neuroni specchio e dissociazione  di Luciana BRANDI, Andrea BIGAGLI
Noi vediamo espressa qui la forma più generale dell’idea di evoluzione. La sua fecondità di applicazione ad ogni parte del sapere ha certo oggi un’evidenza che pochi anni fa non si sarebbe potuta prevedere, oggi, dopo che l’iniziativa della speculazione filosofica, invece di scendere come un tempo, dalle scienze dello spirito a quelle del mondo sensibile, sale ogni giorno più da queste a quelle e le investe tutte. (Barzellotti, “Il concetto delle scienze storiche”, Rivista di filosofia scientifica, 1886, vol. 5: 210) Introduzione Nell’affrontare lo studio del disturbo autistico, la prima questione che si pone - sia dal punto di vista scientifico che da quello etico - riguarda il legame tra struttura e funzione, precisamente il legame tra la neurobiologia, il modo in cui si è sviluppata nell’embrione la struttura cerebrale, e le caratteristiche con cui si presenta in generale il disturbo della comunicazione, ed in particolare il disturbo del linguaggio, nel soggetto autistico, anche longitudinalmente. Da un lato, il bambino autistico pone severi limiti alla ‘libertà’ di teorizzazione del/la linguista, nella misura in cui la formulazione di ipotesi che in altri contesti potrebbero essere elaborate e proposte con tranquillità perché resterebbero comunque ‘innocue’, nel contesto del disturbo autistico si correlano, immediatamente, ad un’assunzione di responsabilità: non possono essere elaborate ipotesi che non siano sufficientemente testate sulle conoscenze neurobiologiche a disposizione perché un qualsiasi errore, o anche imprecisione, di livello teorico avrebbe effetti decisamente negativi, addirittura inibenti anziché abilitanti, sull’intervento terapeutico che verrebbe progettato a partire, appunto, da tali ipotesi esplicative. Dall’altro lato, però, il bambino autistico, proprio perché impone innanzitutto la propria corporeità come dato ineliminabile da cui partire, ‘apre’ lo sguardo del/la linguista su orizzonti fino ad allora inesplorati, e gli/le impone di farlo con una ricchezza problematica del tutto nuova: con la disponibilità a mettere interamente in discussione quanto fino * Il presente lavoro nasce da un’idea di Andrea Bigagli, ed a lui è interamente dovuto, fatta eccezione per l’Introduzione che, a firma di Luciana Brandi, è volta a chiarire lo sfondo teorico più generale in cui inserire le problematiche trattate.154 Luciana Brandi – Andrea Bigagli ad allora aveva ritenuto conoscenza sicura, e ad oltrepassare il confine del canone condiviso, per avviare esplorazioni che non si sa se, e dove, porteranno. Ma tornare indietro non è più possibile, perché sarebbe ormai privo di senso. Oltre la frontiera del noto, ci avventuriamo, allora, nella ricerca dei legami tra ‘evoluzioni’: quella neurobiologica, che in parte è già avvenuta nell’embrione, ma che ancora deve concludersi epigeneticamente come risposta agli stimoli multisensoriali che l’ambiente invia al soggetto, in un gioco di reciprocità – fondato su processi di stabilizzazione selettiva - fra interno ed esterno, da un lato, e struttura e funzione, dall’altro, che termina solo con la morte (Changeux, 1983); quella del linguaggio, che non può essere studiata isolatamente dalla evoluzione cognitiva più generale nella misura in cui si evidenzia come cruciale la dinamica comunicativa interpersonale rispetto alla formazione di conoscenze astratte sottostanti al comportamento linguistico, nel senso che le caratteristiche del disturbo portano a sospettare la crucialità, anche per lo sviluppo del linguaggio, di ciò che cognitivamente manca al bambino autistico: la capacità di relazione intersoggettiva, la capacitàdi rappresentare lo stato mentale altrui, la capacità di imitare. Pertanto l’acquisizione del linguaggio nel bambino autistico, per poter essere spiegata con tutte le sue carenze e difficoltà talvolta estreme, impone di attribuire importanza al requisito di ‘parità’ per il linguaggio umano - ciò che conta per il parlante deve contare anche per l’ascoltatore - non sulla base immediata della condivisione di sistemi di conoscenza astratti, ma, prima