Il metodo e le prove scientifiche in psicoterapia
Giuseppe Nicolo e Sergio Salvatore da Psicobiettivo  1/2008

Nel nostro paese la ricerca in psicoterapia è un ambito scientifico relativamente giovane, con una storia alle spalle non più che ventennale (Nicolo, Salvatore, 2008). Volendo riportare un dato indicativo in tal senso negli ultimi 10 anni sono stati pubblicati solo 5 lavori di autori italiani su Psychotherapy Research, la rivista più autorevole del settore. Tale relativamente giovane area di ricerca si inscrive d'altra parte in un movimento scientifico internazionale che può ormai vantare quasi un secolo di storia.
In realtà, dal punto di vista storico, è possibile assumere il 1952 come una sorta di spartiacque. Fino a quel momento la ricerca in psicoterapia consisteva essenzialmente nella raccolta di casistiche e in studi naturalistici di campo, che estendevano le prime sistematiche analisi sull'impatto delle cure psicoanalitiche realizzate nella Germania di inizio secolo. Nel 1952 Eysenck pubblica un lavoro che molti considerano il punto di avvio del movimento della psychotherapy research cosi come oggi la conosciamo. Il lavoro di Eysenck (1952) viene in genere considerato come una critica di merito dell'efficacia della psicoterapia. In realtà il suo impatto è stato anche, e forse soprattutto, metodologico. Esso infatti, evidenziando la necessità di confrontare i tassi di miglioramento dei pazienti con i tassi di miglioramento spontaneo, di fatto ha portato a riconoscere come standard metodologico generale la necessità di introdurre parametri di controllo negli studi volti a valutare l'efficacia della terapia. Come conseguenza di ciò, la ricerca in psicoterapia si trovò a riconfigurarsi secondo il modello della ricerca cllnica sperimentale, assumendo come fondamentale criterio di validità il razionale RCT (Randomized Clinical Trial). Questo metodo di indagine fu poi implementato da altre procedure di analisi ma è rimasto una pietra miliare ancora oggi irrinunciabile.I ricercatori hanno tentato di separare gli effetti specifici della terapia dai cambiamenti risultanti da altri fattori aspecifici, isolando l'intervento come unico fattore responsabile del cambiamento osservato. In queste ricerche sono utilizzati i gruppi di controllo, assegnando i pazienti in modo ran-domizzato al trattamento o al gruppo di controllo definito dalla condizione di non trattamento/lista d'attesa. Quando i pazienti trattati mostrano miglioramenti chiaramente superiori rispetto a quelli non trattati, il trattamento è considerato efficace. Sebbene la condizione di controllo basata sull'assenza di trattamento è a volte utile, in particolare nelle prime fasi della valutazione di un intervento, sono tuttavia preferibili altre procedure di controllo.
Questo tipo di studi permette di determinare il grado - o il grado relativo — di cambiamento positivo associato al trattamento. Rassegne dei risultati di tali ricerche (ad esempio, Lambert e Ogles, 2004) suggeriscono che l'efficacia dei placebo si manifesterebbe nei termini di una percentuale di miglioramento di circa il 40% dei pazienti. Una parte rilevante dell'attuale ricerca di questo tipo è andata oltre l'uso del placebo, proponendo disegni di ricerca basati sul confronto tra due trattamenti attivi. Questo tipo di studi intende verificare se un tipo di psicoterapia sia superiore ad un altro tipo nel trattamento di specifici disturbi. Una procedura comunemente utilizzata è quella di confrontare un trattamento non ancora testato con un tipo di psicoterapia standard o "as usuai" (prestazioni di routine). L'uso di trattamenti standard o di routine come condizione di controllo implica assumere come riferimento per i nuovi trattamenti l'intervento in quel momento applicato nel caso dei problemi e dei clienti in gioco nella valutazione. Inoltre, i confronti con il trattamento standard dovrebbero essere messi in campo solo una volta che tale trattamento si sia mostrato superiore alle condizioni di controllo volte a verificare spiegazioni alternative dei risultati. Senza tali test preliminari, nel caso in cui sia il trattamento standard che quello nuovo mostrino miglioramenti, il ricercatore non sarebbe nelle condizioni di poter determinare se tali miglioramenti siano dovuti al trattamento o ad altri fattori, quali il trascorrere del tempo o l'esperienza generica di aver ricevuto una forma di intervento. L'uso di trattamenti standard come forma di controllo offre un vantaggio: si risolve in modo definitivo il problema etico relativo all'uso di controlli basati sull'assenza di trattamento, dato che la qualità dell'assistenza è garantita a tutti i partecipanti allo studio; allo stesso tempo, dato che ciascun partecipante riceve trattamenti, è probabile che il numero di soggetti che abbandona lo studio rimanga minimo. Il problema più grande in tale tipo di studi è che tali ricerche vengono promosse proprio dai gruppi che vogliono validare il proprio trattamento e dimostrarne la superiorità rispetto ad altrui trattamenti.
