SOFFERENZA MENTALE ED ANSIE NEL RAPPORTO TRA IL BAMBINO CON SPINA BIFIDA E LA SUA FAMIGLIA

Incontro del 10 ottobre 1992 con la Dott.ssa Gabriella Gattero
Fisiatra e Neuropsichiatra Infantile
ASL 8 Moncalieri - Torino

 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni]

LE ASPETTATIVE
   Direi che il problema è piuttosto complesso ed io ho pensato di affrontarlo dal punto di vista della famiglia e non partendo dal bambino.
Prima di parlare di che cosa capita in una famiglia quando succede un dramma così grande come quando nasce un bambino con problemi di tipo malformato, volevo fare una piccola premessa su quelle che sono le "fantasie" che normalmente ci sono quando inizia una gravidanza.
Fantasie che non sono soltanto della mamma, ma anche del papà: sono della coppia.
Per tutti i futuri genitori al momento della nascita vengono alla luce contemporaneamente tre diversi bambini.
Il primo è il bambino che è stato immaginato, è stato sognato, è stato fantasticato durante tutto il periodo della gravidanza, quel bambino nel quale abbiamo messo tutte le nostre aspettative, tutti i nostri sogni e dal quale ci aspettiamo molto.
Il secondo è il "feto", quel feto che è stato invisibile per nove mesi dentro la pancia della mamma, invisibile ma certamente reale, che da parecchi mesi ha manifestato un vigore sempre maggiore, i suoi ritmi, le sue peculiarità.
L'avete sentito muoversi, l'avete sentito vivace, l'avete sentito rallentato, ogni mamma ha le sue impressioni.
Questi due bambini al momento della nascita si uniscono con quello che è il "neonato reale", quello che arriva e che effettivamente potete vedere, potete toccare e potete tenere in braccio.
Voi tutti sapete che esistono delle credenze, tante credenze intorno alla gravidanza: la tradizionale credenza nel malocchio, i rituali superstiziosi che circondano la gravidanza, sono in fondo che cosa?
L'espressione del desiderio universale di avere un figlio perfetto e del timore associato a questo desiderio che succeda qualche cosa per cui questo bambino non nasca perfetto ma con dei problemi.
Io penso che ciascuna donna in gravidanza enumeri dentro di sé tutte le possibili malformazioni, tutti i possibili guai che possono capitare al suo bambino, e quando il figlio finalmente viene alla luce, la partoriente si sarà preoccupata pressoché di tutti i problemi che egli potrebbe presentare.
Nei suoi sogni, nelle sue fantasie ha già vissuto ciò che dovrebbe fare se si dovesse ritrovare con un bambino "down" o con un bambino che presenta delle malformazioni.
Perciò, in effetti, quando il figlio nasce sul serio con un problema, la sorpresa è quasi relativa, perché in fondo c'è quel pensiero di sottofondo: "me lo aspettavo", "me lo sentivo", "lo sentivo dentro di me", perciò un bambino con un deficit rappresenta non tanto una brutta sorpresa, ma una delusione per il mancato successo di tutti quegli sforzi che si sono fatti durante la gravidanza.
La madre avrà messo alla prova e forse mobilitato tutte le sue forze che dovranno aiutarla ad affrontare il fallimento, ma deve ancora far fronte al proprio dolore per aver perso il bambino perfetto che aveva idealizzato per tutto il periodo della gravidanza.
I dubbi, le ansie, le preoccupazioni, la speranza legata all'evento di questo rito, che inizia in utero, diventano drammatici e assumono degli aspetti estremamente dolorosi quando ci troviamo di fronte al bambino che ha realmente dei problemi.
Quello che la madre prova è di sentirsi invasa, prima di tutto, da sentimenti di colpa.
"Perché? L'ho fatto io, e perché l'ho fatto così male? Perché non è venuto bene?"
E poi emergono delle angosce, emergono delle sensazioni di vuoto, di annientamento, viene la depressione.
È un lutto, è una perdita, è la perdita del bambino sano.
Ed elaborare questo lutto così grande è molto difficile, è molto faticoso ed in gran parte dipende dall'integrazione psichica che i genitori hanno, ma che avevano già prima che succedesse una cosa così terribile.
Dipende da come sono loro, in pratica, dalle capacità che hanno di accettare e di vivere la frustrazione, dalle capacità che hanno di cercare aiuto e di accettare un aiuto che può venire dall'esterno.
Nei casi in cui non si accetta questo aiuto o non lo si cerca, si finisce per rinchiudersi in se stessi, per mettere in atto dei meccanismi di negazione, di confusione, provocati dal perpetuarsi di una situazione di dolore dalla quale non si riesce ad uscire ed insieme al dolore cominciano a sorgere anche dei sentimenti di rabbia e di aggressività.
Che cosa possiamo fare noi operatori, visto che io sono qui a parlare come operatore, di fronte ad una sofferenza così grande?
Perché il problema, anche se lo chiamiamo "il problema psicologico della famiglia", è in realtà un problema di sofferenza mentale, è un problema di dolore mentale. Non è un dolore fisico, ma mentale, che i genitori con bambini che presentano problemi hanno e che si portano avanti per tutta la loro vita con alti e bassi. Un pó si dimentica, un pó questo dolore rimane sotto le ceneri, un pó ci sono delle crisi di riacutizzazione, ma questo dolore c'è.
Io credo che il nostro primo compito sia quello di capire, di comprendere, di conoscere, per ricercare una possibilità di integrare l'handicap nella vita superando l'immaginazione, la coazione a ripetere un'angoscia dilagante.
Quello che voglio fare con voi adesso è parlare di quali sono le modalità relazionali a cui si va incontro ogni volta che il funzionamento mentale è messo a dura prova da una situazione di diversità, come può essere la malattia cronica del proprio figlio.