ancora di ciò, sulla base di quello scambio di conoscenze che fonda le proprie radici nella relazione interpersonale, entro un sistema di accoppiamento di osservazione/esecuzione (Arbib 2000). Da qui sorge, dunque, la necessità di occuparsi degli studi sul sistema dei neuroni specchio di cui si parla nel presente articolo, un sistema che usa gli stessi codici neurali per un’azione sia quando è eseguita sia quando è osservata dal soggetto. È come se ciascuno di noi debba essere simultaneamente sé e l’altro da sé per acquisire quelle conoscenze che rendono possibile la comunicazione umana. Il legame tra emittente e ricevente diviene, dunque, centrale, nel senso che la stessa formazione di conoscenze si basa sulla capacità posseduta dal nostro cervello di ‘riprodurre’ un’azione, un comportamento anche quando è semplicemente osservato e non eseguito. Se, naturalmente, il sistema dei neuroni specchio riguarda in modo solo indiretto il linguaggio ed il suo sviluppo, tuttavia partecipa di quella modalità, attualmente attiva in certi settori degli studi di neuroscienze, di guardare alle funzioni attraverso la lente della microanatomia cerebrale, e che conseguentemente trova elementi per sostenere una diversa articolazione tra le differenti funzioni connesse alla elaborazione di input sensoriali, che vengono intese certo come distinte, ma allo stesso tempo non totalmente autonome. È indicativo, al riguardo, il lavoro di Pulvermüller (2002) sul sostrato neuroscientifico per il linguaggio: dallo studio delle connessioni corticali tra aree adiacenti, da un lato, e tra aree distanti, dall’altro, viene fatto emergere un quadro entro il quale, sia per quanto riguarda l’acquisizione del linguaggio nel bambino, sia per Neuroni specchio, linguaggio e autismo 155 ciò che pertiene al processing linguistico nell’adulto, vengono affermati forti legami associativi tra le due principali aree del linguaggio - area di Broca e area di Wernicke -; queste aree risultano non funzionalmente indipendenti, anzi diventano attive insieme e cooperano quando esse generano, o rispondono a, suoni linguistici, parole o frasi. Questo legame associativo porterebbe a riconsiderare criticamente la concezione delle due aree come centri autonomi. La produzione di un elemento del linguaggio, per esempio una sillaba o una parola, corrisponderebbe, pertanto, all’attivazione di neuroni che controllano i movimenti degli articolatori. È plausibile che tali articolatori debbano sempre attivare neuroni nel sistema corticale acustico, a meno che il sistema uditivo sia danneggiato o comunque non funzionante. Perciò, quando produciamo un elemento linguistico, vi deve essere una attività neuronale correlata nella corteccia motoria perisilviana e nella corteccia uditiva nel lobo temporale superiore. Poiché le connessioni tra aree connettono preferibilmente aree adiacenti, questa attività neuronale può espandersi a campi adiacenti nei lobi temporale superiore e frontale inferiore. Queste aree sono collegate da connessioni a lunga distanza, perciò un modello di attività a sufficientemente forte correlazione nelle aree motoria primaria e uditiva dà luogo all’attivazione di una specifica popolazione di neuroni diffusa in queste aree, frontale inferiore e temporale superiore, inclusi i neuroni delle aree di Broca e Wernicke. Se questo è ciò di cui dobbiamo tener conto quando teniamo uniti mente e corpo nello studio del linguaggio e dei suoi disturbi, allora, forse, l’apprendimento del linguaggio, nella normalità come nella ‘eccentricità’ autistica, va studiato per come il bambino/la bambina interagisce, percepisce, rappresenta e comunica sul mondo, secondo modi sempre più complessi ma soprattutto sempre più intrecciati. 