Il confronto viene effettuato con un gruppo di controllo basato su assenza di trattamento, trattamento alternativo o placebo e con assegnazione ran-domizzata ai gruppi (Randomized Control Trial); o di un disegno sperimentale basato sul caso singolo (Controlied Single-Case Experimenf)', o di un disegno basato sul confronto di campioni temporali equivalenti (Equivalent Time-Sampks Design).
Da tale confronto deve emergere che TEST sia significativamente superiore alla condizione di non trattamento, di placebo o di trattamento alternativo o che TEST sia equivalente al trattamento già riconosciuto efficace.
Alcuni aspetti dell'impianto di ricerca degli studi randomizzati suggeriscono indicazioni rilevanti per i ricercatori impegnati nella psychotherapy research. Coloro che si impegnano nella ricerca in psicoterapia utilizzano, per descrivere i risultati, i dispositivi della statistica inferenziale tradizionale, implicanti la definizione preliminare dei livelli di probabilità, il calcolo dell'entità dell'effetto (effect size) — volto a misurare quanto rilevante sia l'impatto del cambiamento - e la stima del significato clinico del cambiamento (Jacobson e Truax, 1991; Kazdin, 2003). Il concetto di appropria-tezza in politica sanitaria prevede la necessità di offrire ai pazienti trattamenti basati su prove di efficacia (Empirically Supported Treatments); attualmente, in ambito psicoterapeutico, nel nostro Paese, tali sforzi appaiono vani.
Specificita' del trattamento
Un importante aspetto della verifica di efficacia dei trattamenti è la capacità di pervenire ad una definizione operativa dei trattamenti stessi. La soluzione tipica di questo problema implica lo sviluppo di manuali di trattamento che guidi l'azione del terapeuta nel corso dell'intervento. Per replicare la valutazione di un trattamento, o per mostrare ed insegnare come condurlo, è essenziale che esso sia adeguatamente descritto. I manuali rinforzano la validità interna delle ricerche, in quanto garantiscono l'integrità del trattamento analizzato; ciò attraverso l'uso di scale di valutazione dei terapeuti implicati nella ricerca, relativamente al grado di conformità al modello manualizzato e di competenza nell'applicarlo. I manuali permettono, inoltre, la comparazione dei trattamenti tra differenti contesti e formati; allo stesso tempo eliminano fattori spesso fonte di confusione, quali le differenze nella quantità di contatto tra terapeuta e cliente, il tipo e la quantità di formazione necessaria per implementare il trattamento. Relativamente agli studi comparativi di esito e ai trattamenti sostenuti da prove di efficacia (EST) vi è poco accordo circa la presenza e l'entità di effetti differenziali tra trattamenti diversi (Lambert e Ogles, 2004; Wampold, 2001).
IL DIBATTITO INTORNO AGLI   EST
- La Evidence Based Medicine ha rappresentato il modello di riferimento nel campo delle scienze sanitarie e della psicoterapia negli ultimi 15 anni. Lo studio empirico della psicoterapia ha compiuto innegabili progressi grazie a tale paradigma. Esso ha infatti offerto la cornice epistemologica e concettuale per la crescita complessiva della qualità della ricerca. Bisogna considerare che fino a 15 anni fa l'ambito psicoterapeutico in Italia era davvero lontano da ogni forma di verifica empirica, per cui la scelta del trattamento era fondata sulla autorevolezza dei clinici e non sulle evidenze scientifiche o sulla diagnosi del paziente. La EBM è stata in grado di definire l'agenda metodologica in modo strettamente correlato alle strategie per affrontare tali problemi.