Tutti voi conoscete quale ruolo importante abbia la famiglia normalmente nello sviluppo del bambino.
La famiglia svolge nei confronti dei figli delle funzioni essenziali riferite alla formazione della personalità. Allo sviluppo delle identità del bambino, della sua socializzazione, l'identificazione delle modalità attraverso le quali si deve strutturare la sua vita emotiva, aiutandolo a passare da uno stato di dipendenza totale ad uno stato di autonomia, di indipendenza, aiutandolo quindi a separarsi, a diventare autonomo, a diventare un adulto.
Questo significa che la famiglia determina in gran parte il destino psichico del bambino.
Il bambino, a sua volta, interagisce con i membri della famiglia e crea quindi delle reazioni nei membri della famiglia stessa. Può favorire dei processi di cambiamento all'interno della famiglia ma può anche essere colui che frustra le aspettative più profonde ed i bisogni dei genitori.
Tutti gli studi psicoanalitici si sono molto occupati di studiare la reazione "madre-bambino" che si instaura fin dagli albori della vita in utero.
Di fatto è importante anche la figura paterna perché anche quando è, per motivi di lavoro, assente, ed è di scarso aiuto sul piano della vita pratica, quotidiana, di tutti i giorni, è comunque una persona che è presente nella mente della mamma.
Il rapporto di coppia. E in quanto presente nella mente della mamma può essere un elemento di sostegno per lei che si deve occupare del bambino, ma può anche essere un elemento di preoccupazione o un elemento di conflitto se le cose non vanno bene nella coppia.
Le modalità del rapporto della coppia e le storie personali di entrambi i genitori, che sono comunque precedenti alla nascita del bambino, determinano proprio il clima all'interno del quale ci sarà l'accoglimento di questo bimbo.
Quindi il fatto che scoppi improvvisamente un dramma come quello di avere un bambino con dei grossi problemi, fa scoppiare delle dinamiche di coppia che comunque erano già preesistenti alla nascita del bambino.
Il bambino crea semplicemente un problema in più e fa emergere uno stato di tensione, oppure cementa di più l'unione tra i due genitori.
Non sto dicendo che tutte le coppie sono patologiche, sto soltanto dicendo che la nascita di un figlio problematico è il fattore scatenante per mettere in evidenza ancora di più, se ce ne sono, dei problemi.
Quando la situazione di patologia è così visibile come avviene per il bambino con mielomeningocele, fin dai primi momenti di vita, i rapporti iniziali tra genitori e bambino, che sono fatti soprattutto di reciproco incontro, di bisogno di riconoscersi nel proprio figlio, sono sconvolti dalla presenza di un nuovo elemento che è la patologia.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


LE ESPRESSIONI DELLA FAMIGLIA

Questa patologia segna un inizio diverso; è molto traumatico, è molto difficile assorbire lo sgomento suscitato dall'ingresso nella propria vita, mentale e reale, di un bambino che non ci aspettavamo ed è inatteso, non è gradito, pensandosi con lui e con il suo problema tutti i giorni, un giorno dopo l'altro, da oggi in poi.
Le fantasie antecedenti alla nascita, ampiamente investite di affetti e soprattutto di speranza, si frantumano lasciando sensazioni di vuoto, di fine, e di non futuro.
Il senso di continuità, legato alla creazione e alla nascita del figlio, viene sentito come totalmente deviato e l'aspetto rassicurante che racchiude in sé un evento come quello della nascita, viene rovesciato completamente nel suo opposto, la tragedia, l'assenza di futuro.
Le domande che i genitori si pongono quando nasce un bambino con problemi sono moltissime e queste moltissime domande le pongono anche a noi operatori.
Qual'è il primo problema di un bambino danneggiato?
Quali sono i criteri ed i parametri da seguire nella sua educazione?


Quali sono gli obiettivi da seguire una volta conosciuti i suoi limiti funzionali?
Tra tutte le risposte possibili, quella che io in genere preferisco dare quando mi fanno queste domande è quella che più si avvicina alla risposta che darei per i problemi dei bambini normali.
Il punto di partenza è lo stesso sia per il bambino con problemi che per i bambini normali, e cioè assicurare loro delle condizioni fisiche e psicologiche le migliori possibili e un'atmosfera familiare e ambientale più serena possibile.
Pensando al ruolo che la famiglia svolge nei confronti del bambino, possiamo dire che ha una serie di funzioni che sono importantissime.
Ve le riassumerei così:
- Generare amore
- Promuovere la speranza
- Contenere la depressione
- Pensare
- Promuovere odio
- Seminare disperazione


   Quando dico generare amore penso di non dovervi dare molte spiegazioni.
È la funzione della famiglia, è il rapporto con il bambino.
Amore inteso anche nel senso di dare cure a questo bambino, preoccuparsi dei suoi bisogni e delle sue necessità.
Attraverso questo primo legame si trasmette al bambino la capacità di mettere dentro di sé delle cose buone, la capacità di sviluppare la preoccupazione per gli altri, l'amore per gli altri, la fiducia negli altri.

   Promuovere speranza: e cioè favorire la crescita dei propri membri, sollecitandoli ad avere delle aspirazioni, sollecitandoli ad investire in nuovi progetti e non chiudendosi in se stessi e non pensando più a che cosa può essere il futuro.

   Contenere la depressione: quando il dolore è molto grande, è difficile.
Credo che sappiate tutti, comunque ve lo ricordo, che si cresce e si matura attraverso la depressione, attraverso la tristezza ed attraverso il dolore, non attraverso la maniacalità.
Questo è un processo di crescita che abbiamo fatto tutti attraverso la sofferenza, attraverso l'elaborazione delle frustrazioni siamo cresciuti, siamo diventati degli adulti.
Questo succede normalmente ai nostri figli, ma ci sono dei casi in cui il dolore è troppo forte, troppo grande, ed allora non si riesce a contenere e non si riesce ad elaborarlo.
Se questo lavoro non lo riescono a fare gli adulti, tanto meno riuscirà a farlo il bambino perché l'adulto non sarà in grado di aiutarlo e di stimolarlo a crescere nella speranza ed allora questo dolore diventerà veramente incontenibile, creerà delle angosce molto grandi e questo bambino sarà quello che poi, diventato un pochino più grande, avrà anche delle difficoltà nei suoi processi maturativi, compresi i processi di apprendimento.

