Prini, recentemente scomparso, seguendo il pensiero di Gabriel Marcel, suo maestro, critica i razionalismi epistemologici delle scienze dell'uomo che, "proponendosi di fondare 'la scienza' o un tipo di conoscenza 'valida per tutti', sacrificano la singolarità irripetìbile dell'esistente e la incircoscrivibile trascendenza dell'Essere ad un'astratta e vuota universalità di oggetti o di 'funzioni ' gravitanti intorno ad un ugualmente astratto ed iperbolico 'Soggetto' che, per essere il soggetto di tutti o di'chi non importa chi' è in effetti il soggetto di 'nessuno' " (Citato in Antiseri D. Taglia-gambe S. cur.i (2008), Filosofi Italiani Contemporanei, Storia della filo sofia, voi. 14, Milano, Bompiani).
Parto da questo accento critico proprio dell'esistenzialismo per proporre il quesito alla base di questo lavoro: la centralità della persona, la sua coniugazione in atti esistenti vi unici, irripetibili ed irriducibili, può dialogare con l'impostazione materialistica neuro scientifica? La risposta affermativa è la cifra del pensiero neo-esistenziale, un pensiero che costruisce il proprio modello di
riferimento nel suo farsi, nel suo esistere ed agire, ancora acerbo per certi aspetti, in quanto falsificabile solo parzialmente, non ancora "scientifico" ma già tecnico. Alcuni assunti riconoscono una complementarietà, a volte una corrispondenza, con le conoscenze neuroscientifiche (anche le neuroscienze sono il risultato di lavori in progress, con teorie che preorganizzano - pregiudicano?- i paradigmi su cui si costruiscono i programmi di ricerca). Quella che segue è una breve rappresentazione sintetica di questi assunti e della loro possibile correlazione neuroscientifica.
L'uomo è Persona, in quanto unico, irripetibile ed irriducibile.
Questo primo assunto appare più un dogma, in forma di aforisma, che una sentenza scientificamente validabile: approfondiamo l'analisi, però, alla ricerca di una validità "popperiana", saltando in parte il gap filosofico. Partiamo dall'unicità. Essa emerge dalla incredibile mole di informazioni che costituiscono la persona, tra le quali:
• Informazioni genetiche: riconoscono le variabili di specie, di sottospecie, razza, etnia, le variabili degli individui genitori, le variabili dei gameti che l'hanno generata.
• Informazioni congenite: tutte le variabili che hanno consentito l'incontro dei due gameti, ambiente esterno ai genitori, ambiente interno della madre, stimoli diretti sul feto durante la gestazione, al momento del parto etc.
• Informazioni da imprinting, apprese sub-liminalmen-te, acquisite attraverso il sistema dei neuroni specchio, esperienze formative, apprendimento culturale etc.
• Informazioni mediate dagli strumenti conoscitivi che società e ambiente mettono a disposizione della persona.
Siamo di fronte ad una tale mole di variabili, quantifica-bili ad infinito, pur se non infinite, che determinano l'unicità di quella persona, i cui tratti si evolvono attraverso l'interazione di queste diverse variabili. Questo'quasi infinito ad n potenza' determina conseguente-mente anche l'irripetibilità della Persona: quale 'macchina' potrebbe ricostruire esattamente tutte le variabili e tutte le interazioni che hanno dato vita a Giuseppe A in modo da creare un Giuseppe B identico al precedente?
Se una tale macchina esistesse o se se ne potesse ipotizzare la realizzabilità potremo trovarci di fronte alla possibilità di un experimentum crucis che falsificasse l'assunto dell'unicità ed irripetibilità della persona. Una macchina del genere è stata creata dalla fantascienza: il tele trasportatore di Star Trek. Il capitano Kirk entra nel cilindro di cristallo del teletrasporto; in questo cilindro, un elaboratore potentissimo, collegato a sistemi scanner sofisticatissimi, "fotografa" molecola per molecola, atomo per atomo, il capitano Kirk ed invia l'informazione, attraverso onde radio (?) in un punto specifico in cui il capitano deve recarsi, mettiamo sull'astronave vulcania-na del suo amico Spock. Quindi l'apparecchio "disintegra" il capitano e lo "riproduce" partendo dagli elementi base che trova nell'aria dell'astronave vulcaniana ...et voila, il capitano Kirk è arrivato sull'astronave vulcaniana, pur se essa si trova a migliaia di chilometri dal-l'Enterprise (la leggendaria astronave di Kirk); bene, il capitano Kirk "ricostruito" ha in sé tutte le informazioni che ha accumulato in una vita così avventurosa ma è lo stesso capitano Kirk "disintegrato"? e il capitano Kirk disintegrato dove è finito? La sua coscienza è stata distrutta?