A tutto ciò va aggiunto un ulteriore fondamentale merito: la filosofia EB ha introdotto una cultura del rigore scientifico in grado di legittimare e consolidare socialmente le prassi psicoterapeutiche sia a livello della professione privata che a livello delle istituzioni pubbliche della sanità. Non da ultimo, va riconosciuto il contributo che il movimento EB ha dato alla dei-deologizzazione della ricerca intorno alla psicoterapia.
Oggi non si può certamente affermare che il modello EB sia superato. Al contrario, esso è saldamente radicato ed esercita un'influenza strategica sulla ricerca (ovviamente non solo di tipo concettuale, ma anche culturale, economico ed istituzionale). Sono molti coloro che ne sostengono le ragioni e ne richiamano la necessità. Le riviste autorevoli che adottano criteri di valutazione derivati da tale modello di ricerca sono probabilmente la maggioranza. Il modello EB costituisce dunque oggi il paradigma dominante. Negli ultimissimi anni è andato tuttavia montando un movimento critico nei confronti di tale modello della ricerca sperimentale (la Randomized Clinical Trial, RCT) che ne costituisce la derivazione sul piano metodologico ed operativo.
Riprendiamo brevemente alcune delle fondamentali critiche sollevate.
In primo luogo, viene osservato come le metodologie messe in atto sono molto simili, se non identiche, a quelle utilizzate per la ricerca in ambito farmacologico, assumendo il concetto che un farmaco e un trattamento psicoterapeutico producessero degli effetti e dei risultati discreti e misurabili (Westen e Shedler 2007; Howard, Orlinsky, Lueger 1994; Zeeck, Hartmann, Oriinsky, 2006).Questa critica veicola due generi di feconde implicazioni. Da un lato, JJ rifiuto di quelle posizioni che tendono ad identificare la ricerca EB come l'unico modello della ricerca in psicoterapia. Dall'altro, la prospettiva di un progresso nello stesso campo della RCT, conseguente alla capacità di questo tipo di ricerca di approfondire e validare empiricamente gli stessi assunti che pone a proprio presupposto. Emblematico di questa posizione il recente oramai già classico lavoro di Westen e colleghi (2004).
Tale critica ha diverse ragioni di esistere (anche di ordine politico) per cui la EBM aveva favorito in modo inequivocabile la diffusione della terapia cognitiva in molti ambiti clinici ed istituzionali, facendo un po' perdere il primato alla psicoanalisi o ad altre forme terapeutiche. Di fatto, la critica principale degli Autori si basa sul fatto che il campione clinico sottoposto a trattamento è il risultato di una selezione così artificiale per cui non potrebbe in alcun modo costituire un riferimento rappresentativo della popolazione clinica (per esempio, assenza di comorbidità).
Un'altra obiezione riguarda gli interventi del terapeuta, per i quali si assume un nesso stretto causa-effetto. Westen e colleghi, sostengono che la ricerca RCT per svilupparsi debba applicare anche a se stessa - ai propri assunti - il principio aureo della validazione empirica.
L'intento di Westen e colleghi è volto a migliorare la validità ed utiliz-zabilità di tale forma di ricerca. Ed è interessante che in questa prospettiva gli Autori evidenzino l'esigenza di sviluppare studi di campo, basati sulla metodologia correlazionale (ad esempio, in questi anni si è significativamente sviluppata la ricerca single case).
Va comunque detto come a favore degli EST gioca il riconoscimento di come gli studi di efficacia nella pratica (effectiveness) abbiano evidenziato che i protocolli efficaci testati possono essere applicati nella pratica clinica con qualche adattamento (Nathan, 2005; Gorman, 1998; Barlow et al., 2000).
Basandosi su dati di questo tipo, i fautori degli studi EST hanno elencato i seguenti vantaggi: a) divulgare la conoscenza; b) miglioramento delle cure rivolte al paziente; e) indirizzare i finanziamenti verso forme di ricerca efficaci; d) migliorare la formazione; e) incoraggiare la ricerca in psicoterapia; f) vasto consenso; g) valore euristico (Barber, Crits-Christoph, Luborsky, 1996; Barlow, 1996; Fonagy e Target, 1996; Roth e Fonagy, 1996; Chambless e Hollon, 1998).