   Pensare: comprendere, creare, provvedere, progettare, è la funzione genitoriale.
I genitori devono fare questo, è tipico del ruolo genitoriale che permette alla famiglia di trovare al suo interno le risorse, la capacità di pensare, la capacità di comprendere. In caso contrario si stabilisce una rigida dipendenza da valori e modelli esterni, e non ci sarà un'elaborazione propria all'interno della famiglia stessa.
Nei casi in cui ci sono dei problemi, la funzione della famiglia può virare all'opposto, ed allora il promuovere amore può diventare promuovere odio, il promuovere speranza può diventare seminare disperazione e con la disperazione può venire l'angoscia, il pensare può diventare il creare bugie e confusione.

   Promuovere odio, vuol dire attaccare i legami d'amore facendo leva sui sentimenti ostili che nascono dalle frustrazioni.
Esattamente quello che vi ho detto prima, cioè se ci sono delle tensioni precedenti, una frustrazione così grande come è quella di avere un bambino con problemi, può fare benissimo scattare una molla di questo tipo ed allora il legame d'amore si trasforma in legame di tensione.

   Seminare disperazione, cioè quando viene meno la capacità di credere in un cambiamento, la capacità di credere in un futuro e mancano le energie e le forze per andare avanti: ci si ripiega su se stessi e ci si chiude.
Questa disperazione segue l'angoscia, un'angoscia così grande che spesso coinvolge tutti i membri della famiglia, bambino compreso, che viene coinvolto in questa disperazione e, torno a ripetere, spesso i suoi problemi di maturazione e di apprendimento hanno proprio una causa in questi problemi psicologici.

 Quando dico creare bugie e confusione, dico il contrario del pensare, cioè a volte partecipare ad una realtà così dolorosa come è la malattia cronica del figlio, può veramente a portare a confondere i termini del problema, ad alterare la realtà, a far pensare che fuori tutto il mondo è cattivo, che nessuno ci aiuta e che soltanto se siamo chiusi nel nostro ambiente, nella nostra famiglia, riusciamo a risolvere i problemi. Questo non è sempre vero, ed a volte dipende da alcuni stati di sofferenza della nostra mente.
Certamente voi mi direte che sono tutte belle parole, fatto sta che poi, al momenteo buono, quando il bambino ritorna a casa dall'ospedale, i problemi reali sono effettivamente molti.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


LE ATTIVITA' EXTRA-FAMIGLIARI NELL'ORGANIZZAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA
Una delle difficoltà è l'organizzazione della vita quotidiana.
   Ormai siamo arrivati ad essere delle famiglie nucleari: papà, mamma ed un figlio, due figli al massimo. La famiglia numerosa è un ricordo.
La famiglia nucleare ha ridotto le possibilità di avere un reciproco aiuto ed ha creato, e spesso favorito, delle situazioni di isolamento che sicuramente hanno fatto sì che i processi di crescita individuale dei genitori siano migliorati.
I genitori, anche se molto giovani, hanno imparato a cavarsela da soli.
D'altra parte la famiglia nucleare, ha reso molto difficile la gestione di alcuni problemi che riguardano ad esempio gli impegni di lavoro della mamma e l'organizzazione di attività extra-familiari.
Il lavoro della mamma è un interrogativo che pone, credo, a tutte le donne che prima di avere un bambino danneggiato lavoravano.
La scelta di lasciare il lavoro o di continuare è veramente un grossissimo conflitto.
   Il fatto di scegliere di continuare a lavorare crea dei problemi e dei sensi di colpa: si ha paura di abbandonare questo bambino che ha tanto bisogno di noi. A volte, però, può succedere che la scelta di continuare a lavorare, dipende dal fatto che in quel momento per la mamma il continuo rapporto con questo bambino diventa veramente un peso troppo grosso che annienta.
   Questo senza colpevolizzare nessuno, proprio perché ci siamo detti che stiamo parlando di un dolore veramente grande e di un dolore che non passa mai. In certi momenti forse è anche meglio sostituire o comunque mettere degli intervalli in questo rapporto madre-figlio-fisioterapista-scuola-giochi. Questi momenti sono comunque un respiro per la mamma e, diciamocelo pure, anche per il bambino, perché comunque un rapporto dove c'è tanta angoscia, tanto dolore, alla fine diventa pesante anche per il bambino.
D'altra parte data la nostra situazione sociale attuale è estremamente difficile trovare delle persone che ci aiutino nella quotidianità.
    Affidare il bambino con tranquillità è per voi, che avete problemi di cateterismo, tutorizzazione ecc.....una preoccupazione, perché raramente le strutture esterne collaborano, in questo.
La mamma molto spesso rinuncia alla sua attività per occuparsi del suo bambino, perché comunque la realtà è tale per cui nessuno le dà un aiuto.
Però, sotto questo dato di realtà, che rappresenta la motivazione razionale, esiste una motivazione inconscia.
A volte subentra il pensiero magico, si vuole offrire qualcosa della nostra vita o addirittura la nostra vita, perché si pensa che ciò a volte possa far sì che il bambino migliori.
È tipico dell'inconscio delle mamme offrire se stesse o una parte di se stesse a questo destino crudele in cambio della salute, del recupero del proprio bambino.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


I MODELLI DI FAMIGLIE DI FRONTE AL DOLORE
   Dall'esperienza del lavoro quotidiano di tutti gli operatori che lavorano con bambini con problemi e le loro relative famiglie, si possono descrivere tre tipi di famiglie, esempi reali di reazioni che si hanno di fronte al dolore della nascita di un bambino con problemi.
Non sto dando valutazioni sulla "famiglia modello", ma sto parlando dei meccanismi di difesa che ciascuno di noi mette in atto di fronte al dolore.
Ci sono genitori che, passato il primo momento, dicono: "ok è così, non fa niente, lo accetto così com'è. È un bambino che è uguale a tutti gli altri".
Ho riassunto dei discorsi molto lunghi che forse vi sono familiari.
Bene, questa è un'accettazione idealistica di questo bambino che serve a tenere la strada sbarrata al dolore, e perché?
Se i genitori facessero un esame della realtà, incomincerebbero immediatamente a soffrire perché immediatamente inizierebbero a preoccuparsi del futuro di questo bambino, adulto tra non molti anni.
Il fatto di dire "ok è un bambino, ha la sua patologia ma ha le sue cose positive", serve a rimandare il problema.
Questo problema scoppierà appunto nel momento in cui ci sarà il confronto con gli altri bambini, nella scuola materna, elementare.
Non è come tutti gli altri, e ci sarà un momento in cui bisognerà prendere coscienza che non è come tutti gli altri.
Quindi, in questo senso parlavo di "idealizzazione".
Idealizzazione anche delle proprie capacità di genitore.
"È facile fare il genitore di un bambino sano, ma io saprò essere un bravo genitore di un bambino portatore di handicap".
Questo potrebbe essere il primo esempio di famiglia.