1. I neuroni specchio e il loro funzionamento È ormai noto che l’attività neurologica dei lobi frontali del cervello, sia di esseri umani che di alcune specie di primati, oltre a supportare le attività motorie e la loro coordinazione, sia coinvolta in compiti di carattere più strettamente cognitivo1. Gallese et alii (1996) hanno verificato sperimentalmente come nelle scimmie macaco la corteccia premotoria, localizzata frontalmente, rivesta un ruolo fondamentale nella percezione dello spazio, nonché nella comprensione di intrinseche proprietà di oggetti e nell’apprendimento per associazione. I medesimi studiosi hanno osservato in particolare l’attività di 532 neuroni localizzati nell’area detta 1 Goldstein e Scheerer (1941) hanno elencato una serie di azioni consce e volontarie per le quali l’attività neurologica frontale rappresenta la base: 1. distacco dell’io dal mondo esterno o dall’esperienza interna; 2. assunzione di un atteggiamento mentale; 3. spiegazione dei propri atti a se stesso; 4. passaggio, col pensiero, da un aspetto della situazione ad un altro; 5. capacità di pensare simultaneamente a vari aspetti della situazione; 6. comprensione della parte essenziale di un determinato insieme; 7. Astrazione mentale di proprietà comuni e formazione di concetti gerarchici; 8. Capacità ideativa di progettare in anticipo: pensare o agire per simboli. 156 Luciana Brandi – Andrea Bigagli F5 della corteccia premotoria frontale2 di tali primati. Gli esperimenti sono consistiti nell’invitare la scimmia ad osservare azioni eseguite dallo sperimentatore (per esempio la manipolazione di un oggetto), e, in un secondo momento, ad imitarle. La registrazione dell’attività neuronale della scimmia è stata effettuata sia durante l’osservazione che durante l’esecuzione dell’azione da parte di essa. Ebbene, è stato evidenziato che 92 dei 532 neuroni considerati sono stati attivi in entrambe le fasi, di osservazione e di esecuzione dell’azione: tali neuroni sono stati definiti neuroni specchio. Studi più recenti (Kohler et alii, 2002) hanno individuato l’attività di questi neuroni specchio anche all’interno di un sistema audiomotorio: infatti, 63 neuroni si sono scaricati sia quando la scimmia ha eseguito una determinata azione, sia quando essa ha udito i suoni associati all’azione eseguita. Sono dunque due le proprietà da cui sono caratterizzati i neuroni specchio: la prima è la reazione alla vista, o al suono, di azioni dotate di significato; la seconda è rappresentata dalla loro attivazione durante l’esecuzione delle stesse azioni3. Gli stimoli visivi più significativi per l’attività dei neuroni specchio sono state quelle azioni nelle quali lo sperimentatore ha interagito con un oggetto attraverso l’uso delle mani (afferrandolo, posizionandolo e manipolandolo) o della bocca. Si noti, inoltre, come ogni tipologia di azione registrata sia supportata dall’attivazione di una differente popolazione di neuroni specchio: la tabella 1 mostra il numero di neuroni specchio attivati per ogni azione manuale o della bocca4. 2 È la zona della corteccia prefrontale che si estende posteriormente al braccio inferiore del solco arcuato (Gallese et alii, 1996). 3 Si noti comunque che queste due proprietà non sono facilmente scindibili l’una dall’altra perché quando la scimmia interagisce con un oggetto vede contemporaneamente i suoi movimenti e/o ode i suoni causati dall’interazione con l’oggetto. Quindi la scarica registrata durante l’esecuzione delle azioni da parte della scimmia può essere relativa sia alle proprietà visive del neurone, sia alle proprietà motorie o ad entrambe. Sono stati inoltre registrate le attività di 25 neuroni che hanno risposto all’osservazione di azioni manuali, ma a differenza dei neuroni specchio mancano delle proprietà motorie. Essi sono stati definiti mirror-like neurons (Gallese et alii, 1996). 4 Per una tabella relativa all’attivazione dei 63 neuroni specchio, che rispondono all’interno di un sistema audiomotorio, in relazione ad azioni acusticamente significative si veda Kohler et alii, 2002: 847. Neuroni specchio, linguaggio e autismo 157 , Azione osservata ,Numero di neuroni attivati Afferrare Posizionare Manipolare Interazione di mani Trattenere Afferrare/posizionare Afferrare/manipolare Afferrare/interazione di mani Afferrare/trattenere Afferrare/afferrare con la bocca Posizionare/trattenere Interazione di mani/trattenere Afferrare/posizionare/manipolare Afferrare/posizionare/trattenere
