Il bambino con la Spina Bifida: PARLANO I GENITORI

Giovanna Varrone Piovano (genitore)
Pier Giorgio Rossetti (genitore)
Giuliana Sechi (insegnante di sostegno)


  Vorremmo sostanzialmente mettere in luce alcune delle problematiche che si presentano alla famiglia fin dalla nascita del bambino con Spina Bifida, evidenziando particolarmente le situazioni legate al rapporto con i Medici e i Centri Ospedalieri.
Uno dei primi problemi è, sicuramente, quello della comunicazione della diagnosi alle famiglie subito dopo il parto, per poterle coinvolgere ed aiutare nell'affrontare l'handicap che il bambino dovrà sostenere nella vita.
  Valutare lo stato psicologico della coppia in poche parole sarebbe assurdo ma è importante, per noi genitori, imparare a capire, con l'aiuto dei Medici, che il nostro bambino si può curare ma non può guarire; che dobbiamo diventare, in poco tempo, "traduttori", per noi e per l'ambiente che ci circonda (parenti, amici, insegnanti,...) di un universo di parole difficili, incomprensibili, più o meno sconosciute, a volte violente come idrocefalo, spina bifida, vescica neurologica, incontinenza, tutori,...a cui fanno da sfondo di riferimento diverse figure professionali: il Neurologo, il Chirurgo, l'Urologo, l'Ortopedico, il Fisiatra, i Terapisti della riabilitazione..., che intervengono nel trattamento della patologia.
  Al bambino sognato, idealizzato durante la gravidanza, si sostituisce il bambino reale, malato, diverso da quello immaginato, ma altrettanto presente.
È solo con la nascita che si diventa "realmente" genitori, ma per affrontare la malattia, occorre riconoscere la nostra fragilità di adulti di fronte a questo evento.

  Da una prima fase di "shock", in cui il papà e la mamma sono veramente "tramortiti", si passa ad una fase di disperazione: non si riesce a capire, ci si sente molto persi, disorientati e confusi se non si incontrano le persone "giuste" a cui è possibile chiedere aiuto. La fase successiva è, solitamente, quella della "negazione", che spesso coincide con la ricerca dello Specialista migliore, del Centro iperspecializzato, forse non tanto per capire meglio, ma per sperare in un possibile errore diagnostico sulla gravità della lesione.
  Questa fase è fisiologica e noi tutti genitori la ricordiamo bene: serve a tamponare una realtà che non possiamo accettare immediatamente. Occorre che, anche in questa fase, i Medici e gli Operatori che sono a diretto contatto con la famiglia intervengano perché questo periodo non si prolunghi oltremodo, rischiando di compromettere seriamente la possibilità di creare il normale rapporto con il nostro bambino: si rischia di mettere in secondo piano il suo sviluppo globale e affettivo per dare la priorità assoluta all'aspetto meramente medico-fisiologico.
  È di fondamentale importanza l'aiuto psicologico al padre, che vive più da vicino e, spesso, in solitudine il momento dell'intervento iniziale, e alla madre, ancora in ospedale dopo pochi giorni dalla nascita. Aiuto rappresentato soprattutto da una forte carica umana da parte del personale medico e paramedico.
Bisogna ricordare che noi genitori, che non portiamo a casa il nostro bambino dopo la nascita, spesso sperimentiamo la frustrazione e la paura di non essere poi in grado di farlo vivere bene, di non fare abbastanza. C'è molta insicurezza!
  Si deve stabilire un rapporto di aiuto centrato sul dialogo, sulla chiarezza, soprattutto sulla disponibilità all'ascolto, alla comprensione e alla condivisione di un intervento che non sarà solo dei genitori sul proprio figlio ma che, per molti anni, chiamerà in causa diversi profili professionali, più volte all'anno.
A poco a poco, con sofferenza, ma anche con una gioia profonda, cominciamo a conoscere nostro figlio e riusciamo ad avviare con lui un rapporto di Amore capace di accoglienza e di tenacia, impariamo ad identificarci non solo con i bisogni specifici legati alla sua malattia, ma a lui, nella sua totalità.

  Si arriva intorno ai tre anni, con l'iserimento della scuola materna, ad un altro difficile momento della "professione genitori": quella del sostegno al bambino che inizia a sperimentare gradatamente il confronto con l'altro e la formazione del sentimento di identità.
Il rapporto con gli Ospedali, con i ricorrenti ricoveri e interventi, complica ulteriormente questa delicata fase di transizione.
  Un disagio che incontriamo come genitori è quello di riuscire a coordinare i diversi interventi specialistici intesi come concrete terapie da attuare quotidianamente a casa e a scuola: cateterismo intermittente, tutorizzazione, fisioterapia, enteroclismi, somministrazione di farmaci,...Ogni Specialista, pur se a ragione, bada al suo settore specifico, "frammentando", in un certo senso il bambino. Noi invece, volendo porre attenzione alle esigenze globali di nostro figlio, abbiamo il compito di armonizzare questi aspetti settoriali, pur così importanti, con quella che è la quotidianità: giocare, andare a scuola, coltivare hobbies...
  La famiglia deve riuscire a far coesistere tutti questi processi salvaguardando, al tempo stesso, una serena maturazione (con quanti conflitti e quante difficoltà!!), tenendo ben presente che il bambino con mielomeningocele è, prima di tutto "Bambino" e, in quanto tale, ha numerosi interessi ed ha bisogno di essere aiutato a vivere profondamente i vari passaggi fondamentali della vita: infanzia, pubertà, adolescenza... .

  A conclusione di queste riflessioni vorremmo sottolineare l'importanza della figura del Pediatra come elemento fondamentale di "raccordo" tra la famiglia e il gruppo degli specialisti: Medico con particolari competenze di appoggio e di consiglio per la famiglia, soprattutto, con l'irrinunciabile funzione di "traduttore" per noi genitori dello stato di salute e di difficoltà del nostro bambino. A lui arrivano i responsi delle diverse analisi e dei controlli periodici che facciamo in ospedale; a lui spetta il compito di coordinamento dell'azione terapeutica.
Oltre l'intervento pediatrico, di cui abbiamo accennato, è di rilevante importanza, essendo la patologia complessa e legata a numerosi organi, un'azione coordinata da parte degli Specialisti che si devono confrontare tra loro per non sovrapporre indagini e cartelle cliniche e per rendere i ricoveri ospedalieri sempre meno lunghi e traumatici.
Occorre andare verso un modello di cura che tenga sempre più presente il bambino nella sua totalità, considerando anche la sua famiglia che vive, ad ogni controllo clinico, ad ogni nuovo intervento, la paura del peggioramento, il timore di non farcela, la stanchezza inevitabile, la difficoltà di accettazione della cronicità.
Un "grazie" a tutti i Medici e agli Operatori del settore che hanno scelto di dedicarsi allo studio e alla cura dei nostri figli.

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