IL MODELLO TORINO da Torino Internazionale  2008 /2

Sergio Chiamparino, Sindaco di Torino

Il convegno di cui sono stato ospite lo scorso 28 novembre  2008, mi ha dato modo di ripercorrere, da testimone, le tappe salienti di quel processo di cambiamento che, dalla fine degli anni Ottanta ci ha portato alla città che conosciamo.

Torino è stata a lungo la città dei dualismi, priva di mercato, incentrata sull'organizzazione, un modello di società descritto nel noto saggio di Bagnasco Torino. Un profilo sociologico che, vale la pena ricordare, doveva originariamente chiamarsi Uscire da Torino. Uscire da Torino significava essenzialmente uscire da una città che, sbagliando, continuava a pensare di avere in sé elementi di supremazia dalla sua base economica, sociale, culturale. Due importanti processi esterni
influirono allora sul dibattito che si apriva in merito al futuro della città: la crisi del sistema politico internazionale di cui è simbolo la caduta del muro di Berlino col conseguente disfacimento dell'Unione Sovietica, e Tangentopoli, con i noti effetti sul sistema italiano dei partiti da un lato, e la crescente globalizzazione economica che contemporaneamente e paradossalmente metterà in discussione e, al tempo stesso, esalterà le basi locali della crescita economica. Letti a distanza di tempo, avvenimenti di taglia così diversa danno forma a un processo di fondo, i cui effetti si riverberano ancora oggi. Una crescente opinione pubblica metteva in discussione il ruolo dei partiti come architrave del sistema politico italiano, come ‘gestori' dello Stato, spingendo per una ridefinizione del loro ruolo, per farne organismi capaci di comprendere le istanze sociali da portare all'attenzione delle istituzioni politiche.

Si produsse allora un deciso cambiamento di ottica, che tuttavia non fu accolto come un fatto positivo. Al contrario venne visto con grande preoccupazione, come un passaggio di rottura che occorreva tamponare. La soluzione che Torino fu in grado di trovare, anticipando quanto sarebbe in seguito accaduto anche a livello nazionale, è stata rendere compiuto quel passaggio grazie a una inedita, forte, interazione fra alcuni testimoni privilegiati della società civile, che apparivano rappresentare meglio il cambiamento che stava avvenendo, e una parte dei partiti. La grande novità fu che si produsse una rottura che attraversò trasversalmente tutto l'arco politico, tutti i partiti uscirono divisi da quella scelta. Si produsse cioè un primo esperimento di scomposizione e ricomposizione trasversale del sistema politico che, ancora oggi, è un tema all'attenzione del paese.

Cosa resta di tutto questo nella Torino di oggi? Cosa ci insegna la trasformazione vissuta allora? È chiaro che, di fronte alle sfide che pone il futuro, non si possono dimenticare le insufficienze e le criticità del ‘modello Torino', del sistema di governo sperimentato. Nella tavola rotonda che ha animato il convegno si è discusso molto di crisi economica. Marco Revelli ha spiegato come Torino sia stata a suo agio in una economia dei flussi e delle reti lunghe che oggi ha subito uno stop. Ha parlato di crisi anche Gianfranco Carbonato, ricordando gli inevitabili effetti pesanti su un territorio la cui base economica è ancora fortemente legata alla manifattura, nonostante un inizio di diversificazione che non può sostituire ma fare da importante complemento di un sistema industriale moderno. A questi elementi generali si assommano questioni interne: c'è un problema di potenziale crisi delle rappresentanze che è stato ricordato da Bruno Manghi e di crisi della leadership, uno dei temi toccati dalla relazione di Arnaldo Bagnasco.

Su questo punto vale la pena soffermarsi, perché le leadership hanno un esaurimento naturale e, in politica come nelle aziende, non possono nascere per l'ostinazione di qualcuno, per cooptazione o per eredità. Le leadership si formano solo sui progetti e sulle sfide per il futuro e, nel caso di Torino, io credo che il campo in cui si formeranno le prossime sarà quello della rappresentazione e gestione dell'area vasta. In questo senso, le nuove leadership avranno il problema di costruire progetti comuni con altre città, sviluppare la capacità di rappresentarli nelle sedi nazionali e internazionali, dare forza alla negoziazione.