Bequadro, 1995
Una riflessione sulla riforma degli studi musicali, e quindi non solamente dei conservatori, può partire da tre ordini oggettivi di problemi: quello primario dei diritti degli studenti a conseguire un diploma di laurea competitivo ed equipollente a livello europeo, nonché a poter scegliere tra esiti formativi diversi; quello dei diritti dei docenti a lavorare in una struttura migliore che consenta di valorizzare le loro potenzialità; quello di una società che sta acuendo la sua disattenzione nei confronti della cultura in generale e della musica in particolare, fornendo così alibi a chi discetta sul rapporto tra investimenti e prodotti, chiudendo cori e orchestre, in una fase politica nella quale le parole istruzione e cultura sembrano non aver peso in nessun programma politico. In Italia va dunque attivato uno sforzo immane di operatori, legiferatori, coscienze civili e quant'altro, che consenta a una scuola pubblica ben fornita di insegnanti specializzati, di creare, prima che strumentisti e cantanti, buoni ascoltatori, e di attivare le funzioni sociali e socializzanti della musica; una scuola che per rinnovarsi, non potendo attendere le epocali e irrealizzate riforme italiane, ha bisogno di interventi immediati, come nello spirito del Testo Unificato in oggetto, che svanisce ora però all'orizzonte a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere.
Almeno cinque sono poi gli aspetti importanti che impongono una seria riflessione e una rapida soluzione: 1) l'attribuzione di autonomia; 2) la creazione del Consiglio Nazionale delle Arti; 3) la diffusione della formazione musicale in ogni grado scolare; 4) la gestione transitoria della didattica e delle strutture esistenti; 5) i docenti e i rapporti con l'università.
1) <<Gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado nonché le istituzioni di alta cultura di cui all'articolo 33 della Costituzione [Università e Accademie, comma 6] ed in particolare le Accademie di belle arti, le Accademie nazionali di arte drammatica e di danza e i Conservatori di musica hanno personalità giuridica e sono dotati di autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di ricerca e di sviluppo [...]>> (art. 4, c. 1, della Legge n. 339 del 1993). Riporto questo stralcio non per celebrare l'alta cultura, fonte di tante polemiche, quanto per sottolineare la giusta attenzione politica alla realizzazione dell'autonomia, ritenuta urgente anche dall'ultimo Ministro P. I. Lombardi, che ne aveva inoltre previsti gli aspetti amministrativo, statutario, scientifico e di produzione artistica. Anche l'art. 3 del T. U. prevede che <<L'ISdA [Istituto Superiore delle Arti], in conformità all'ordinamento autonomo dell'università e degli istituti di ricerca [...] promuove l'esercizio delle arti, della musica e della comunicazione visiva e presiede alla formazione necessaria per l'attività, le professioni artistiche e l'insegnamento>>, punto quest'ultimo, della formazione dell'inse-gnante, particolarmente delicato laddove si consideri la necessità della reale competenza musicale del futuro docente, a tutt'oggi offerta solamente nei conservatori.
2) Questo primo rinvio per sottolineare la portata positiva del T. U., travagliato prodotto di due anni (preceduti da tre decenni) di lavori parlamentari. Altro segnale fausto, la confluenza negli Istituti Superiori delle Arti di Accademie, Centro di Cinematografia e Conservatori, a sfiorare una grande idea di politecnico delle arti con forti potenzialità creative e di apertura alla realtà anche produttiva ed economica dello spettacolo. Il tutto collocato all'interno del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (magari aggiungendo opportunamente 'Artistica'), al fine di poter usufruire delle opportunità offerte dal suo ordinamento, impossibili all'interno del Ministero P. I.; il tutto governato da un Consiglio Nazionale delle Arti (CNdA, art. 2), in grado di controllare da subito le fasi della riforma con funzioni analoghe a quelle del Consiglio Universitario Nazionale (CUN) ma da esso opportunamente distinto, in quanto per la consistenza numerica delle loro rappresentanze gli insegnanti degli ISdA, in caso di confluenza nel CUN, avrebbero lo stesso effetto di una goccia nel mare (più o meno l'effetto degli attuali circa 100 universitari di discipline musicologiche nei confronti dei loro 50.000 colleghi: percentuale dello 0,002).
Difficile, tornando alla riforma, avere qui un quadro realistico del prodotto del lavoro parlamentare; a questo numero di Bequadro manca infatti, e non poteva trovarvi spazio, la parte viva dei 420 emendamenti predisposti per la discussione in Commissione Cultura; e non spaventi il numero, consueto nelle schermaglie parlamentari, frutto della moltiplicazione di emendamenti compatibili quando non doppi: tanto è vero che in poche ore, nel dicembre scorso, la Commissione aveva già varato l'art. 1 e parte del 2, segno palese dell'accordo dei gruppi politici. Al proposito non possono tacersi le perplessità di chi scrive, nei confronti di coloro i quali, levatisi a difesa dello status quo attuale, non si sono sforzati di proporre ai parlamentari correttivi specifici, ma hanno solo avanzato obiezioni sommarie o incon-cludenti, a volte in odor di ostruzionismo, quando non di inte-ressi personali, finanche economici nel caso di taluni gestori di scuole private.