La singolarità del funzionamento del teletrasporto lascia emergere quesiti anche sul terzo elemento dell'assunto'quasi infinito ad n potenza' determina conseguente-mente anche l'irripetibilità della Persona: quale 'macchina' potrebbe ricostruire esattamente tutte le variabili e tutte le interazioni che hanno dato vita a Giuseppe A in modo da creare un Giuseppe B identico al precedente?
Se una tale macchina esistesse o se se ne potesse ipotizzare la realizzabilità potremo trovarci di fronte alla possibilità di un experimentum crucis che falsificasse l'assunto dell'unicità ed irripetibilità della persona. Una macchina del genere è stata creata dalla fantascienza: il tele trasportatore di Star Trek. Il capitano Kirk entra nel cilindro di cristallo del teletrasporto; in questo cilindro, un elaboratore potentissimo, collegato a sistemi scanner sofisticatissimi, "fotografa" molecola per molecola, atomo per atomo, il capitano Kirk ed invia l'informazione, attraverso onde radio (?) in un punto specifico in cui il capitano deve recarsi, mettiamo sull'astronave vulcania-na del suo amico Spock. Quindi l'apparecchio "disintegra" il capitano e lo "riproduce" partendo dagli elementi base che trova nell'aria dell'astronave vulcaniana ...et voila, il capitano Kirk è arrivato sull'astronave vulcaniana, pur se essa si trova a migliaia di chilometri dal-l'Enterprise (la leggendaria astronave di Kirk); bene, il capitano Kirk "ricostruito" ha in sé tutte le informazioni che ha accumulato in una vita così avventurosa ma è lo stesso capitano Kirk "disintegrato"? e il capitano Kirk disintegrato dove è finito? La sua coscienza è stata distrutta?
La singolarità del funzionamento del teletrasporto lascia emergere quesiti anche sul terzo elemento dell'assuntoartificiale, con le riproduzioni create dall'uomo;
- il Mitwelt, il mondo degli altri e con gli altri, la relazione lo-Tu, la relazione Io-molti, il rapporto alla società come complesso di molti uomini e della loro interazione;
- l'Eigenwelt, il mondo dal di dentro, l'assunzione del sé, il rapporto con le emozioni, il pensiero, il dolore ed il piacere, la fantasia, la memoria. Ognuno di questi mondi, ovviamente intrinsecamente legati tra loro ed indivisibili, è terreno di esperienza delle facoltà mentali ed accoglie funzioni che le neuroscienze stanno progressivamente decriptando.
Neuroscienze ed Exsistenzenwelt.
Tra ipotesi e scoperte le neuroscienze ci costringono quotidianamente ad accendere processi di verifica sia del nostro territorio di conoscenze, con cui ci confrontiamo clinicamente, sia dei nostri strumenti di intervento. Un'ipotesi neuroscientifica "debole", tra quelle recentemente affacciatesi alla ribalta internazionale, l'ipotesi della possibilità che l'oggetto di studio neuro scientifico non possa limitarsi alla sola mente, ma che debba rivolgersi alla "mente estesa", potrebbe trovare nuovo sostegno da una sua particolare accezione: gli "oggetti" che vengono inclusi nella mente estesa sono oggetti progettuali (intenzionali), elaborati nel tempo ed utilizzati come estensione della persona. Penne, computer, carta, libri, tribunali, scuole sono considerati tutti sussidi della mente; può sembrare assolutamente improponibile immaginare come parte integrante della nostra mente oggetti chiaramente dotati di una propria "essenza", altra da noi: ma ognuno di essi è il frutto dell'attività progettuale dell'uomo e, in parte, determina la vita stessa dell'uomo. Gli oggetti non sono immodificabili, cambiano nel tempo e nel luogo, il loro variare è determinato, in genere, dal progetto attivato dall'intenzionalità, così come il