Un secondo esempio è quello dei genitori che, superato il momento dell'intervento chirurgico iniziale, del ricovero, ecc. diventano immediatamente iperattivi: partono, cercano il migliore specialista in Italia, all'estero, comunque la persona che è più competente, più brava; si informano immediatamente di tutto, di tutti gli aspetti della malattia, di tutto quello che si può fare. Richiedono nel più breve tempo possibile il programma riabilitativo dettagliato mirato alla patologia del proprio bambino, sono informatissimi su tutti gli altri casi che ci sono nella città, nella provincia; su che cosa fanno gli altri bambini in riabilitazione, da quali specialisti sono andati ecc. A volte ripetono anche a casa i giochi e gli esercizi che hanno visto fare alla fisioterapista. Sono perfettamente informati sugli ausili, sui tutori, sui vari materiali dei tutori, ecc.
Che cosa succede? Il bambino con i suoi problemi esaurisce tutte le loro attività di coppia.
A volte è la coppia che fa questo lavoro di tipo informativo, papà e mamma vanno insieme a portare il bambino dallo specialista, ecc.
Altre volte c'è una divisione dei compiti: nel senso che la mamma è quella che va ad accompagnare il bambino, segue i ricoveri, ecc.; il papà è quello che lavora, è quello che ha il doppio lavoro, è quello che lavora 18 ore al giorno, perché comunque, (e non ce lo nascondiamo) andare dagli specialisti, cercare i centri migliori, comporta avere dei soldi, questo è indubbio. Allora, come dicevo, apparentemente c'è una divisione dei compiti, nella realtà dei fatti c'è un'unione delle forze nell'affrontare questi problemi in questo modo, che direi, è una iperattività che porta ad "agire anziché soffrire".
Faccio delle cose per questo bambino, faccio tano, mi informo, mi dò da fare, penso il meno possibile, mi occupo del presente, del tutore di questo momento, del seggiolino di questo momento, non penso a cosa sarà lui, in futuro.
Allora, capite voi stessi, che di nuovo questa è una modalità per tenere a bada il dolore.
È un rischio per la coppia, perché se l'unico punto di unione diventa la iperattività per risolvere i problemi del bambino, la coppia rischia di saltare dopo un pò perché non è sufficiente un argomento di questo genere per tenere insieme una coppia.

Altri genitori al momento della diagnosi percepiscono che il loro bambino è rovinato, che non c'è più niente da fare per lui, è la fine.
È vero che accettano di fare gli esami, che accettano di fare i controlli, accettano anche, magari dopo un certo periodo di tempo, di iniziare la terapia riabilitativa; il trattamento riabilitativo però è sempre affrontato con molta diffidenza, con molta cautela, sempre facendo in modo che i controlli, le visite mediche, i trattamenti riabilitativi non interferiscano più di tanto con quello che già loro stanno facendo per il bambino, che è curarlo, accudirlo, alimentarlo, tenerlo protetto all'interno della casa.
Sono quelle famiglie dove tutte le scuse sono buone per tenere il bambino a casa, per non farlo uscire, per non portarlo fuori: dalla cistite, alla bronchite e tanti altri problemi. Il bambino viene tenuto tra le mura di casa e lì viene protetto. Questi genitori sono genitori diffidenti del nuovo, sono diffidenti delle esperienze degli altri, sono diffidenti dei diversi metodi di trattamento e non vogliono sapere se Tizio fa un trattamento, Caio fa un altro trattamento; non vogliono, proprio per niente, anzi evitano di incontrare genitori che hanno bambini come il loro.
La famiglia diventa così poco per volta una famiglia chiusa in se stessa, una famiglia che protegge il figlio da interferenze che giudicano eccessive e lo protegge da ogni possibilità di sofferenza, però non permette a questo figlio di fare l'esperienza che normalmente un bambino dovrebbe fare.
Mette in atto quello che si chiama meccanismo di proiezione, cioè pensa che fuori ci sono tutte le cose cattive e brutte e ciò che è dentro di noi sono tutte le cose buone.
Però anche noi abbiamo delle cose buone e delle cose cattive, anche noi abbiamo degli alti e bassi, anche noi abbiamo dei momenti di amore e dei momenti di odio, dei momenti di speranza e dei momenti si sconforto., anche se è difficile ammetterlo.
Allora questo cosiddetto meccanismo di proiezione ci permette di buttare tutto fuori, quindi il mondo esterno diventa cattivo.
Ma ritorniamo alla famiglia: questo tipo di coppia è una coppia che è molto unita, ma è una famiglia chiusa in se stessa. Un nucleo familiare chiuso in se stesso, unito, però su cosa? Sui problemi del figlio, sulla protezione del figlio e non unito su altri elementi che possono invece tenere unita la coppia. Quindi è una coppia che può essere unita e che può esserlo per moltissimo tempo, è una coppia su cui prima o poi può succedere che salteranno fuori dei problemi.