 (Gallese et alii, 1996: 596) Per la maggior parte dei neuroni specchio, specificamente per quelli il cui compito consiste nel supportare un sistema visuomotorio, più che audiomotorio, è stata evidenziata una chiara relazione tra l’azione visiva dalla quale sono stati attivati e la risposta motoria che hanno codificato. La congruenza tra l’azione effettivamente osservata e quella eseguita ha stabilito la suddivisione dei neuroni specchio in tre gruppi: “strettamente congruenti”, quando le azioni osservata ed eseguita corrispondono per il tipo di azione (per esempio afferrare qualcosa) e per il modo in cui è stata eseguita (per esempio afferrare qualcosa con una precisa impugnatura); “mediamente congruenti”, quando sussiste una relazione, ma non un’identità, tra le azioni effettivamente osservate ed eseguite; infine, “non congruenti” per i quali le attività supportate di osservazione ed esecuzione dei movimenti non manifestano una chiara relazione. 2. I neuroni specchio negli esseri umani “Ma la cosa interessante circa la scoperta dei neuroni specchio è che essi sono stati osservati in un’area cerebrale dei primati che sembra essere corrispondente all’area di Broca negli esseri umani” (Kohler et alii, 2002: 848). Non esistono a tutt’oggi dati sperimentali sul numero di neuroni specchio posseduti da ogni essere umano; tuttavia c’è ormai un accordo generale in ambito scientifico sul fatto che l’area F5 dei primati (dove sono stati localizzati i 92 neuroni specchio attivi all’interno di un sistema visuo-motorio e i 63 attivi in un sistema audio-motorio) sia omologa alla parte posteriore del giro frontale inferiore dell’emisfero sinistro negli esseri umani, all’area di Broca appunto: lo sviluppo della regione cerebrale 158 Luciana Brandi – Andrea Bigagli umana dedicata alla produzione linguistica è infatti collocabile all’interno del lungo processo evolutivo della corteccia frontale cominciato nei primati nonumani (Petrides M., Pandya D. N., 1994). A supporto di ciò, alcune ricerche effettuate grazie alla Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) su esseri umani durante l’atto di afferrare un oggetto hanno evidenziato che le aree cerebrali attivate sono state quelle del solco temporale superiore e la parte posteriore del giro frontale inferiore dell’emisfero sinistro: quest’ultima costituisce proprio l’area di Broca. Ulteriori immagini hanno altresì rilevato che durante l’esecuzione di una sequenza di movimenti auto-ordinati della mano c’è stato un notevole aumento del flusso di sangue proprio in corrispondenza con tale area cerebrale (Gallese et alii, 1996). Infine, sono stati di particolare rilevanza i dati di alcuni pazienti affetti da afasie non fluenti, tipicamente causate da lesioni focali all’area di Broca. Ebbene, insieme alla compromissione della produzione linguistica, tipica per una disfunzione di quest’area cerebrale, sono stati registrati frequenti disturbi anche nella comunicazione di tipo pantomimico, basata su movimenti auto-ordinati. 3. Neuroni specchio e linguaggio La funzione dei neuroni specchio è dunque quella di rappresentare azioni a livello cerebrale perché avvenga una comprensione delle stesse, cioè “affinché gli individui siano in grado di riconoscere che qualcun altro sta eseguendo una determinata azione, di distinguere l’azione osservata da un’altra azione e di usare le informazioni acquisite per agire in modo appropriato” (Arbib, 1999: 19). Si sostiene che gli individui riconoscano le azioni fatte da altri in quanto la popolazione di neuroni attivata nella loro area premotoria (in senso generale) durante l’osservazione è congruente a quella che si genera internamente per riprodurre tale azione (Arbib, 1999): infatti, i neuroni specchio permettono una rappresentazione interna, o meglio, una simulazione incarnata di una determinata azione reale, sia essa linguistica o socio-comportamentale, “mappando le azioni osservate sugli stessi circuiti nervosi che ne controllano l’esecuzione attiva” (Gallese, 2003: 36). Da questo punto di vista l’attività dei neuroni specchio rappresenta il punto di “condivisione” tra l’informazione convogliata dall’emittente e quella ricevuta dal ricevente, cruciale in ogni tipo di comunicazione: durante l’esecuzione di un’azione precedentemente osservata l’attivazione di una popolazione di neuroni specchio conforme a quella realizzata durante l’osservazione rappresenta la base che supporta la comprensione dell’azione e, quindi, la conferma dell’avvenuta comprensione dell’informazione. Il sistema dei neuroni specchio è da considerarsi di fondamentale importanza, a livello sia ontogenetico che filogenetico5, per lo sviluppo del linguaggio. A partire da questo meccanismo coinvolto nell’osservazione-esecuzione di azioni è plau- 5 Sull’importanza dei neuroni specchio nello sviluppo filogenetico del linguaggio si veda in particolare Arbib (1999). Neuroni specchio, linguaggio e autismo 159 sibile considerare oggetto della percezione linguistica i “gesti fonetici” del parlante (Gallese et alii, 1996): essi rappresentano le primitive che i meccanismi di produzione linguistica traducono in movimenti articolatori e, viceversa, sono anche le primitive che i meccanismi specializzati per la percezione linguistica recuperano dal segnale (Lieberman, Mattingly, 1989). La struttura fisica dei suoni linguistici come stimolo per l’attivazione di una popolazione di neuroni specchio individua il punto di partenza della teoria motoria per la percezione del linguaggio6 la quale stabilisce che i suoni linguistici vengono percepiti ugualmente a come essi vengono prodotti: la popolazione di neuroni specchio attivata per la produzione o la comprensione di un determinato suono linguistico risulta la medesima (Williams et alii, 2001). Dunque, vista l’attivazione delle popolazioni di neuroni specchio, il linguaggio si identifica in una mera azione, i cui servo-meccanismi sono essenzialmente gli stessi rispetto a quelli che sottostanno alla pianificazione, all’esecuzione, al riconoscimento di altre azioni motorie (Steels, 2000). La transizione da un sistema di neuroni specchio coinvolto nella comprensione e riconoscimento di azioni ad un altro coinvolto nella computazione linguistica suggerisce nuovi indirizzi teorici per lo studio dell’evoluzione del linguaggio. Poiché il linguaggio è riconosciuto come azione costituita dall’insieme dei gesti fonetici, essi dovranno essere compresi e riprodotti. Se un determinato gesto fonetico produce l’attivazione di una precisa popolazione di neuroni, la stessa sarà attiva anche durante la riproduzione del gesto all’interno di un meccanismo imitativo. Dal punto di vista dei neuroni specchio, la capacità imitativa rappresenta quindi un passo fondamentale per lo sviluppo ontogenetico del linguaggio e alcuni dati sperimentali provenienti da studi su soggetti autistici, nei quali l’imitazione è fortemente compromessa, avvalorano questa ipotesi. 4. Neuroni specchio in soggetti autistici È ormai noto che l’autismo7, oltre ad essere propriamente un deficit di tipo socio- comportamentale, porti con sé anche disturbi di carattere strettamente linguistico: a seconda della gravità della sindrome è possibile assistere ad un vero e proprio mutismo, oppure ad un notevole ritardo nello sviluppo del linguaggio (talvolta le prime sillabe appaiono intorno agli otto anni), o ancora, nel caso di uno sviluppo linguistico tardivo, esso può manifestarsi attraverso la produzione di stereotipie8 (Brandi, 2001). A livello teorico, il disturbo autistico si colloca all’interno di un componente detto di ToMM (Theory of Mind Mechanism) appartenente ad un sistema modula- 6 Per tale teoria si vedano Lieberman A.M, Mattingly I.G (1985) e Lieberman A.M., Mattingly I.G. (1989). 7 Per una descrizione generale del disturbo autistico si veda in particolare Baron-Cohen (1997). 8 Col termine stereotipia s’intende una riproduzione, fedele anche nell’intonazione, di canzoni, filastrocche, frasi già sentite. 