neuroni
specchio e dissociazione di Luciana BRANDI, Andrea BIGAGLI
Noi vediamo espressa qui la forma più generale dell’idea di
evoluzione. La sua fecondità di applicazione ad ogni parte del
sapere ha certo oggi un’evidenza che pochi anni fa non si sarebbe
potuta prevedere, oggi, dopo che l’iniziativa della speculazione
filosofica, invece di scendere come un tempo, dalle scienze dello
spirito a quelle del mondo sensibile, sale ogni giorno più da
queste a quelle e le investe tutte. (Barzellotti, “Il concetto delle
scienze storiche”, Rivista di filosofia scientifica, 1886, vol. 5: 210)
Introduzione Nell’affrontare lo studio del disturbo autistico, la prima
questione che si pone - sia dal punto di vista scientifico che da
quello etico - riguarda il legame tra struttura e funzione,
precisamente il legame tra la neurobiologia, il modo in cui si è
sviluppata nell’embrione la struttura cerebrale, e le caratteristiche
con cui si presenta in generale il disturbo della comunicazione, ed in
particolare il disturbo del linguaggio, nel soggetto autistico, anche
longitudinalmente. Da un lato, il bambino autistico pone severi limiti
alla ‘libertà’ di teorizzazione del/la linguista, nella misura
in cui la formulazione di ipotesi che in altri contesti potrebbero
essere elaborate e proposte con tranquillità perché
resterebbero comunque ‘innocue’, nel contesto del disturbo autistico si
correlano, immediatamente, ad un’assunzione di responsabilità:
non possono essere elaborate ipotesi che non siano sufficientemente
testate sulle conoscenze neurobiologiche a disposizione perché
un qualsiasi errore, o anche imprecisione, di livello teorico avrebbe
effetti decisamente negativi, addirittura inibenti anziché
abilitanti, sull’intervento terapeutico che verrebbe progettato a
partire, appunto, da tali ipotesi esplicative. Dall’altro lato,
però, il bambino autistico, proprio perché impone
innanzitutto la propria corporeità come dato ineliminabile da
cui partire, ‘apre’ lo sguardo del/la linguista su orizzonti fino ad
allora inesplorati, e gli/le impone di farlo con una ricchezza
problematica del tutto nuova: con la disponibilità a mettere
interamente in discussione quanto fino * Il presente lavoro nasce da
un’idea di Andrea Bigagli, ed a lui è interamente dovuto, fatta
eccezione per l’Introduzione che, a firma di Luciana Brandi, è
volta a chiarire lo sfondo teorico più generale in cui inserire
le problematiche trattate.154 Luciana Brandi – Andrea Bigagli ad allora
aveva ritenuto conoscenza sicura, e ad oltrepassare il confine del
canone condiviso, per avviare esplorazioni che non si sa se, e dove,
porteranno. Ma tornare indietro non è più possibile,
perché sarebbe ormai privo di senso. Oltre la frontiera del
noto, ci avventuriamo, allora, nella ricerca dei legami tra
‘evoluzioni’: quella neurobiologica, che in parte è già
avvenuta nell’embrione, ma che ancora deve concludersi epigeneticamente
come risposta agli stimoli multisensoriali che l’ambiente invia al
soggetto, in un gioco di reciprocità – fondato su processi di
stabilizzazione selettiva - fra interno ed esterno, da un lato, e
struttura e funzione, dall’altro, che termina solo con la morte
(Changeux, 1983); quella del linguaggio, che non può essere
studiata isolatamente dalla evoluzione cognitiva più generale
nella misura in cui si evidenzia come cruciale la dinamica comunicativa
interpersonale rispetto alla formazione di conoscenze astratte
sottostanti al comportamento linguistico, nel senso che le
caratteristiche del disturbo portano a sospettare la crucialità,