Di altri genitori, ancora, colpisce il dolore sconvolgente, la richiesta immediata di essere sostenuti, di essere guidati; la dichiarazione del loro stato confusionale, della loro icapacità di pensare effettivamente. Sono i genitori che crollano al momento della diagnosi, al momento dell'inizio dell'intervento riabilitativo: gravi depressioni materne che hanno bisogno di un bel pò di tempo per essere superate. Questi genitori sono genitori che trovano utile essere confortati, e trovano anche così utile il poter lasciare il loro bambino ad altri se questi altri ci sono, che posson essere i nonni, gli amici o parenti prossimi, in modo da poter recuperare le loro colpe interne, per potersi poi occupare bene di questo bambino.
Questi genitori sono quelli che dopo questo momento di tragedia incredibile hanno un altro periodo che è quello in cui mettono tutte le energie e tutta la loro forza nella ricerca dei perché. "Perché è successo a me, proprio a me una disgrazia di questo genere? Che cosa ho fatto di male? O che cosa c'era per cui ad un certo punto è saltato fuori un bambino con problemi?"
Passato questo periodo, in cui comunque il "perché" si esaurisce (molto spesso non c'è una risposta), questi genitori sono poi quelli che riescono veramente a recuperare le loro forze e ad occuparsi realmente del bambino, ad essere autonomi; autonomi dai servizi, autonomi nelle decisioni nei confronti del bambino, ad essere anche autonomi nel trovare delle risorse come coppia.
Che cosa è successo a questi genitori? Hanno affrontato il lutto, hanno affrontato la perdita.
Vi porto un paragone di vita reale.
   Quando muore una persona cara, la prima cosa che capita dentro di noi è l'esplodere dei sentimenti di colpa e incominciamo a pensare "se quella volta non gli avessi risposto male", "se quella volta che mi ha chiesto aiuto l'avessi fatto", se, se, se,...poco per volta questi sentimenti di colpa vengono elaborati, poco per volta quello che rimane di questa persona che è morta è il ricordo; il ricordo di quanto siamo stati bene con lui o con lei, delle cose che abbiamo fatto insieme e al posto del senso di colpa, sopravviene la nostalgia per quella persona, la malinconia:
Questo è il processo, detto in poche parole, della rielaborazione del lutto.

Cosa succede a quest'ultima coppia di genitori di cui abbiamo parlato?
Vanno in crisi, cercano in un qualche modo di elaborare i sensi di colpa. Ad un certo punto affrontano la realtà così com'è, con il ricordo, la malinconia e la nostalgia di quel bambino sognato, idealizzato, mai nato.
Abbiamo parlato della famiglia nucleare. In alcune famiglie ci sono anche altre persone di cui comunque bisogna tener conto. Direi che possiamo fare un accenno a figure importanti quali i fratelli e i nonni.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


RAPPORTI CON I NONNI
I nonni qualche volta sono presenti, qualche volta non ci sono per nulla.
A noi operatori arrivano poche notizie dei nonni, però qualche volta ci sono e meno male. Sono delle persone che in fondo soffrono due volte, soffrono per il nipote e soffrono per il dolore e la dura prova a cui è sottoposto il proprio figlio o la propria figlia.
Anche in questo caso possiamo individuare una serie di nonni con le loro reazioni.
Ci sono nonni che sono subito presenti, subito disponibili, intervengono subito, sono quelli che molto spesso permettono alla mamma di ritornare a lavorare e sono quelli che danno una mano reale nel senso di occuparsi del bambino, di portarlo a fare fisioterapia, di andare a farsi fare la prescrizione dei pannolini ecc.
Statisticamente, per quello che si vede, sono comunque più facilmente i genitori della mamma a svolgere i compiti di questo genere (senza togliere nulla ai genitori del papà).

Ci sono degli altri nonni che sono invece quelli assenti. Assenti come se abitassero in un'altra città: non abitano in un'altra città, sono li, ma sono fermi.
Nei colloqui con i genitori si percepiscono alcune frasi del tipo: "sono anziani, hanno i loro problemi, sì li vediamo ogni tanto". Sono le persone alle quali non si può chiedere aiuto parché si difendono come possono da questa tragedia che è successa. Non vogliono essere coinvolti.

Poi ci sono i nonni "a chiamata" che intervengono solo se interpellati.
Comunque sono delle persone disponibili ma rispettose della volontà del loro figlio o della loro figlia ed anche molto rispettosi del loro dolore direi; per cui se sono chiamati, se si chiede il loro aiuto, intervengono e lo fanno molto volentieri, però se non sono chiamati rimangono sullo sfondo.
   A volte si dice "ma non lascio il bambino ai nonni perché loro hanno dei metodi educativi diversi dai nostri, sono più permissivi, gli concedono tutto, gli fanno fare tutto quello che vuole". Io credo che se c'è confusione nei ruoli, c'è confusione già tra i genitori ed i nonni, allora quello che si trasmette è confusione, ma se non c'è confusione dei ruoli, cioè il ruolo dei genitori è quello, ed il ruolo dei nonni è quell'altro, non si trasmette nessuna confusione al bambino.
E il bambino sa benissimo come comportarsi quando è con i genitori e quando è con i nonni.
Anzi, è un'esperienza positiva per il bambino perché comunque sono due modalità di relazionarsi in maniera diversa.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


RAPPORTI MADRE-FIGLIA
A volte, i rapporti tra la mamma del bambino e la sua mamma vengono un pò messi in crisi con la nascita del figlio con problemi. Possono scoppiare sentimenti o tensioni che preesistevano nel rapporto madre e figlia già prima della nascita di questo bambino.
Tenete presente che la fantasia che la bambina ha quando cresce, diventa grande, diventa adolescente, diventa pubere, se ha avuto un buon rapporto con sua madre, è "sarò in grado di essere brava, di diventare brava come la mia mamma?".
Il fatto di fare un figlio non perfetto è la prova che "non è" stata brava come la sua mamma, è la prova che "ha fallito".
È chiaro che non è un ragionamento che noi ci facciamo così apertamente ed in modo così razionale. Fa parte di quel discorso che facevo prima che parte dall'inconscio, però questo esiste, c'è un continuo confronto tra la figlia femmina e la sua mamma perché comunque c'è sempre una mamma brava e perfetta da eguagliare e da imitare.