Tali ricerche hanno l'obiettivo di trasformare l'efficacia dei setting sperimentali (efficacy) in efficacia clinica nei setting reali (effectiveness). Anche quando un trattamento ha trovato riscontro empirico, il suo trasferimento da un setting (la ricerca clinica) ad un altro (i servizi clinici) rappresenta un problema autonomo e rilevante, oggetto di un ulteriore ambito di interesse.
Comunque sia, quando si comparano gli effetti dei trattamenti condotti in contesti di ricerca con i trattamenti condotti in contesti clinici, si trovano differenze significative.
RICERCHE SUL  PAZIENTE
I dati prodotti da questo tipo di pratica di ricerca non solo hanno effetti in tempo reale sul miglioramento degli esiti dei trattamenti (Lambert, Whipple et al., 2003), ma possono anche essere cumulati per fornire stime del numero di sessioni necessarie per la guarigione del paziente (Anderson e Lambert, 2001), così come per permettere ai clinici e agli operatori di realizzare operazioni di benchmarking relative agli esiti dei trattamenti. Confrontare gli esiti ottenuti dai pazienti può portare all'identificazione di terapeuti con livelli di efficacia fuori norma; ciò con il duplice fine di promuovere la continuità dei servizi di cura e lo sviluppo di metodi di miglioramento della qualità, quali ad esempio quelli basati sulla diffusione delle strategie che caratterizzano i terapeuti altamente efficaci. L'assunto su cui si basa questo tipo di ricerca è che la relativa trasparenza degli esiti è di beneficio per il paziente in quanto permette a questi di selezionare l'erogatore di servizi sulla base di un criterio di efficacia piuttosto che delle sollecitazioni del contesto culturale, dei testimoni o simili.
STUDI  DI  PROCESSO
Gli studi d'efficacia, in particolare i protocolli EST tipicamente disegnati per disturbi in Asse I, si sono dimostrati appropriati per valutare il trattamento di problemi focali (Goldfried e Eubanks-Carter, 2004; Westen e Morrison 2001). Tale metodologia non permette di identificare quali fattori siano associati al miglioramento e quali invece siano dei fattori limitativi del cambiamento, ovvero a ritrovare all'interno della ricerca sia i mediatori che i modulatori dell'efficacia della psicoterapia. Per identificare mediatori e modulatori è necessario lo studio del processo terapeutico.
Negli studi di processo viene analizzato tutto ciò che avviene nell'interazione tra terapeuta e paziente all'interno del setting terapeutico, dagli aspetti della relazione terapeutica ai singoli comportamenti del paziente, dalla comunicazione verbale agli scambi non verbali; vengono valutati gli aspetti tecnici del trattamento, il modificarsi nel tempo di aspetti sinto-matologici, di funzionamento o relazionali. Il fine è quello di cogliere i microcambiamenti che producono l'esito finale del trattamento, per poter dedurre delle regole sottostanti a tali fenomeni psicologici e verificare ipotesi sul trattamento formulate inizialmente in riferimento alla tecnica utilizzata. Il disegno di ricerca maggiormente utilizzato negli studi di processo è quello naturalistico, che prevede la valutazione di indicatori prestabiliti. Tali singole unità possono essere identificate nell'ambito del complessivo dialogo terapeutico, così come nella verbalizzazione del paziente oppure negli interventi del terapeuta.
Possiamo dire che gli studi di processo rappresentano, vista la loro organizzazione, l'ambito di ricerca preferenziale per poter identificare i mediatori e i moderatori di un trattamento psicoterapeutico; l'identificazione di questi elementi risponde infatti alla necessità di comprendere su cosa il trattamento agisce e perché funziona.
IL  SINGLE CASE
La ricerca single case è una modalità di studio nella quale "l'unità di osservazione non può essere ulteriormente scomposta" (Yin, 1994); vengono effettuate valutazioni ripetute per verificare variabili dipendenti e variabili indipendenti. Per esempio, se si vuole studiare se un intervento terapeutico migliori o meno le capacità metacognitive allora si definirà rigorosamente l'intervento come variabile indipendente e si misurerà attraverso scale predefinite all'interno della singola seduta quale sia la risposta ad un determinato fattore. La ricerca su caso singolo prevede la valutazione di numerosi eventi che si verificano durante le sessioni di trattamento, raccogliendo in tal modo molti e diversi dati ma su un solo caso.