loro cambiamento determina modifiche nell'esistenza umana e nella progettualità stessa dell'esistere. La costruzione di un progetto è imprescindibile dalla storia dell'individuo ed è legato alla gestione dell'Er-lebnis, del vissuto o, come precisa Ales Bello, "ciò che da noi è vissuto", viventia (Ales Bello A., De Luca A. (cur.i), Le fonti fenomenologiche della psicologia, Pisa 2005,Ed.ETS). L'Erlebnis è a sua volta legata alle esperienze della persona, storicizzate e contestualizzate; il comportamento emotivo, le scelte, i progetti, le ansie tutte riflettono la particolare Erlebnis del momento. Un esercizio mentale che mi ha aiutato a comprendere questo punto essenziale è stato quello di immedesimarsi nella progettualità di uomini i cui contesti siano chiaramente differenti dai nostri. Mi sono, così, immedesimato in colui che progettava di raggiungere la capitale del suo paese quando il mezzo più veloce era il cavallo, per quei pochi che avevano la possibilità economica di permetterselo: l'idea di distanza, la dimensione del viaggio, l'emozione di allontanarsi dalla propria casa e dai propri affetti per un tempo spaventosamente più ampio delle poche ore che oggi mi consentono di percorrere nelle due direzioni i 200 km che separano la mia città dalla capitale, mi producevano una sensazione di stra-niamento. Ancora ho provato ad'immedesimarmi in colui che voleva diffondere la sua opera, un poema o un saggio, in un tempo in cui la replicazione dei testi era affidata alle mani faziose degli amanuensi e destinate alla lettura corale: la scelta stessa di porre in scritto le proprie idee, fantasie, impressioni, sapendo che pochi potranno fruirne e che, quei pochi, potranno conoscerle artatamente distorte da chi le ricopia o da chi le proclama, potrebbe aver scoraggiato molte menti che oggi avrebbero potuto essere considerate geniali? (Mi rendo conto del rischio che corro di scivolare verso una storia dei "se", non è mia intenzione farlo). Infine ho provato anche a confrontare una possibile esperienza attuale con quella di chi, tra qualche anno (si spera presto), accoglierà la sentenza di un medico "lei ha un cancro" con un "solo questo? Meno male, temevo peggio." [Tomma-so Campanella (sé modificato, in Metaphysica, 1623) e Wilhelm Leibniz (l'altro ha una modificazione di me che io non ho, in Monadologia). Ringrazio Ferdinando Brancaleone per questi suggerimenti]. Ebbene, per quanto mi sia sforzato, non mi è stato possibile replicare i contenuti emotivi e le proposizioni di quella progettualità, né avvicinarmi ad essa; in questo senso immagino che l'ipotesi della mente estesa incontri una validazione "esistenziale". Inoltre, considerando che possano essere inclusi nella mente estesa anche l'ambiente intorno a noi, gli oggetti necessari, le immagini naturali e costruite, essa può dimostrarsi interlocutrice privilegiata dell'Umwelt bin-swangeriano, il "[...}"mondo circostante": è, questo, ciò che generalmente viene chiamato ambiente; è il mondo in cui regnano le leggi naturali, è il mondo delle pulsioni biologiche, il mondo degli istinti, delle forze deterministiche" (Brancaleone F. (1987), L'Orientamento Esistenziale, in Mastroianni-Minio, Psicoterapie a confronto, Ed. Thyrus, Arrone (TR), p. 174). La capacità di cogliere le circostanze della nostra presenza (dasein) è oggettivata, tra le altre, nella CRUM (Computational-Representational Understunding of Mind), teoria che postula "strutture rappresentazionali e un insieme di processi che operano su queste strutture" (Thagard P. (1996), La mente. Introduzione alla scienza cognitiva., Ed Guerini, Milano 1998, pag. 27).