Il fallire quello che è uno dei compiti principali della donna, comunque una delle affermazioni della propria femminilità, il fallire nel fare un figlio, è un motivo di sentirsi, seppure in maniera inconscia, inferiore alla propria mamma. Allora quelle tensioni, quelle preoccupazioni che c'erano prima possono risaltare fuori ed il rapporto tra madre e figlia può risentirne.
Questa può essere una delle ragioni per cui la figlia non affida tanto volentieri il proprio bambino alla sua mamma.
Resta il fatto che i genitori, tutti i genitori che hanno bambini con problemi, sono sottoposti ad uno stress continuo giorno su giorno, mese su mese, anno su anno, sempre.
E credo che se la coppia vuole un minimo salvarsi e un minimo preservarsi come tale deve avere i suoi spazi. Non deve sempre e solo pensare all'angoscia che dà quel bambino, ed ai suoi problemi,
Quindi deve ricavarsi i suoi spazi per cui nonc'è niente di male andare a farsi un week-end, andare una sera a cena, andare al cinema e a coltivare gli interessi che ci sono in comune. Bisogna trovare il modo di farlo. Se i rapporti con i nonni sono buoni, chi, se non loro può darvi una mano? È molto triste sentire dire "no, ma i miei non lo fanno, hanno dei problemi loro" o peggio ancora sentire i nonni che dicono "si lo farei se fosse per necessità, ma siccome devono andare a divertirsi che s'arrangino un pò".
Ecco credo appunto che questo tipo di rapporto con i propri genitori, se c'è, occorre cementarlo, e se non c'è sarebbe il caso di recuperarlo, proprio per una salvezza della vita di coppia.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


RAPPORTI CON I FRATELLI
Parliamo ora dei fratelli.
   Bisogna tenerne molto conto sia per il ruolo che possono essere chiamati a giocare nell'educazione del bambino danneggiato, sia per i problemi che essi stessi pongono per il loro sviluppo e la loro salute mentale. Essi vivono in un ambiente che è un pò diverso dall'ambiente che normalmente dovrebbero trovare.
Parliamo prima dei fratelli maggiori rispetto al bambino nato con Spina Bifida e poi dei fratelli minori.
Il fratello più grande ha vissuto tutto l'iter della gravidanza, l'allontanamento della madre, la crisi profonda dei genitori, il ricovero di questo nuovo bambino, che non viene a casa, continua a stare in ospedale ma che comunque trattiene la mamma fuori di casa.
Questo bambino viene tenuto dai nonni o viene seguito dai vicini di casa e quindi viene allontanato. Allora un sospetto affiora nella sua mente: che il nuovo venuto lo stia spodestando alla grande. Durante la gravidanza aveva comunque colto il parziale distacco dalla mamma, proprio perché la mamma era concentrata sulla sua gravidanza, sulla sua salute, sul nuovo bambino che stava arrivando e quindi ora egli ha tutti i motivi per essere geloso. È fisiologicamente geloso di questo nuovo fratello e proprio perché è geloso, si arrabbia e quindi può diventare aggressivo e lo diventerà ancora di più nel momento in cui la mamma tornerà a casa con questo bambino, perché tutti i suoi sospetti troveranno una conferma nel dato di realtà perché la mamma si deve occupare tanto di questo bambino che ha bisogno di tante cure e, comunque, sarà ridotto il tempo che potrà dedicare a lui.
Ecco, questa sarà la conferma di essere stato spodestato.
I bambini hanno una modalità di ragionare che, in parte, si basa sui dati di realtà, ma in parte si basa sulle loro fantasie; posseggono quello che tutti gli autori definiscono "pensiero magico" quindi, magicamente, traggono le loro conclusioni e le loro deduzioni dei fatti che normalmente capitano anche di fronte ad una realtà evidente: loro, comunque, vanno avanti con il loro pensiero.
Il pensiero magico è tipico dell'età infantile.
Allora che cosa penserà questo bambino indipendentemente da tutte le vostre spiegazioni razionali, come: "vedi il fratellino è ammalato, ha bisogno della mamma, il fratellino è stato in ospedale"?
Lui penserà che si è talmente tanto arrabbiato dentro di sé con questo nuovo venuto che è l'usurpatore della sua mamma, che è colui o colei che ha portato via la sua mamma e tale è stata la sua rabbia che in qualche modo ha finito con il far male a questo fratellino. Si colpevolizza quindi in una maniera indiretta del fatto che il fratellino sta male.
Un altro problema o un altro pensiero che può elaborare questo bambino è: "io mi sono arrabbiato tante volte, tutte le volte che il papà e la mamma se ne sono stati insieme per i fatti loro e mi hanno messo da parte"
(succede, è la regola ed è normale che sia così, che da una parte ci sia la coppia dei genitori e dall'altra ci siano i figli); "però troppe volte mi sono così arrabbiato e questa rabbia ha fatto sì che quello che è il prodotto dell'amore dei miei genitori possa essere danneggiato proprio dalla mia rabbia".
Si colpevolizza e, nella misura in cui si colpevolizza si deprime, diventa triste e rabbioso; quindi comincia a protestare, comincia a fare i dispetti, comincia ad avere delle pietose richieste di attenzione per se stesso; comunque prova a farne di tutti i colori. La vita quotidiana, come ho già detto prima, proprio perché la mamma è costretta ad occuparsi tanto di questo nuovo venuto e ad allontanarsi parecchie volte con lui, non fa niente altro che confermargli di essere stato messo da parte.
Fratello più piccolo. Affrontiamo ora il caso in cui il bambino sano è secondogenito rispetto al bambino con mielomeningocele.
Credo che occorra fare una premessa.
Bisogna avere un grosso coraggio per fare un altro bambino dopo che si è avuto il primo con problemi. E questo coraggio da che cosa deriva? Da alcune fantasie che possiamo avere dentro di noi: ad esempio realizzare quel bambino che abbiamo sempre in testa e finalmente dimostrare a noi stessi ed agli altri che siamo capaci.
Oppure in molti casi creare un sostegno per il fratello malato o un sostituto per gli anni a venire quando i genitori non ci saranno più.
Arrivare, qualunque sia la motivazione, a concepire un altro bambino dopo averne avuto uno con problemi, con la non sicurezza di poter evitare sicuramente il danno (non è detto che anche con diagnosi preventive riusciamo ad evitarlo) è veramente molto difficile.
È del tutto naturale che il secondogenito venga investito di compiti particolarmente gravosi, e gli vengano date delle responsabilità. Dovrà diventare autonomo molto velocemente (non c'è tanto tempo per seguirlo perché, comunque, bisogna occuparsi dell'altro), dovrà essere il più precoce possibile per non distogliere i genitori dall'altro bambino; dovrà essere buono, mangiare, dormire alle ore dovute, imparare presto a controllare gli sfinteri e, quando inizierà a camminare dovrà fare attenzione a tutte le sue evoluzioni per non "far male" al fratellino che sta camminando con i tutori e perché papà e mamma non possono stargli molto dietro. Lo stesso pensiero magico e gli stessi sentimenti descritti nel primo bambino sono presenti anche nel fratello minore quindi, con il passar del tempo, avrà la convinzione di essere stato lui a danneggiare il fratellino con la sua aggressività.
Così su di lui, agiranno sia i sensi di colpa, sia la paura di perdere la madre e poi ci saranno tutte le richieste di responsabilità che l'ambiente circostante gli farà, che spesso sono del tutto sproporzionate all'età del bambino.
La causa di tutto questo è il fratello malato.
Il fatto che il secondogenito si "arrabbi" con il fratello malato è inevitabile. E allora il suo comportamento dipenderà dalle difese che egli riuscirà a mettere in atto.
Ci sono, ad esempio, dei bambini che diventano buonissimi, dolci, si occupano del fratello, hanno cioè un comportamento controllato, dedito totalmente al proprio fratellino danneggiato e l'aggressività, in questi casi, non compare quasi mai, o viene derivata sul soma (malattie psicosomatiche).
Altri bambini invece hanno un comportamento orientato verso la rivendicazione della propria quota d'amore: capricci, pietose richieste di attenzione, strani e frequenti incidenti che capitano proprio perché la madre si occupi di lui.
Il fratello sano diventa il destinatario di tutte le aspettative mancate ed insoddisfatte dell'altro fratello per cui viene fortemente idealizzato dai genitori: non può sbagliare, e se sbaglia "lo fa apposta", deve andare bene a scuola e questo perché, in qualche modo, deve riscattare l'immagine dell'altro. A volte deve andare nella stessa scuola materna ed elementare dove va il fratello per proteggerlo, per aiutarlo a cavarsela, per assicurarsi che non gli succeda nulla.
Proprio perché è investito di un ruolo semi-maestro, fa nei confronti del fratello malato quello che fa la madre; niente altro che rinforzare un legame di dipendenza totale tra bambino malato e persona sana che si occupa di lui.
   Ecco, non credo di potervi dare delle ricette, cioè quello che posso dirvi è: "fate attenzione ad evitare che capitino queste cose".
Difficile dirvi come fare, difficile darvi dei consigli, non esiste una possibilità di questo genere. Io credo che quello che tutti voi dovete pensare, se avete degli altri figli, è che il fratello sano più grande o più piccolo che sia ha tutti i diritti, ha tutte le difficoltà e le esigenze di qualsiasi altro bambino.
Soprattutto ha bisogno di sperimentare le sue capacità e la sua autonomia, "sua" di bambino, e di presentarsi al mondo senza essere continuamente appesantito dal fardello del suo fratello malato.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