anche per lo sviluppo del linguaggio, di ciò che cognitivamente
manca al bambino autistico: la capacità di relazione
intersoggettiva, la capacitàdi rappresentare lo stato mentale
altrui, la capacità di imitare. Pertanto l’acquisizione del
linguaggio nel bambino autistico, per poter essere spiegata con tutte
le sue carenze e difficoltà talvolta estreme, impone di
attribuire importanza al requisito di ‘parità’ per il linguaggio
umano - ciò che conta per il parlante deve contare anche per
l’ascoltatore - non sulla base immediata della condivisione di sistemi
di conoscenza astratti, ma, prima ancora di ciò, sulla base di
quello scambio di conoscenze che fonda le proprie radici nella
relazione interpersonale, entro un sistema di accoppiamento di
osservazione/esecuzione (Arbib 2000). Da qui sorge, dunque, la
necessità di occuparsi degli studi sul sistema dei neuroni
specchio di cui si parla nel presente articolo, un sistema che usa gli
stessi codici neurali per un’azione sia quando è eseguita sia
quando è osservata dal soggetto. È come se ciascuno di
noi debba essere simultaneamente sé e l’altro da sé per
acquisire quelle conoscenze che rendono possibile la comunicazione
umana. Il legame tra emittente e ricevente diviene, dunque, centrale,
nel senso che la stessa formazione di conoscenze si basa sulla
capacità posseduta dal nostro cervello di ‘riprodurre’
un’azione, un comportamento anche quando è semplicemente
osservato e non eseguito. Se, naturalmente, il sistema dei neuroni
specchio riguarda in modo solo indiretto il linguaggio ed il suo
sviluppo, tuttavia partecipa di quella modalità, attualmente
attiva in certi settori degli studi di neuroscienze, di guardare alle
funzioni attraverso la lente della microanatomia cerebrale, e che
conseguentemente trova elementi per sostenere una diversa articolazione
tra le differenti funzioni connesse alla elaborazione di input
sensoriali, che vengono intese certo come distinte, ma allo stesso
tempo non totalmente autonome. È indicativo, al riguardo, il
lavoro di Pulvermüller (2002) sul sostrato neuroscientifico per il
linguaggio: dallo studio delle connessioni corticali tra aree
adiacenti, da un lato, e tra aree distanti, dall’altro, viene fatto
emergere un quadro entro il quale, sia per quanto riguarda
l’acquisizione del linguaggio nel bambino, sia per Neuroni specchio,
linguaggio e autismo 155 ciò che pertiene al processing
linguistico nell’adulto, vengono affermati forti legami associativi tra
le due principali aree del linguaggio - area di Broca e area di
Wernicke -; queste aree risultano non funzionalmente indipendenti, anzi
diventano attive insieme e cooperano quando esse generano, o rispondono
a, suoni linguistici, parole o frasi. Questo legame associativo
porterebbe a riconsiderare criticamente la concezione delle due aree
come centri autonomi. La produzione di un elemento del linguaggio, per
esempio una sillaba o una parola, corrisponderebbe, pertanto,
all’attivazione di neuroni che controllano i movimenti degli
articolatori. È plausibile che tali articolatori debbano sempre
attivare neuroni nel sistema corticale acustico, a meno che il sistema
uditivo sia danneggiato o comunque non funzionante. Perciò,
quando produciamo un elemento linguistico, vi deve essere una
attività neuronale correlata nella corteccia motoria
perisilviana e nella corteccia uditiva nel lobo temporale superiore.
Poiché le connessioni tra aree connettono preferibilmente aree
adiacenti, questa attività neuronale può espandersi a
campi adiacenti nei lobi temporale superiore e frontale inferiore.