Questa teoria reca insita la necessità di un'inclusione del modello rappresentazionale in un dialogo ideale con la prospettiva neoesistenziale; sottolinea, infatti, Thagard (Paul Thagard è professore di Filosofia e si occupa di programmi di "Psychology and Computer Science"; è Direttore del programma di Scienza Cognitiva ed è University Research Chair all'Università di Waterloo):"Così come nel caso di sostenitori più accaniti delle prospettive heideggeriane e dell'azione situata, alcuni costruttivisti sociali propongono di abbandonare completamente la CRUM a favore di una prospettiva puramente sociale nello studio della conoscenza" (Thagard R, op. cit., pag. 158). Una contrapposizione che potrebbe, invece, risolversi in una complementarietà se lanciamo l'ipotesi che il rapporto tra strutture interne e mondo esterno non sia dicotomico, ma favorito in parte dall'attività dei neuroni mirror; l'evoluzione stessa dei neuroni mirrar potrebbe essere stata selezionata dalle prime forme di socializzazioni e di interazioni, evolutesi nel rapporto lo-Tu, antropologicamente fondato. Transitiamo, in questo modo, nel Mitwelt, il mondo con, il sociale, il mondo dei propri simili, ma anche dei non simili: i neuroni specchio agiscono su ogni comportamento osservato o filtrano i comportamenti attraverso scelte culturalmente evolute? È vero "sotto certi aspetti e in certi contesti, che cultura e individualità possano definirsi come espressioni reciproche l'una dell'altra, è una banalità" (Auge M. (1992), Nonluoghi, Eleuthera Ed., Milano 2005, pag. 25) ma è altrettanto vero che il confronto con l'altro non può prescindere dalla sedimentazione di culture archetipe. Ecco, allora, che da questa sedimentazione nascono le 4 classi di "altri" dell'antropologo francese: l'altro esotico (noi europei/gli altri asiatici), l'altro etnico (l'altro degli altri, diverso da noi, turco, arabo, ebreo etc.), l'altro sociale, (l'altro da me, gli altri che incrocio, che immagino che fruiscono di quello di cui fruisco io), l'altro intimo (il mio prossimo affettivo, l'interlocutore familiare, l'amico). La differenza tra essi marca attraverso la nostra facoltà di Teoria della Mente.
È stata avanzata l'ipotesi che la Teoria della Mente (TOM) non potrebbe emergere nell'esperienza umana senza i neuroni specchio. La Teoria della Mente è l'unica che ci consente di ragionare sull'Eigenwelt; individuiamo nell'altro la presenza di Erlebnis grazie alla TOM; se così non fosse la nostra sensazione di presenza nel mondo ci porterebbe all'estremo materialismo, in cui tutti i nostri simili non sono altro che degli oggetti, privi dei contenuti antropologici dell'esistenza. Immaginate un Blade Runner che si trovi in una città sconosciuta della terra, senza il proprio strumento di riconoscimento iridale, incapace di dare certezze alla sua intuizione di essere circondato da replicanti: tutti manifestano comportamenti emotivi, ma sono frutto di propensioni psicologiche o di un programma cibernetico? e quanto è "umano" il programma cibernetico delle emozioni dei replicanti?
Erklàren/verstehen
Dopo queste considerazioni mi autorizzo a rileggere con rinnovato spirito la dicotomia erklaren/verstehen, imposta alla psicopatologia da Jaspers. Nel linguaggio quotidiano i due termini assumono, a volte, ruolo di nonimi; particolarmente nella nostra lingua i concetti "capire" e "comprendere" sono spesso assimilati. TJ snodo filosofico fondamentale per leggerne la diffen za è quello imposto dallo storicismo tedesco e riproj sto da Dilthey nella separazione tra Naturwissensch ten e Geistwissenscaften (scienze della natura e scie: dello spirito) (Dilthey W., Introduzione alle scienze a lo spirito, (1883), Firenze 1974); il verstehen implica contestualizzazione storica, 1' erklaren ricerca la con quenzialità logica.Comprendere può non implicare il capire; comprende persona, capisco il motivo di quel comportamento. Se una persona mi racconta i suoi problemi con vocee spezzata dall'emozione, il volto segnato dalle lacrime posso capire le ragioni del suo disappunto e della sua tristezza...ma se questa persona è originario della Manciuria e non conosce parola diversa dalla sua lingua (io ho qualche difficoltà con il cinese, lo confesso), e' estremamente difficile per me capire qualcosa; eppure l'emozione, la tristezza, la difficoltà del singolo riuscire a comprenderle (l'abbraccio, anche virtuale, è universale).
Affinchè io comprenda devo essere in grado di:
- sospendere il giudizio (epoche)
- creare un rapporto empatico
- dare senso al rapporto creato.