160 Luciana Brandi – Andrea Bigagli re di lettura della mente illustrato da Baron-Cohen (1997: 47). La funzione del ToMM è quella di inferire gli stati mentali di un individuo attraverso l’osservazione dei suoi comportamenti (Baron-Cohen, 1997): i soggetti autistici, in generale,non sono in grado di attribuire stati mentali ad altri individui9. Infatti, tale procedimentodi rappresentazione mentale vede il suo punto di partenza nell’osservazionedi azioni altrui e deve essere supportato dall’attivazione di una popolazione di neuroni: come è stato considerato in precedenza, sono proprio i neuroni specchio a realizzare una rappresentazione interna di azioni osservate, affinché esse possano essere comprese e quindi riprodotte attraverso la loro imitazione. Ne consegue che proprio tali tipologie neuronali costituiscono la base per il corretto funzionamento del ToMM. La coincidenza tra la sede dei neuroni specchio negli esseri umani e quella del modulo di ToMM fa sì che la disfunzione di questo sistema neurale sia inserita nel disturbo autistico tout court. Infatti, dal momento che l’autismo si identifica in un deficit generale della comunicazione dato essenzialmente da un cattivo funzionamento del ToMM, è plausibile stabilire che il sistema dei neuroni specchio sia implicato anche in altre abilità cognitive dipendenti da questo componente e quindi compromesse in presenza di autismo. Si consideri, per esempio, uno degli indicatori fondamentali della presenza del disturbo autistico, che si registra in bambini di età compresa fra i 3 e i 5 anni, cioè l’incapacità nell’esecuzione di giochi simbolici10. Tali attività ludiche rivelano la realizzazione da parte dei bambini dei primi stati mentali epistemici in cui i neuroni specchio hanno un ruolo fondamentale: essi permettono una simulazione incarnata di tali finzioni socio-comportamentali. Il circuito nervoso attivato durante l’esecuzione del gioco è il medesimo rispetto a quello presente durante l’osservazione e, quindi, la comprensione dello stesso: questa popolazione di neuroni permette allora di “calarsi” in uno stato mentale altrui, abilità che si pone come presupposto fondamentale di quella di lettura della mente, rappresentata dalla capacità di inferire stati mentali propri di altri individui, capacità di cui i soggetti autistici sono generalmente privi11. Di nuovo la capacità imitativa sembra rivestire un compito fondamentale: infatti, durante un gioco simbolico, si imitano le azioni altrui, sia linguistiche che socio-comportamentali. Se la realizzazione del gioco simbolico rappresenta un punto cruciale nello sviluppo del ToMM e, di conseguenza, della capacità di lettura della mente, l’imitazione si colloca alla base anche di quest’ultimo stadio di sviluppo cognitivo12. 9 Alcuni dati hanno rilevato la diffusa incapacità da parte di bambini autistici nel distinguere entità mentali da entità meramente fisiche (Baron-Cohen, 1997). 10 Si tratta del gioco infantile del “far finta di...”. 11 Per questo l’incapacità di leggere la mente è stata anche definita cecità mentale, proprio perché non è possibile “vedere” dentro la mente dell’altro. 12 Sull’imitazione come precursore del ToMM si vedano Meltzoff e Gopnik (1993), ma soprattutto la teoria della simulazione, la quale propone che il bambino arriva a leggere la mente calandosi nei panni altrui, cioè agendo come se fosse l’altro; questa si contrappone alla teoria della teoNeuroni specchio, linguaggio e autismo 161 L’attività del sistema dei neuroni specchio e la sua manifestazione attraverso la capacità imitativa rappresenta dunque un punto comune nello sviluppo ontogenetico sia del linguaggio, considerato nella prospettiva della teoria motoria per la percezione del linguaggio esposta in precedenza, che del ToMM. Ciò è supportato da alcuni dati riferiti alla collocazione di tale modulo cerebrale: sempre secondo Baron-Cohen (1997), esso è localizzato nella corteccia orbito-frontale, sia dell’emisfero destro che sinistro. Proprio nella regione frontale di quest’ultimo emisfero è normalmente situata l’area di Broca, sede umana dei neuroni specchio. È allora automatico stabilire che un completo o parziale deficit del sistema dei neuroni specchio sia caratteristico dei soggetti autistici, e che, contemporaneamente, possa apportare sia un non-sviluppo che uno sviluppo deficitario di competenze socio-comportamentali e linguistiche13, pressoché inscindibili nei casi di tale patologia.
Luciana Brandi
Università di Firenze
brandi@unifi.it
Andrea Bigagli
andrea_bigagli@virgilio.it