Queste aree sono collegate da connessioni a lunga distanza,
perciò un modello di attività a sufficientemente forte
correlazione nelle aree motoria primaria e uditiva dà luogo
all’attivazione di una specifica popolazione di neuroni diffusa in
queste aree, frontale inferiore e temporale superiore, inclusi i
neuroni delle aree di Broca e Wernicke. Se questo è ciò
di cui dobbiamo tener conto quando teniamo uniti mente e corpo nello
studio del linguaggio e dei suoi disturbi, allora, forse,
l’apprendimento del linguaggio, nella normalità come nella
‘eccentricità’ autistica, va studiato per come il bambino/la
bambina interagisce, percepisce, rappresenta e comunica sul mondo,
secondo modi sempre più complessi ma soprattutto sempre
più intrecciati. 1. I neuroni specchio e il loro funzionamento
È ormai noto che l’attività neurologica dei lobi frontali
del cervello, sia di esseri umani che di alcune specie di primati,
oltre a supportare le attività motorie e la loro coordinazione,
sia coinvolta in compiti di carattere più strettamente
cognitivo1. Gallese et alii (1996) hanno verificato sperimentalmente
come nelle scimmie macaco la corteccia premotoria, localizzata
frontalmente, rivesta un ruolo fondamentale nella percezione dello
spazio, nonché nella comprensione di intrinseche
proprietà di oggetti e nell’apprendimento per associazione. I
medesimi studiosi hanno osservato in particolare l’attività di
532 neuroni localizzati nell’area detta 1 Goldstein e Scheerer (1941)
hanno elencato una serie di azioni consce e volontarie per le quali
l’attività neurologica frontale rappresenta la base: 1. distacco
dell’io dal mondo esterno o dall’esperienza interna; 2. assunzione di
un atteggiamento mentale; 3. spiegazione dei propri atti a se stesso;
4. passaggio, col pensiero, da un aspetto della situazione ad un altro;
5. capacità di pensare simultaneamente a vari aspetti della
situazione; 6. comprensione della parte essenziale di un determinato
insieme; 7. Astrazione mentale di proprietà comuni e formazione
di concetti gerarchici; 8. Capacità ideativa di progettare in
anticipo: pensare o agire per simboli. 156 Luciana Brandi – Andrea
Bigagli F5 della corteccia premotoria frontale2 di tali primati. Gli
esperimenti sono consistiti nell’invitare la scimmia ad osservare
azioni eseguite dallo sperimentatore (per esempio la manipolazione di
un oggetto), e, in un secondo momento, ad imitarle. La registrazione
dell’attività neuronale della scimmia è stata effettuata
sia durante l’osservazione che durante l’esecuzione dell’azione da
parte di essa. Ebbene, è stato evidenziato che 92 dei 532
neuroni considerati sono stati attivi in entrambe le fasi, di
osservazione e di esecuzione dell’azione: tali neuroni sono stati
definiti neuroni specchio. Studi più recenti (Kohler et alii,
2002) hanno individuato l’attività di questi neuroni specchio
anche all’interno di un sistema audiomotorio: infatti, 63 neuroni si
sono scaricati sia quando la scimmia ha eseguito una determinata
azione, sia quando essa ha udito i suoni associati all’azione eseguita.
Sono dunque due le proprietà da cui sono caratterizzati i
neuroni specchio: la prima è la reazione alla vista, o al suono,
di azioni dotate di significato; la seconda è rappresentata
dalla loro attivazione durante l’esecuzione delle stesse azioni3. Gli
stimoli visivi più significativi per l’attività dei
neuroni specchio sono state quelle azioni nelle quali lo sperimentatore
ha interagito con un oggetto attraverso l’uso delle mani (afferrandolo,
posizionandolo e manipolandolo) o della bocca. Si noti, inoltre, come
ogni tipologia di azione registrata sia supportata dall’attivazione di
una differente popolazione di neuroni specchio: la tabella 1 mostra il
numero di neuroni specchio attivati per ogni azione manuale o della
bocca4. 2 È la zona della corteccia prefrontale che si estende
posteriormente al braccio inferiore del solco arcuato (Gallese et alii,
1996). 3 Si noti comunque che queste due proprietà non sono
facilmente scindibili l’una dall’altra perché quando la scimmia
interagisce con un oggetto vede contemporaneamente i suoi movimenti e/o
ode i suoni causati dall’interazione con l’oggetto. Quindi la scarica
registrata durante l’esecuzione delle azioni da parte della scimmia
può essere relativa sia alle proprietà visive del
neurone, sia alle proprietà motorie o ad entrambe. Sono stati