Il processo di attivazione degli strumenti di comprensione passa per il riconoscimento di alcuni aspetti i comportamento dell'altro e per la mia capacità di r; presentazione mentale.Ha consentito questa mia possibilità il sistema dei n< roni specchio, lo ha elaborato lo strumento mentale e mi consente di possedere una teoria della mente, lo f malizza e stabilizza il lavoro dell'amigdala, che sostie le emozioni e le "predice" nell'altro, a partire dal rii noscimento di certi elementi di comportamento. L'empatia, "l'enigma [...] oscuro o addirittura torm< toso" di Husserl, complesso processo mentale che è a base del Mitwelt, è oggi nuovo campo di studio de neuroscienze. Partendo dall'opera dei neuroni specchi attraverso una lunga storia evolutiva, potrebbe esse strutturato un procedimento che Preston e de Waal eludono nel modello perception-action: "Un mode percezione-azione di empatia attesta precisamente e la percezione dello stato dell'oggetto attiva automatu mente nel soggetto le rappresentazioni dello stato, de situazione e dell'oggetto e che tale attivazione inneì o genera le risposte somatiche e automatiche associa a meno che queste vengano inibite." (Preston S.D., Waal S.B.M. (2002), "Empathy: its Ultimate and Pro mate Basis. In Behavioral and Brain Science, 25, p. cit. in Boella L., Neuroetica, R. Cortina, Milano 20( p. 96). Lo scarto tra i due individui che si confrontano, ripn dendo l'esempio, lo scarto linguistico tra il cinese e r potrebbe essere colmato da questo procedimento; la miaemozionalità, stimolata dai comportamenti dell'altro, completerebbe il processo di "comprensione". Il verstehen è una facoltà: posso sostenerla ed implementarla attraverso un lavoro di confronto con il mio Mitwelt, costante, continuativo, mirato alla comunicazione, non pregiudicante.'La capacità di sospendere il giudizio (epoche), un'altra mia facoltà, è fratto di un allenamento: devo allenarmi, infatti, a contenere (se non a contrastare) quella facoltà di giudizio che mi consente di capire, erklaren, e che è stata rinforzata nel lungo tempo dell'evoluzione culturale nel tessuto della tradizione culturale occidentale, in cui sono nato ed opero.
Un mondo di possibilità
Kierkegaard proclamava l'uomo immerso in un mondo di possibilità: il modo di essere dell'esistenza non è la realtà o la necessità, ma la possibilità. Al singolo "tutto è ugualmente possibile", nessuna possibilità gli è preclusa; ma "soltanto chi è formato dalla possibilità, è formato secondo la sua infinità" (Citazioni da S. Kierkegaard: "II concetto d'angoscia"). Essere immersi in un mondo di possibilità comporta che sono disponibili tante altre possibilità nella ricerca di soluzioni a qualsiasi problema si stia affrontando: esistono diverse possibilità di lettura, diverse possibilità di risoluzione, diverse possibilità di errore e così via. Il concetto aristotelico del terzo escluso, tertium non da-tur, viene parafrasato in tertium datur (Watzlawick P. (1986), Di bene in peggio, Feltrinelli, Milano 19877 2003, pag. 31-35); le rigide logiche comportamentali trovano alternative insperate attraverso l'esplorazioni di mondi diversi, linguaggi diversi, pensieri diversi. Edward De Bono ha targato questa ricerca del differente con la cifra del pensiero laterale ed ormai, in oltre 40 anni di vita, questo concetto è entrato nel linguaggio comune, oltre che nella filosofia quotidiana. La ricerca del terzo escluso, il pensiero laterale, la prova di alternative, tutti tendono ad ampliare le possibilità del singolo. La ricerca di ogni ulteriore possibilità è uno strumento fondamentale nella pratica delle professioni d'aiuto orientale esistenzialmente; esse agiscono favorendo la consapevolizzazione delle altre possibilità che il singolo ha a disposizione senza che, sino a quel momento, se ne sia accorto. Come mai il singolo ha bisogno di strumenti specifici o di aiuti professionali per trovare alternative e non riesce direttamente a rendersi conto delle possibilità in cui è immerso? A noi manca la facoltà di "leggere" direttamente la nostra mente: essa parla un linguaggio che ci è ancora precluso e ci invia segnali che ci consentono solo di costruire una "rappresentazione" delle sue caratteristiche. Conosciamo una mappa dettagliata della nostra mente ma, come tutte le mappe, essa non è esaustiva. L'esplorazione dei