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Le nostre decisioni , il loro significato, perche' siamo diversi dalle macchine

di Simona Marini , da Domenica (sole24ore) , 28/12/08

Perché l'Escherichia coli, microsco­pico batterio, si aggira famelica in cerca di aspartato (il suo cibo pre­ferito) e si tiene alla larga dai vele­ni? Perché avete deciso di leggere questa recensione (o il libro di Read Monta-gue)? Perché, ancora, trentanove seguaci della setta Heaven's Gate si sono suicidati in massa credendo che ci fosse un'astrona­ve nascosta dietro làcoda della cometa Ha-le-Bopp che aspettava di portare il gruppo a uno "stadio superiore"? Insomma: perché facciamo quel che facciamo?

Nei primi anni Novanta del secolo scor­so un gruppo di ricercatori del Mit guidati da Tomaso Poggio, caposcuola dell'inter-pretazione computazionale dell'intelligen­za biologica, il Centro di Neuroscienze Computazionali del Caltech, e il Computational Neurobiology Lab (Cm) dove lavora­va allora anche Read Montague, si propose­ro di interpretare in termini computaziona­li le attività mentali, in particolare quelle le­gate alla decisione: dalle "scelte" elementa­ri eseguite da molecole e batteri come l'Escherichia a quelle assai più complesse (o tragicamente strampalate, come nel ca­so di Heavens' Gate) operate dal nostro cer­vello. L'idea di fondo di questo approccio si rifa esplicitamente ad Alan Turing: la "ma­teria del pensiero" è fatta dipatterns di in­formazioni accumulate, elaborate e trasfor­mate nel nostro cervello. O meglio, come precisa Montague: «La tua mente non equi­vale al tuo cervello; è l'esito dell'elaborazio­ne delle informazioni supportata dal tuo cervello». Un po' come il sistema operativo che "gira" sui nostri computer.

Contro questa concezione si leva il La­mento di Portnoy della filosofìa della men­te, cioè il problema della coscienza consa­pevole, o il lamento tout court dei nostalgici dell'anima, del senso "profondo" della vita, della "spiritualità", eccetera. Al di là del to­no talvolta lagnoso, falsamente profondo e teoricamente inconcludente, queste lamen­tele hanno un quàlche  fondamento reale. La computazione, non essendo altro che manipolazione di stringhe di simboli, non veicola alcun significato. Le macchine, an­che quelle "pensanti" come i computer, "non si preoccupano". Neanche gli squali, peraltro, "si preoccupano" dopo aver sbra­nato un malcapitato e, aggiunge Montague, «devo ammettere che sono lieto che loro non possano organizzarsi in sette religiose:........fanno già abbastanza paura così!». Gli esse­ri umani, invece, "si preoccupano". Noi sia­mo «configurazioni "piene di significato" composte di due tipi di computazione: quel­le da cui dipendono in toto percezione e mo­vimento più le loro valutazioni» (pagina 231). Ma valutazioni e valori non piovono dal di fuori (o dall'alto, magari), ma sono parte integrante di ogni nostra rappresentazione, finemente "ingranati" nei meccani­smi di funzionamento del nostro cervello. Neìla nostra macchina non "gira" solo un flusso di simboli, ma un flusso di coppie "simbolo-valore", accompagnate da una collezione di segnali di orientamento cor­rettivo (segnali di ricompensa e di errore), generati da un complesso sistema neurofi­siologico di "apprendimento per rinforzo"  orientato verso uno scopo. In parole pove­re: il cervello cerca di ottenere degli obietti­vi per tentativi ed errori nel modo più "eco­nomico" possibile. Minimo sforzo, massi­mo rendimento!

L'intero libro di Montagne ruota attorno all'indagine del legame fondamentale tra la vita (in tutte le sue forme) e i meccanismi di valutazione. Sono le valutazioni (e gli scopi a esse connessi) che fanno rientrare il signi­ficato nelle computazioni biologiche. Men­tre però le valutazioni degli esseri biologica­mente più semplici (come l'Escherichia o lo squalo) sono guidate da scopi primari lega­ti alla sopravvivenza (cibo e sesso), Mointague mostra in modo convincente come il nostro cervello si è evoluto in modo tale da poter conferire anche ai nostri pensieri più astratti un potere direttivo sulle nostre azio­ni. Questo "super potere" che consiste nella capacità delle idee di ottenere il valore di ricompense primarie - al pari del sesso, del cibo e degli altri meccanismi che regolano la sopravvivenza biologica - spiega perché i costrutti sociali possono avere un vero e proprio "impatto neurale" e perché gli esse­ri umani - diversamente dagli animali e dal­le macchine - sono disposti a morire non solo per la sopravvivenza, ma anche per idee come l'uguaglianza sociale, la giusti­zia, o la religione.

La spiegazione "fisica" di come le idee ot­tengano questo tipo di "forza" è indubbia­mente la parte più interessante e originale del libro. Il modello non è ancora in grado di prescrivere un principio che spieghi le preferenze di un'idea a un'altra, non ci dice ancora nulla a proposito di come le idee rie­scono a guadagnarsi lo status di ricompen­sa primaria (non spiega, per esempio, per­ché lo scopo di raggiungere "un livello su­periore" sia potuto diventare una "over­dose da idea" così forte da vincere l'istinto di sopravvivenza nei seguaci di Heaven's Gate). Si tratta di una ipotesi scientifica che ci propone un filone di ricerche che sembra assai promettente per vari campi del sapere, non delle certezze assolute che si impadroniscono con tanta facilità di un certo tipo di cervelli. Ma per quanto, come riconosce lo stesso Montagne, i modelli computazionali del funzionamento della mente siano ancora alle prime armi, essi possiedono i tipici vantaggi dei modelli ma­tematici rispetto alle usuaji descrizioni "a parole": rendono facilmente osservabili, quantificandole, le relazioni tra attività neurale e comportamento e forniscono un nuovo approccio per analizzare il modo in cui i sistemi di valutazione "si guastano" e i tipi di disfunzioni che ne derivano.

Read Montague, «Perché l'hai fatto? Come prendiamo le nostre decisioni», Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 344, € 26,00.