inoltre registrate le attività di 25 neuroni che hanno risposto
all’osservazione di azioni manuali, ma a differenza dei neuroni
specchio mancano delle proprietà motorie. Essi sono stati
definiti mirror-like neurons (Gallese et alii, 1996). 4 Per una tabella
relativa all’attivazione dei 63 neuroni specchio, che rispondono
all’interno di un sistema audiomotorio, in relazione ad azioni
acusticamente significative si veda Kohler et alii, 2002: 847. Neuroni
specchio, linguaggio e autismo 157 , Azione osservata ,Numero di
neuroni attivati Afferrare Posizionare Manipolare Interazione di mani
Trattenere Afferrare/posizionare Afferrare/manipolare
Afferrare/interazione di mani Afferrare/trattenere Afferrare/afferrare
con la bocca Posizionare/trattenere Interazione di mani/trattenere
Afferrare/posizionare/manipolare Afferrare/posizionare/trattenere
(Gallese et alii, 1996: 596) Per la maggior parte dei neuroni
specchio, specificamente per quelli il cui compito consiste nel
supportare un sistema visuomotorio, più che audiomotorio,
è stata evidenziata una chiara relazione tra l’azione visiva
dalla quale sono stati attivati e la risposta motoria che hanno
codificato. La congruenza tra l’azione effettivamente osservata e
quella eseguita ha stabilito la suddivisione dei neuroni specchio in
tre gruppi: “strettamente congruenti”, quando le azioni osservata ed
eseguita corrispondono per il tipo di azione (per esempio afferrare
qualcosa) e per il modo in cui è stata eseguita (per esempio
afferrare qualcosa con una precisa impugnatura); “mediamente
congruenti”, quando sussiste una relazione, ma non un’identità,
tra le azioni effettivamente osservate ed eseguite; infine, “non
congruenti” per i quali le attività supportate di osservazione
ed esecuzione dei movimenti non manifestano una chiara relazione. 2. I
neuroni specchio negli esseri umani “Ma la cosa interessante circa la
scoperta dei neuroni specchio è che essi sono stati osservati in
un’area cerebrale dei primati che sembra essere corrispondente all’area
di Broca negli esseri umani” (Kohler et alii, 2002: 848). Non esistono
a tutt’oggi dati sperimentali sul numero di neuroni specchio posseduti
da ogni essere umano; tuttavia c’è ormai un accordo generale in
ambito scientifico sul fatto che l’area F5 dei primati (dove sono stati
localizzati i 92 neuroni specchio attivi all’interno di un sistema
visuo-motorio e i 63 attivi in un sistema audio-motorio) sia omologa
alla parte posteriore del giro frontale inferiore dell’emisfero
sinistro negli esseri umani, all’area di Broca appunto: lo sviluppo
della regione cerebrale 158 Luciana Brandi – Andrea Bigagli umana
dedicata alla produzione linguistica è infatti collocabile
all’interno del lungo processo evolutivo della corteccia frontale
cominciato nei primati nonumani (Petrides M., Pandya D. N., 1994). A
supporto di ciò, alcune ricerche effettuate grazie alla
Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) su esseri umani durante
l’atto di afferrare un oggetto hanno evidenziato che le aree cerebrali
attivate sono state quelle del solco temporale superiore e la parte
posteriore del giro frontale inferiore dell’emisfero sinistro:
quest’ultima costituisce proprio l’area di Broca. Ulteriori immagini
hanno altresì rilevato che durante l’esecuzione di una sequenza
di movimenti auto-ordinati della mano c’è stato un notevole
aumento del flusso di sangue proprio in corrispondenza con tale area
cerebrale (Gallese et alii, 1996). Infine, sono stati di particolare
rilevanza i dati di alcuni pazienti affetti da afasie non fluenti,
tipicamente causate da lesioni focali all’area di Broca. Ebbene,
insieme alla compromissione della produzione linguistica, tipica per
una disfunzione di quest’area cerebrale, sono stati registrati
frequenti disturbi anche nella comunicazione di tipo pantomimico,
basata su movimenti auto-ordinati. 3. Neuroni specchio e linguaggio La
funzione dei neuroni specchio è dunque quella di rappresentare
azioni a livello cerebrale perché avvenga una comprensione delle
stesse, cioè “affinché gli individui siano in grado di
riconoscere che qualcun altro sta eseguendo una determinata azione, di
distinguere l’azione osservata da un’altra azione e di usare le
informazioni acquisite per agire in modo appropriato” (Arbib, 1999:
19). Si sostiene che gli individui riconoscano le azioni fatte da altri
in quanto la popolazione di neuroni attivata nella loro area premotoria