3) Ma torniamo a un punto ben più importante, centrale nella sfida di cui si parlava all'inizio, quello della necessità di diffusione sul territorio del maggior numero di occasioni formative. In Italia è fortissimo il bisogno di cultura musicale vocale e strumentale: nelle elementari lo Stato pretende infatti di <<educare al suono e alla musica>> fornendo competenze in corsi di 200 ore a inesperte seppur volenterose maestre; nella media inferiore la disciplina è sottovalutata; nella media superiore la riforma che prevedeva qualche ora di musica non è ancora approdata; i diplomati in didattica musicale, soggetti specializzati nell'azione educativa, stentano a trovare adeguati spazi di intervento.
Questo per quanto riguarda la scuola non professionale. Sul versante della sperimentazione (tipologia votata in Italia all'eternità), è poi giunta l'ora di far uscire dal loro isolamento le scuole medie a indirizzo musicale (moltiplicandole e inserendole in un quadro organico di riforma, migliorandone il reclutamento, stabilendo standard di accesso e finali) nonché sfruttare i portati, positivi e negativi, delle esperienze dei licei musicali sperimentali che hanno sofferto e soffrono per le disordinate utilizzazioni di docenti nelle materie non musicali e per le rigidità dei percorsi; i rapporti tra gli studi culturali generali e lo studio dello strumento non possono essere infatti troppo vincolati a scansioni temporali, senza contare che il futuro innalzamento dell'obbligo a 16 anni introdurrà un nuovo snodo del percorso di studio; è inoltre indispensabile evitare il pesante ricorso alla doppia scolarità. Un rapporto flessibile sarebbe invece possibile laddove, come previsto dall'art. 5 c. 9 del T.U., ci fosse un coordinamento funzionale delle diverse fasi di studio, affidabile anche alla supervisione dei conservatori. E comunque il problema non si limita alle medie inferiori e superiori, ma riguarda anche i gradi precedenti, poichè per garantire la migliore formazione dello strumentista in vista dei confronti internazionali, almeno per il violino, il violoncello e il pianoforte lo studio deve iniziare dalle elementari; anche per questo, già nell'art. 1 del T. U. era stata approvata una variazione che, oltre a estendere la riforma agli istituti musicali, introduceva, tra i soggetti della stessa riforma <<gli studi musicali nelle scuole>>, sempre tenendo presente che questi ultimi vanno <<intesi sia come propedeutici alle future professioni musicali sia come strumento di educazione generale dell'individuo e debbono iniziare sin dai primi gradi scolari>>, come già indicato nel documento di Riordino degli studi musicali. Principi essenziali e proposte per la riforma, elaborato nel '95 dal comitato del conservatorio di Roma.
4) Un percorso formativo di tale ampiezza è ovviamente ingestibile dai soli conservatori, ed è d'altronde convinzione consolidata di anni di dibattito e di progetti di legge una tripartizione degli studi musicali (medie, licei, istituti superiori), alla quale si è ora aggiunto l'interesse per la scuola primaria. Lascia dunque perplessi l'impegno di chi si affanna ancora a concepire un conservatorio unico, che segua l'allievo dalla culla alla professione; ciò non solo è improduttivo dal punto di vista didattico (prova ne è il fatto che per l'allievo è tanto proficua la pluralità delle esperienze formative da fargli frequentare ogni sorta di corsi e corsucoli), ma è anche perdente dal punto di vista della diffusione della formazione musicale, che deve prevedere una struttura a piramide: certamente una disseminazione di corsi in scuole primarie, scuole medie a ind. mus. (una per distretto secondo l'art. 9 del T. U.), conservatori di base (licei musicali nella prima stesura del T. U., uno per provincia), consentirebbe a chiunque, e non solo a chi abita nell'attuale piccolo bacino di utenza del conservatorio, di formarsi professionalmente oltrechè a livello amatoriale, fornirebbe sbocchi lavorativi ai nostri migliori diplomati a garanzia dell'alto livello necessario anche nei primi gradi dello studio strumentale, rappresenterebbe la cura ricostituente della quale la nostra debilitata cultura musicale ha bisogno, e colpirebbe anche, risultato da non sottovalutare, il malcostume del privatismo, consentendo quel pieno diritto allo studio che va garantito dalla scuola pubblica attraverso un servizio equilibrato sul territorio.
