbe il nostro corpo mortale.17

Infine, la religione. Sembra infatti che non solo ora possiamo determinare il momento esatto in cui l'io incomincia ad esistere (come potevamo immaginare, esso è l'attimo in cui battiamo il solito tasto ENTER18), ma addirittura che il ciberspazio sarà come il Paradiso, in cui tutti diventeremo angeli per l'eternità!19

 

Conclusione

Sogni ed allucinazioni sono il materiale dell'arte: che Gibson o Wenders abbiano scelto computers e hackers come protagonisti di alcune delle loro opere è un fatto accidentale, ed esso non può distrarci dal giudicarle unicamente (e, per quanto ci riguarda, positivamente) da un punto di vista estetico.

Il discorso cambia quando questi sogni ed allucinazioni vengono gabellati come proposte scientifiche. Che così facendo si sia perso il senso della misura per sconfinare nel ridicolo è tanto evidente, che lo stesso Gibson ha recentemente dichiarato: "a volte ho l'impressione che a quei tecnici che apprezzano il mio lavoro sfuggano i diversi strati di ironia che esso nasconde''.20 E' vero che George Bernard Shaw suggeri di esagerare per impressionare, ma egli tacque sul fatto che non ogni impressione è favorevole: le iperboli attraggono sì l'attenzione, ma creano anche aspettative irrealizzabili, che finiscono per oscurare qualunque successo. Cosi le realizzazioni della cibernetica (automi finiti, reti neurali) e dell'intelligenza artificiale (Lisp, sistemi esperti) sembrano oggi poca cosa, rispetto alle promesse di sintetizzare cervello e mente; analogamente, le prevedibili realizzazioni della realtà virtuale (ipermedia, sistemi distribuiti) finiranno per scomparire di fronte alla promessa del Paradiso.21 In ogni caso, noi preferiamo rimanere con i piedi su questa terra, e non dimenticare che il computer è soltanto (e scusate se è poco) una macchina universale per calcoli. I decostruzionisti informatici potranno ribattere che un oggetto può avere molti usi, oltre a quelli per i quali è stato creato: lo sappiamo bene anche noi, ma poiché essi (probabilmente) si puliscono i denti con uno spazzolino e non con una lima da ferro, dovranno convenire che alcuni usi (della lima, o del computer) sono più sensati di altri.

 

Materiale

 

Iniziamo con la cibercultura, letteraria:

William Gibson, Neuromante, 1984 (Editrice Nord, 1986). William Gibson, Giù nel ciberspazio, 1986 (Mondadori, 1990). William Gibson, Monna Lisa, 1988 (Mondadori, 1991). Rudy Rucker, Software, 1982 (Avon Books). Rudy Rucker, Wetware, 1988 (Avon Books).

 

e cinematografica:

Wim Wenders, Fino alla fine del mondo, 1991. Brett Leonard, Il tagliaerbe, 1992. Oliver Stone, Wild Palms (serial televisivo).

 

Continuiamo con alcune opere generali sulla virtualità:

Myron Krueger, Realtà artificiali, 1983 (Addison Wesley, 1993). Benjamin Woolley, Mondi virtuali, 1992 (Boringhieri, 1993). Tomas Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli, 1992. Elémire Zolla, Uscite dal mondo, Adelphi, 1992.

 

Terminiamo con pubblicazioni più specifiche sulla realtà virtuale:

Howard Rheingold, Realtà virtuale, 1991 (Baskerville, 1993). Michael Benedikt (curatore), Cyberspace, 1991 (Muzzio, 1993). Virtual, mensile di realtà virtuale (primo numero: Settembre 1993).

1Si ricordi Alexander Pope: fools rush in where angels fear to tread (gli sciocchi si precipitano dove gli angeli temono di avventurarsi).

2Vedi Esame dell'opera di Herbert Quain di Jorge Luis Borges, e La donna del tenente francese di John Fowles.

3Ted Nelson, Literary Machines 90.1, Muzzio, 1992.

4Marshall McLuhan, La Galassia Gutemberg, Armando, 1991.

5Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 1967.

6Possiamo parlare di tre tipi di interfacce: le elettroniche (tastiera e video) dell'informatica classica, le sensoriali (casco, guanti e tuta) della realtà virtuale, e le neurali (collegamenti diretti al sistema nervoso) della fantascienza.

7Chip Morningstar e Randall Farmer, 'Gli insegnamenti di Habitat della Lucasfilm', in Cyberspace, pp. 285-312.

8Pasquale Stoppelli ed Eugenio Picchi (curatori), Liz. Letteratura Italiana Zanichelli, Zanichelli, 1993.

9Uno stesso volume della Elettrolibri raccoglie i prototipi statunitense (Afternoon di Michael Joyce) ed italiano (Ra-dio di Lorenzo Miglioli).

10Computer Aided Design, Computer Aided Manufacturing, Computer Aided Engineering (rispettivamente: progettazione, produzione e ingegneria computerizzate).

11"In principio era l'accensione ... il viaggio elettrico ... chiudi gli occhi e il calcolatore cerebrale di tredici miliardi di cellule elabora una varietà di messaggi caleidoscopici ... ti sintonizzi", in Timothy Leary, Gran Sacerdote, Sugar, 1971, pp. 15-16.

12Qualcuno penserà certamente che ce lo siamo inventati, e invece esso si trova in Computer Lib di Ted Nelson, libro del 1974 che divenne il manifesto del movimento.

13Stewart Brand, Il Media Lab, Baskerville, 1993. 14Allucquere Rosanne Stone, 'A proposito del corpo reale', in Cyberspace, pp. 87-125.

15David Tomas, 'Vecchi rituali di passaggio', in Cyberspace, pp. 31-49.

16Michael Heim, 'Ontologia erotica del ciberspazio, in Cyberspace, pp. 63-86.

17Marcos Novak, 'Architetture liquide del ciberspazio', in Cyberspace, pp. 233-265. 18Mettendo insieme le due interpretazioni date al benedetto tasto, potremmo dire più semplicemente che il momento in cui l'io incomincia ad esistere e quello della penetrazione (comunque questo si voglia intendere).

19Nicole Stenger, 'La mente è un arcobaleno che trascolora', in Cyberspace, pp. 51-61.

20Intervista in Village Voice, 12 marzo 1991.

21Tutto ciò non si limita naturalmente all'informatica: un discorso simile si potrebbe ad esempio fare nella matematica per la teoria del caos, che studia le equazioni differenziali non lineari, o nella fisica per la teoria del tutto, che dovrebbe unificare la forza gravitazionale alle rimanenti (nucleare ed elettromagnetica).

 

Piergiorgio Odifreddi ha insegnato logica matematica negli Stati Uniti ed in Unione Sovietica, ed attualmente è professore presso l'Università di Torino. E' autore di Classical Recursion Theory (North Holland, 1989), e sta preparando un volume di saggi sui legami fra matematica, letteratura e filosofia.

 

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