(in senso generale) durante l’osservazione è congruente a quella
che si genera internamente per riprodurre tale azione (Arbib, 1999):
infatti, i neuroni specchio permettono una rappresentazione interna, o
meglio, una simulazione incarnata di una determinata azione reale, sia
essa linguistica o socio-comportamentale, “mappando le azioni osservate
sugli stessi circuiti nervosi che ne controllano l’esecuzione attiva”
(Gallese, 2003: 36). Da questo punto di vista l’attività dei
neuroni specchio rappresenta il punto di “condivisione” tra
l’informazione convogliata dall’emittente e quella ricevuta dal
ricevente, cruciale in ogni tipo di comunicazione: durante l’esecuzione
di un’azione precedentemente osservata l’attivazione di una popolazione
di neuroni specchio conforme a quella realizzata durante l’osservazione
rappresenta la base che supporta la comprensione dell’azione e, quindi,
la conferma dell’avvenuta comprensione dell’informazione. Il sistema
dei neuroni specchio è da considerarsi di fondamentale
importanza, a livello sia ontogenetico che filogenetico5, per lo
sviluppo del linguaggio. A partire da questo meccanismo coinvolto
nell’osservazione-esecuzione di azioni è plau- 5 Sull’importanza
dei neuroni specchio nello sviluppo filogenetico del linguaggio si veda
in particolare Arbib (1999). Neuroni specchio, linguaggio e autismo 159
sibile considerare oggetto della percezione linguistica i “gesti
fonetici” del parlante (Gallese et alii, 1996): essi rappresentano le
primitive che i meccanismi di produzione linguistica traducono in
movimenti articolatori e, viceversa, sono anche le primitive che i
meccanismi specializzati per la percezione linguistica recuperano dal
segnale (Lieberman, Mattingly, 1989). La struttura fisica dei suoni
linguistici come stimolo per l’attivazione di una popolazione di
neuroni specchio individua il punto di partenza della teoria motoria
per la percezione del linguaggio6 la quale stabilisce che i suoni
linguistici vengono percepiti ugualmente a come essi vengono prodotti:
la popolazione di neuroni specchio attivata per la produzione o la
comprensione di un determinato suono linguistico risulta la medesima
(Williams et alii, 2001). Dunque, vista l’attivazione delle popolazioni
di neuroni specchio, il linguaggio si identifica in una mera azione, i
cui servo-meccanismi sono essenzialmente gli stessi rispetto a quelli
che sottostanno alla pianificazione, all’esecuzione, al riconoscimento
di altre azioni motorie (Steels, 2000). La transizione da un sistema di
neuroni specchio coinvolto nella comprensione e riconoscimento di
azioni ad un altro coinvolto nella computazione linguistica suggerisce
nuovi indirizzi teorici per lo studio dell’evoluzione del linguaggio.
Poiché il linguaggio è riconosciuto come azione
costituita dall’insieme dei gesti fonetici, essi dovranno essere
compresi e riprodotti. Se un determinato gesto fonetico produce
l’attivazione di una precisa popolazione di neuroni, la stessa
sarà attiva anche durante la riproduzione del gesto all’interno
di un meccanismo imitativo. Dal punto di vista dei neuroni specchio, la
capacità imitativa rappresenta quindi un passo fondamentale per
lo sviluppo ontogenetico del linguaggio e alcuni dati sperimentali
provenienti da studi su soggetti autistici, nei quali l’imitazione
è fortemente compromessa, avvalorano questa ipotesi. 4. Neuroni
specchio in soggetti autistici È ormai noto che l’autismo7,
oltre ad essere propriamente un deficit di tipo socio- comportamentale,
porti con sé anche disturbi di carattere strettamente
linguistico: a seconda della gravità della sindrome è
possibile assistere ad un vero e proprio mutismo, oppure ad un notevole
ritardo nello sviluppo del linguaggio (talvolta le prime sillabe
appaiono intorno agli otto anni), o ancora, nel caso di uno sviluppo
linguistico tardivo, esso può manifestarsi attraverso la
produzione di stereotipie8 (Brandi, 2001). A livello teorico, il
disturbo autistico si colloca all’interno di un componente detto di
ToMM (Theory of Mind Mechanism) appartenente ad un sistema modula- 6
Per tale teoria si vedano Lieberman A.M, Mattingly I.G (1985) e
Lieberman A.M., Mattingly I.G. (1989). 7 Per una descrizione generale
del disturbo autistico si veda in particolare Baron-Cohen (1997). 8 Col
termine stereotipia s’intende una riproduzione, fedele anche
nell’intonazione, di canzoni, filastrocche, frasi già sentite.