Se l'obiezione, com'è prevedibile, riguarderà
gli alti costi dell'operazione, nulla impedisce che
in una fase transitoria, considerando anche le scuole
di musica comunali si organizzino centri distrettuali
o interdistrettuali di formazione musicale di base
per fornire i relativi servizi a elementari e medie,
e d'altronde se ogni conservatorio fosse dotato di
autonomia e potesse decidere nel proprio statuto il
livello dei titoli di studio rilasciabili, potrebbe
anche, se lo volesse, organizzare per esempio il percorso
liceale degli studi musicali al suo interno o mediante
convenzione con licei esterni.
Confluiti dunque i conservatori, assieme alle accademie,
negli ISdA afferenti al Ministero dell'Università
(art. 3 del T. U.), è ovviamente necessario
un piano pluriennale di sviluppo e raziona-lizzazione
delle risorse e delle strutture esistenti (art. 4 del
T. U., cfr. anche Legge 7.8.90 n. 245 dell'Università),
che anche me- diante soppressioni e accorpamenti dovrà
portare alla presenza in linea di massima di un ISdA
per regione completo di tutti gli indirizzi (art. 4,
c. 3 del T. U.), con salvaguardia della funzione pubblica
di biblioteche e musei; la disordinata e clientelare
distribuzione territoriale dei conservatori (al nord
come al sud) verrebbe così riequilibrata a favore
di un numero ristretto di istituti.
5) Altro punto nodale della riforma, dulcis in fundo o, se si preferisce, in cauda venenum, il destino dell'attuale corpo docente, problema in grado di bloccare qualsiasi legge, anche la migliore, e di impedire serene valutazioni sui ben più importanti nuovi assetti didattici cui precedentemente si accennava. I politici ben lo sanno e hanno infatti lasciato alla sfilata degli emendamenti la precisazione degli aspetti lasciati aperti dal T. U. Il problema seppur contingente, limitato nel tempo e quindi risolvibile nella fase transitoria, va posto e risolto con soluzioni chiare. Anzitutto sono impensabili arretramenti alla fascia liceale, poichè, oltre all'improponibilità giuridica di tale formula, i docenti non hanno affrontato, tanto per fare un esempio, anni di scomodo pendolarismo per approdare a uno status che potevano ottenere nel liceo o nella scuola media del proprio quartiere (in anni in cui era ancora possibile). E' dunque necessario un unico nuovo e specifico ruolo, finanche con funzioni a esaurimento (previsti negli emendamenti 7.48 e 7.49 dal Relatore), con una propria area autonoma di contrattazione, che preveda verifiche di produttività e che consenta al personale di ruolo di proseguire l'attuale docenza nei conservatori riformati, anche mediante passaggi di cattedra e/o titolarità, oppure di optare, a parità di status, per il servizio presso una delle fasce inferiori. Il T.U. (art. 7, c. 6) al proposito prevede giudizi di idoneità, e negli emendamenti sopra citati il Relatore introduce una <<verifica triennale secondo le procedure dell'Università da parte di un comitato didattico scientifico a carattere elettivo presente nelle singole articolazioni dell'ISdA>>.
In ogni caso, e qui sta uno dei limiti maggiori del T. U., sanabili ovviamente in fase emendativa, è importante che qualsiasi procedura nei confronti del personale sia gestita con assoluta chiarezza, prevedendo esplicitamente i meccanismi e non rinviandoli a una seconda fase normativa, che richiederebbe un salto nel buio. Improponibile la prefigurazione, per esempio, di un concorso gestito da personaggi di chiara fama, nominati discrezionalmente dal Ministro, o dagli attuali docenti universitari, non in possesso delle competenze necessarie a valutare esecutori o compositori, nonché passati in ruolo con procedure concorsuali per titoli analoghe a quelle dei conservatori (ribadite anche dalle recenti proposte di innovazione in materia, cfr. disegno di legge Salvini), quando non tramite ope legis. I giudizi di idoneità, o qualsiasi altro meccanismo che tenga però più conto della produzione artistica e scientifica e dei meriti didattici che non di anzianità generiche o della quantità della prole, dovranno essere gestiti in questa prima fase dall'interno, anche attraverso la nomina di commissioni votate dagli stessi docenti di conservatorio, che avrebbero quantomeno la stima della maggioranza del corpo docente, evitando così il prevalere di scuole di pensiero legate alla cordata ministeriale o politica del momento, e tralasciando di attivare polemiche nei confronti di quella parte universitaria che sconsiglia la procedura idoneativa, di cui pure in passato si è giovata.
Al di là delle diatribe sulle procedure concorsuali, ben più gratificanti e ampi spazi si apriranno alla collaborazione con l'università, una volta entrata a regime la riforma: flessibilità degli ordinamenti, convenzioni e scambi, convalide reciproche di esami, mobilità dei docenti e degli studenti, costruzione di percorsi integrati e quant'altro, nell'ottica di una proficua interazione che eviti la creazione di inutili doppioni e concorra serenamente a una rifondazione della cultura musicale nella nostra scuola e nel nostro Paese.
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