Come affermano Lingiardi e Fontana (2003): "II disegno sigle-case e il disegno RCT sono strategie che fanno parte entrambe del bagaglio metodologico del ricercatore dal quale vengono utilizzate, a seconda delle caratteristiche della situazione oggetto di studio". Il concetto del caso singolo è molto simile a quello delle osservazioni ripetute di un fenomeno, infatti la variabilità e l'andamento di una singola caratteristica (Roth e Fonagy, 1996) vengono osservati durante il trattamento, nel tentativo di correlarle all'esito. Gli studi single case possono avere differenti strategie di ricerca: di tipo descrittivo - basata su resoconti di casi clinici - o di tipo quantitativo - metodologia utilizzata in studi esplorativi o esplicativi di particolari principi, tipica delle ricerche di processo (Lingiardi e Fontana, 2003). In tal modo, lo studio single case consente di mettere in discussione in maniera critica le basi sulle quali sono state costruite teorie generali, per stimolare successive ricerche dove verificare ed applicare nuovi principi e conoscenze (Kàchele, 2002); permette inoltre di formulare ipotesi sui diversi fattori responsabili del cambiamento che possono poi essere verificati anche attraverso un disegno di ricerca con gruppo di controllo (Arnold e Grawe, 1989; Grawe, 1988; Grawe e Braun, 1994). Negli studi single case vi è impossibilità a generalizzare le osservazioni effettuate sul caso su una popolazione clinica più ampia, se non attraverso un lento accumulo di casi clinici; in ogni caso, e come nei modelli EST,anche qui i pazienti che si sottopongono ad analisi single case saranno sele-zionatissimi e quindi non rappresentativi della realtà; proviamo, per esempio, ad immaginare la ricerca su un caso singolo di disturbo paranoide. Il paranoide che si lascerà registrare sarà certamente diverso da quello (la gran parte) che non lo permetterà proprio a causa della sua patologia, e quindi i dati in nostro possesso non saranno generalizzabili.

CONCLUSIONI

Ogni ricerca sull'efficacia deve preliminarmente aver definito con chiarezza cosa sia efficace e in base a quale ipotesi teorica. Per esempio, il trattamento basato sulla mentalizzazione ipotizza che una buona relazione madre-bambino migliori la funzione riflessiva del bambino e che questo fattore sia protettivo dalla psicopatologia. Le ricerche sono iniziate con la misurazione della scala della funzione riflessiva e poi sulla modellizzazione degli interventi che in terapia sembravano migliorare tale funzione (caso singolo); a questo punto il modello di psicoterapia è stato applicato ad un certo numero di pazienti manualizzando gli interventi e verificando se il miglioramento della funzione riflessiva fosse o meno correlato al miglioramento sintomatico. Quindi dopo tali step è stato confrontato il trattamento con altri trattamenti di cui era stata dimostrata l'efficacia.
Un esempio in questa dirczione è quello di Marsha Linehan (Linehan et al., 2006). Tale Autrice riesce non solo a fornire un'ipotesi etiopatogenetica forte (teoria dell'ambiente invalidante) per spiegare la psicopatologia e formulare ipotesi di intervento (intervento di validazione), ma anche a dimostrarne l'efficacia clinica sia in ambito sperimentale che in ambito di realtà clinica su comportamenti specifici (suicidio e parasuicidio). Gli sforzi effettuati da Clarkin e Levy (2006) sui meccanismi di cambiamento in psicoterapia incrementano ancora di più il bagaglio di conoscenze a nostra disposizione.