LA CRESCITA EVOLUTIVA
   Vorrei dire ancora una cosa che riguarda il legame tra il bambino danneggiato ed il genitore; è un legame di dipendenza che va al di là di ogni limite normale e questo perché? Sicuramente perché è un bambino che ha bisogno di cure e quindi viene più facile trattato come un bambino piccolo e non dargli la sua autonomia e non chiedergli di fare delle cose che invece potrebbe fare. E poi proprio perché c'è la convinzione dentro questo genitore che nessuno sa occuparsi del suo bambino meglio di lui, nessuno sa difendere il suo bambino meglio di quanto lo faccia lui.
Esiste un'altra convinzione, quella cioè che il cosiddetto mondo dei sani non accetti così sempre a braccia aperte e con grande simpatia i ragazzini che hanno dei problemi. Queste sono delle realtà e delle ansie che ciascun genitore si porta dentro.
Occorre però sottolineare che nel tentativo di proteggere il proprio figlio, di evitargli delle frustrazioni, di evitargli dei momenti di tristezza, rischiamo anche di fare un'altra cosa, di non farlo crescere, perché comunque siamo di fronte ad un bambino che è danneggiato, ma che ha anche le sue parti sane, e queste parti sane devono crescere e devono diventare grandi come in qualunque bambino.
Vi faccio ancora un breve accenno ad un altro problema che è quello dell'inserimento del bambino a scuola.
Canevaro, che è uno fra i più famosi psicopedagogisti italiani, a proposito dell'ingresso del bambino a scuola, scrive: "Quando un bambino va a scuola, è come se fosse portato in un bosco lontano da casa, ci sono dei bambini che si riempiono le tasche di sassolini e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte alla luce della luna, ma ci sono dei bambini che non riescono a far provvista di sassolini e lasciano delle fragili tracce di pane secco, così si perdono nel bosco e non sanno più ritornare a casa".
La favola di Pollicino che conoscete tutti è il simbolo della separazione, della crescita, dell'allontanamento del bambino dalla sua casa in un mondo sconosciuto: la scuola, il bosco pauroso.
I bambini che non sanno ritrovare la strada del ritorno, perché sono fragili, privi di strumenti psicologici o di strumenti fisici adeguati, sono bambini che sono condannati a vagabondare senza spazio e senza tempo perché la scuola stessa a volte non sa tenere conto del loro passato, dei loro bisogni attuali, delle ansie legate a questa nuova esperienza.
Per il bambino con deficit, l'esperienza scolastica suscita dei timori, dei conflitti e delle angosce, li suscita in lui ma li suscita anche nei suoi genitori e nelle insegnanti, che sono comunque delle persone come noi, per quanto si possa pensare, sperare, ipotizzare che l'insegnante, la cosiddetta insegnante "d'appoggio", sia una persona preparata ad affrontare tutti i tipi di deficit, di handicap e tutti i problemi.
Le insegnanti comunque sono delle persone che vanno in crisi come andiamo in crisi noi operatori, come andate in crisi voi genitori.
Allora, in questa situazione, la scuola appare al bambino come un bosco pauroso, l'handicap già dolorosamente sperimentato, può diventare un oggetto di persecuzione con sensazione di esclusione e di abbandono, cioè il bambino si sente tagliato fuori, si sente perduto nel bosco, non c'è nessuno che lo aiuta perché non c'è nessun adulto che in quel momento è in grado di contenere le sue paure, le sue ansie, di dargli fiducia e sicurezza, per andare avanti.
Da qui l'importanza di un ambiente familiare che comunque contenga le ansie e dia un sostegno a questo bambino per proseguire nel suo cammino; da qui l'importanza, e questo è un discorso che riguarda anche noi operatori, di dare una mano a questi insegnanti che hanno a che fare con questi bambini; perché non possiamo chiedere sempre l'impossibile a tutti, dobbiamo collaborare anche noi.
Non sempre ci si interroga su come il bambino viva la propria diversità rispetto ai compagni. Non ci si interroga su questo perché è un'altra cosa che fa molto male, e allora succede che molto spesso si dà per scontato che il bambino non abbia una consapevolezza adeguata, e proprio perché non ha una consapevolezza adeguata del proprio deficit, sia sufficiente dimostrargli tanto amore e tanta comprensione.
Non basta, non basta perché il bambino si rende conto della sua diversità ed a questo punto, proprio perché si capisce diverso, ci comunica in un qualche modo questo stato di disagio, di sofferenza, di solitudine.
E non è detto che ce lo comunichi diventando triste.
Qualche volta diventa triste, depresso, non ha voglia di fare le cose che l'insegnante gli chiede di fare, ma altre volte diventa aggressivo, diventa oppositivo, diventa arrabbiato; è comunque un altro modo (l'abbiamo visto prima parlando dei fratelli) per manifestare il proprio disagio, i propri sentimenti di solitudine, la propria sensazione di essere abbandonato.
Il bambino cresce, la scuola va avanti, si passa da un ciclo scolastico all'altro; arriviamo all'adolescenza, un altro momento tragico per il bambino e per i genitori. Perché? Perché segnala la fine dell'età evolutiva, segnala l'ingresso di questa persona nel mondo degli adulti; segnala la fine di tutte le speranze.
Magicamente alcuni genitori sperano che l'età dello sviluppo, la famosa "età dello sviluppo", porti quel miglioramento che hanno aspettato per tutta la vita, non dico la guarigione, perché voi tutti siete molto consapevoli, proprio per il tipo di patologia che interessa i vostri figli rispetto magari ad altri genitori, però la speranza di un ulteriore miglioramento c'è, sempre.
E credo che, proprio perché tutti sappiamo che l'età dello sviluppo porta qualche cosa, e in genere dovrebbe portare qualcosa di buono, tutti speriamo un pò.
Nel momento in cui questo non succede è il crollo ed è la fine. È la fine di tutte le speranze dei genitori e incomincia quella sensazione di vuoto, di non più speranza nel futuro e molto spesso succede che famiglie che hanno lottato, hanno combattuto, hanno fatto delle cose per il loro figlio, fino a quel momento, di fronte a quest'ultimo passaggio biologico, di fronte a quest'ultima conferma che il bambino è così e che comunque non cambierà e comunque sarà un adulto con dei problemi, crollano.
E il crollo è rappresentato dalla chiusura, dalla chisura in se stessi, dalla chiusura nel proprio ambiente familiare, dal chiudere questo ragazzino nell'ambiente familiare per evitargli di affrontare i disagi ed i problemi del mondo esterno, del mondo degli adulti.
Quello che abbiamo fatto fino adesso è stato parlare del dolore mentale che, come dicevo prima, vi accompagna nella vita di questo bambino, è una cosa che non passa, anzi, in certi momenti si riacutizza; si riacutizza quando il bambino va a scuola, si riacutizza quando il bambino passa dall'elementari alle medie, dalle medie alle superiori, in certi momenti della vita: la Prima Comunione, la Cresima, l'adolescenza, quando arriva la cartolina del servizio militare per i maschi, sono momenti che segnano inevitabilmente; ci costringono inevitabilmente ad affrontare la realtà, che il ragazzo è diverso dagli altri.
 