territori sconosciuti deve avvenire, allora, attraverso strumenti alternativi, saltando la rigidità di schemi prefissati, lavorando con le emozioni, seguendo un professionista che ci aiuta ad aprire strade nuove: in tal modo ampliarne le nostre "mappe interne". E, attraverso quest'opera di "scavo", come pensava Freud, o di esplorazione, più legata all'hic et nunc, come propone il modello neoesistenziale, prendiamo contatto con quelle possibilità che, una volta presenti e attive, si sono lentamente "addormentate", ovvero con quelle possibilità che non abbiamo mai "incontrato" nella nostra vita, o in cui non abbiamo mai creduto. Il darwinismo neurale di Edelman (Edelman G.M. (1987), Darwinismo neurale, Torino 1995, Einaudi Ed.) è, a mio avviso, un possibile modello neuroscientifico di queste sopite alternative; come circuiti neuronali motori concorrono per quell'unico comportamento, fin quando uno di essi non supera gli altri che, a quel punto, si "ritirano", si assopiscono, ma non scompaiono, così comportamenti complessi, alternative di scelta, possono coesistere con quelle "più adatte", quelle che contribuiscono a sostenere il "sistema di valore presente nel cervello" (Edelman G.M. (2006), Seconda Natura, Milano 2007, R. Cortina Ed., pag. 26), senza che la mente le registri. L'utilizzo di strumenti che stimolano la ricerca interna senza "invadere" la mente dell'altro, vale a dire strumenti non conoscitivi ma facilitatori dell'autoconsape-volizzazione, può condurre il singolo alla scoperta di alternative particolarmente produttive per superare la difficoltà del momento. Ampliarne le nostre mappe interne: conoscere, ascoltare, osservare, viaggiare, incontrare, provare, sperimentare, amare, tutto un mondo altro da quello che abbiamo sempre concepito.Ritengo che sia questa la cifra del modello neoesistenziale, il "goal" cui tende la cura della persona; forse anche lo scopo, possibile e non dichiarato, della totalità delle psicoterapie.
Per non concludere
Ancora un elemento che segna significativamente il modello neoesistenziale, un elemento forse non essenziale, di metodo: l'ironia, o meglio, l'autoironia che l'antropologo esistenziale stimola anche nella persona che a lui si rivolge. Già Viktor Frankl aveva introdotto metodologicamente in psicoterapia l'autoironia, quando proponeva come metodo aspecifico in logoterapia strumenti come la de-reflessione e, soprattutto, l'intenzione paradossa; contemporaneamente alle esperienze frankliane e negli anni successivi, gran parte delle psicoterapie strategiche, relazionali e familiari hanno utilizzato l'humour, il sorriso, il "prendersi in giro", il paradosso quali strumenti di intervento aspecifico o mirato in psicoterapia. Altre forme di intervento, anche non strettamente psicoterapeuti-che, utilizzano l'ironia per rafforzare prescrizioni o indagini interne: cito, tra le altre, la terapia provocativa di Farrelly o alcuni aspetti metodologici dell'ipnosi diMilton Erickson e tutte le professioni d'aiuto che nascono dal filone umanistico-esistenziale. Quale logica sottende alla scelta di comunicare con ironia o stimolare l'autoironia nei rapporti d'aiuto? Ogni metodologia di intervento, legata ad uno specifico modello psicologico, ha una teoria di supporto all'utilizzo dell'humour: approfondire il discorso esula dalla scopo di questo lavoro. Mi appare, invece, pertinente interrogarmi se esista una "giustificazione" neuroscientifica del potere taumaturgico dell'ironia. Il riso, studiato antropologicamente in ogni sua accezione, ha un ruolo omeostatico sulla mente? ne consente un progresso? Per il nostro modello l'ironia, l'humour, il paradosso sono tutti potenti strumenti di ampliamento delle mappe interne, consentono quella "ricerca interna" che attiva, forse, circuiti neuronali "addormentati" o percorsi logici-biologici sino ad ora evitati, con un'immediatezza che nessun altro strumento metodologico riesce ad avere.È mia personale convinzione che, attraverso lo studio dei presupposti neuroscientifici dell'ironia, potremmo raccogliere risposte significative sulle possibilità di autocura della mente. È una strada che si dovrà ancora percorrere.
* Direttore della Unità Operativa Salute Mentale 26/27 ASL Caserta 1, Presidente dell'Istituto di Scienze Umane ed Esistenziali, Napoli
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