160 Luciana Brandi – Andrea Bigagli re di lettura della mente
illustrato da Baron-Cohen (1997: 47). La funzione del ToMM è
quella di inferire gli stati mentali di un individuo attraverso
l’osservazione dei suoi comportamenti (Baron-Cohen, 1997): i soggetti
autistici, in generale,non sono in grado di attribuire stati mentali ad
altri individui9. Infatti, tale procedimentodi rappresentazione mentale
vede il suo punto di partenza nell’osservazionedi azioni altrui e deve
essere supportato dall’attivazione di una popolazione di neuroni: come
è stato considerato in precedenza, sono proprio i neuroni
specchio a realizzare una rappresentazione interna di azioni osservate,
affinché esse possano essere comprese e quindi riprodotte
attraverso la loro imitazione. Ne consegue che proprio tali tipologie
neuronali costituiscono la base per il corretto funzionamento del ToMM.
La coincidenza tra la sede dei neuroni specchio negli esseri umani e
quella del modulo di ToMM fa sì che la disfunzione di questo
sistema neurale sia inserita nel disturbo autistico tout court.
Infatti, dal momento che l’autismo si identifica in un deficit generale
della comunicazione dato essenzialmente da un cattivo funzionamento del
ToMM, è plausibile stabilire che il sistema dei neuroni specchio
sia implicato anche in altre abilità cognitive dipendenti da
questo componente e quindi compromesse in presenza di autismo. Si
consideri, per esempio, uno degli indicatori fondamentali della
presenza del disturbo autistico, che si registra in bambini di
età compresa fra i 3 e i 5 anni, cioè l’incapacità
nell’esecuzione di giochi simbolici10. Tali attività ludiche
rivelano la realizzazione da parte dei bambini dei primi stati mentali
epistemici in cui i neuroni specchio hanno un ruolo fondamentale: essi
permettono una simulazione incarnata di tali finzioni
socio-comportamentali. Il circuito nervoso attivato durante
l’esecuzione del gioco è il medesimo rispetto a quello presente
durante l’osservazione e, quindi, la comprensione dello stesso: questa
popolazione di neuroni permette allora di “calarsi” in uno stato
mentale altrui, abilità che si pone come presupposto
fondamentale di quella di lettura della mente, rappresentata dalla
capacità di inferire stati mentali propri di altri individui,
capacità di cui i soggetti autistici sono generalmente privi11.
Di nuovo la capacità imitativa sembra rivestire un compito
fondamentale: infatti, durante un gioco simbolico, si imitano le azioni
altrui, sia linguistiche che socio-comportamentali. Se la realizzazione
del gioco simbolico rappresenta un punto cruciale nello sviluppo del
ToMM e, di conseguenza, della capacità di lettura della mente,
l’imitazione si colloca alla base anche di quest’ultimo stadio di
sviluppo cognitivo12. 9 Alcuni dati hanno rilevato la diffusa
incapacità da parte di bambini autistici nel distinguere
entità mentali da entità meramente fisiche (Baron-Cohen,
1997). 10 Si tratta del gioco infantile del “far finta di...”. 11 Per
questo l’incapacità di leggere la mente è stata anche
definita cecità mentale, proprio perché non è
possibile “vedere” dentro la mente dell’altro. 12 Sull’imitazione come
precursore del ToMM si vedano Meltzoff e Gopnik (1993), ma soprattutto
la teoria della simulazione, la quale propone che il bambino arriva a
leggere la mente calandosi nei panni altrui, cioè agendo come se
fosse l’altro; questa si contrappone alla teoria della teoNeuroni
specchio, linguaggio e autismo 161 L’attività del sistema dei
neuroni specchio e la sua manifestazione attraverso la capacità
imitativa rappresenta dunque un punto comune nello sviluppo
ontogenetico sia del linguaggio, considerato nella prospettiva della
teoria motoria per la percezione del linguaggio esposta in precedenza,
che del ToMM. Ciò è supportato da alcuni dati riferiti
alla collocazione di tale modulo cerebrale: sempre secondo Baron-Cohen
(1997), esso è localizzato nella corteccia orbito-frontale, sia
dell’emisfero destro che sinistro. Proprio nella regione frontale di
quest’ultimo emisfero è normalmente situata l’area di Broca,
sede umana dei neuroni specchio. È allora automatico stabilire
che un completo o parziale deficit del sistema dei neuroni specchio sia
caratteristico dei soggetti autistici, e che, contemporaneamente, possa
apportare sia un non-sviluppo che uno sviluppo deficitario di
competenze socio-comportamentali e linguistiche13, pressoché
inscindibili nei casi di tale patologia.
Luciana Brandi
Università di Firenze
brandi@unifi.it
Andrea Bigagli
andrea_bigagli@virgilio.it