[Le aspettative] - [Le espressioni della famiglia] - [Le attività extra-famigliari nell'organizzazione della vita quotidiana] - [I modelli di famiglie di fronte al dolore] - [I rapporti con i nonni] - [Rapporti madre-figlia] - [Rapporti con i fratelli] - [La crescita evolutiva] - [Le conclusioni] - [INIZIO PAGINA]


CONCLUSIONI
Penso che quello che noi operatori possiamo fare oltre che avere un grande rispetto per il dolore vostro di genitori, è quello di cercare di comprendere umanamente questo.
Lavoriamo con questi bambini, tutti noi penso che tecnicamente facciamo del nostro meglio, infatti l'accusa, che spesso viene fatta da voi genitori, non è quella di incompetenza, molto raro trovare accuse di incompetenza, ma quella di non essere sensibili al vostro dolore, al vostro problema.
Credo che in questo qualche volta abbiate ragione.
Spesso gli operatori fanno la scelta mettersi dalla parte del bambino, cioè di considerare oggetto del loro intervento terapeutico solo il bambino, escludendo, o relegando in un ruolo secondario, le figure dei genitori.
Questo è un errore, che spesso vanifica il lavoro che viene fatto: lavorare con tutto il nucleo familiare permette di considerare meglio quali condizioni vengono offerte al bambino, quali sono le risposte adattive scelte dal bambino e intervenire per tentare di variare le une e le altre pur nella consapevolezza che a volte, di fronte ad un dolore così grande, si riesce a fare ben poco.
torna indietro Pagina precedente




"Il Milleruote" | Scrivici | Pubblicità in questo sito | Relazioni con Apisb
A.Pi.S.B. c/o Centro Spina Bifida Ospedale Infantile Regina Margherita