Da tali argomentazioni si devono trarre anche delle riflessioni di carattere operativo, come quella della verifica delle ipotesi patogenetiche. Per esempio, in Italia, esistono molte correnti di pensiero e ipotesi teoriche che non solo non hanno il conforto della ricerca ma che ormai non riescono a spiegare i fenomeni clinici per cui erano state pensate. Nel nostro mestiere non possiamo affermare di certo che solo le psicoterapie che hanno avuto il benefìcio delle prove di efficacia sono efficaci, perché non è così. Dobbiamo comunque avere l'umiltà di sottoporre a prove sperimentali sia le affermazioni di base su cui si poggia la nostra impostazione teorica che, di conseguenza, il trattamento che stiamo proponendo al nostro paziente. In realtà dovremmo verificare se i cambiamenti che osserviamo nel nostro paziente siano descrivibili partendo dai presupposti di base su cui si fonda il nostro trattamento.

Su questo punto, purtroppo, molti approcci terapeutici presenti nel nostro paese, non troverebbero ragione di esistere e non sarebbero ammessi in una comunità scientifica.
Le ricerche hanno dimostrato che la psicoterapia, indipendentemente dall'approccio utilizzato, è sicuramente efficace. E stato osservato come, alla fine di un percorso psicoterapeutico, risulta stare meglio l'80% dei pazienti rispetto ai gruppi di controllo non trattati (Lambert e Bergin, 1994). La ricerca empirica ha così permesso di affermare la psicoterapia come disciplina scientifica (Orlinsky, Grawe e Parks, 1994).
Un professionista al giorno d'oggi non può permettersi di ignorare le ricerche effettuate sul trattamento del disturbo da attacchi di panico, ripetute in centinaia di contesti, tanto da convincere l'Organizzazione Mondiale della Sanità che il trattamento cognitivo comportamentale è il più efficace trattamento per questo tipo di pazienti. Si badi bene: viene validato solo il trattamento cognitivo comportamentale standard o di gruppo (Andrews et al., 2005).
Le critiche che possono essere mosse a questo tipo di intervento saranno certamente moltissime ma, di fatto, sul problema specifico (attacchi di panico) su una determinata popolazione di pazienti, si può certamente concludere che uno specifico trattamento (CBT) riduca sensibilmente l'ansia e il panico. Un clinico che non consideri questa evidenza dovrebbe almeno addurre delle spiegazioni.
La ricerca single case si dimostra insostituibile nel confutare, piuttosto che nel confermare, ipotesi di funzionamento mentale, ma presenta dei significativi problemi di generalizzazione. La ricerca single case è cruciale in quelle patologie in cui il meccanismo patologico è molto chiaro. Ad esempio, nelle patologie neurologiche descritte da Oliver Sacks e da Antonio Damasio in cui il sistema e i circuiti alla base della patologia sono ben conosciuti (vedasi per esempio la patologia a carico dei gangli della base), per cui la descrizione del caso singolo può rafforzare l'ipotesi patogenetica o permettere di acquisire nuovi elementi per il suo completamento. Nell'ambito del trattamento dei disturbi mentali non siamo ancora a questo punto: come funziona la mente e quali sono le variabili che possono determinare una malattia mentale non è noto e ciò non ci permette di avere dei modelli perfetti. Anche i criteri diagnostici spesso sono sfumati e non netti tra una patologia ed un'altra. Ma se questa obiezione è vera per i RCT, in cui le caratteristiche dei pazienti sono troppo selezionate per poter consentire una generalizzazione, non si può certo pretendere che un singolo caso possa essere esaustivo nella comprensione di una patologia di una forma di trattamento.
Nel futuro, la ricerca in psicoterapia sarà chiamata a dare maggiori indicazioni per la pratica cllnica; dovrà proporre acquisizioni controllate empiricamente, che possano così migliorare l'efficacia dell'intervento clinico. In tal modo i clinici, così come gli amministratori dei servizi di salute mentale, non potranno ignorare la psicoterapia nel ventaglio di offerte terapeu-tiche al pubblico. Ogni scuola di formazione in psicoterapia dovrebbe dedicare parte delle proprie risorse alla ricerca sulla efficacia della metodologia di intervento insegnata.
Il che evidentemente rimanda ad un grosso problema, che qui ci limitiamo a richiamare: le implicazioni economiche e di potere legate alle direzioni della ricerca. È infatti evidente che la validazione di una determinata metodologia di intervento non è solo una questione scientifica, ma anche economica, sia a livello di mercato delle prestazioni professionali che dei processi di distribuzione delle risorse pubbliche e istituzionali.
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