Quando questo intervento verrà letto, sarà
passato ormai quasi un anno dal 5 novembre 1997, giorno
nel quale la Commissione Cultura della Camera approvò
il testo di riforma in sede legislativa in rappresentanza
dell'intera aula. Il fatto che potrebbe ancora non
essere stato licenziato dalla corrispondente Commissione
del Senato fornirebbe utili spunti di riflessione sui
tempi del Parlamento o sulla mancanza di coordinamento
tra i due rami dello stesso, mancanza che se da una
parte è prova certa di autonomia e dibattito
democratico, dall'altra rischia di vanificare sforzi
pluriennali. Se invece il Senato avesse compiuto i
propri lavori, potrebbe sussistere la speranza di approdare
a un qualche risultato prima della fine della ennesima
legislatura.
Dopo la premessa temporale, quella di merito: il disegno
di legge Sbarbati non è, per ammissione dei
suoi stessi estensori, la migliore legge che si possa
immaginare per le accademie e i conservatori, ma fermarne
il percorso significherebbe rinviare sine die la riforma,
essendo questo testo quanto di meglio abbiano saputo
produrre un dibattito pluridecennale, un percorso parlamentare
pluriennale, oltre quattrocento emendamenti discussi
dalla Commissione Cultura della Camera nello scorso
anno, oltre 100 audizioni parlamentari (dai soggetti
più qualificati e rappresentativi a quelli più
autoreferenziali), un confronto approfondito nei luoghi
interessati (si pensi agli innumerevoli convegni,
all'attività dei Comitati per la riforma dei
conservatori e alla mole di documenti prodotti).
A fronte di tale attività, soprattutto negli
ultimi tempi, si deve constatare con rammarico un'attenzione
della stampa spesso più legata all'esternazione
da titolo a cinque colonne che a una riflessione approfondita,
tanto più necessaria nel momento in cui un testo
di legge potrebbe essere migliorato con interventi
critici costruttivi, anziché attaccato con bordate
sterili e distruttive quali quelle di taluni musicisti
che, essendosi disinteressati in passato della situazione
dei conservatori, non hanno alcun interesse ad assicurare
alle nostre istituzioni la possibilità di rinnovarsi,
migliorare e affiancarsi alle scuole europee di alta
formazione, produzione e ricerca.
La stragrande maggioranza degli operatori è favorevole
a una riforma di queste istituzioni, che consenta
loro di liberare le migliori energie, così come
è assolutamente contraria all'ipotesi di distinguere
la normativa relativa alle accademie da quella dei
conservatori, essendo uno dei principi ispiratori della
riforma proprio quello di dar vita con l'istituzione
degli Istituti Superiori della Arti (ISdA) a un Politecnico
che abbia possibilità di proficua interazione
didattica e produttiva nei settori delle arti; già
si ritiene sia stato un errore espungere dalla riforma
il Centro nazionale di cinematografia, viste le possibile
interazioni, per esempio, nella produzione di scenografie
e colonne sonore.
Possibilità di migliorare, si accennava poc'anzi,
ed è probabilmente questo il nocciolo della
riforma: i conservatori di alta cultura ai quali pensiamo
nel momento del dibattito sono proprio quelli che vorremmo
costruire con gli strumenti forniti dal disegno di
legge, ma senza questi strumenti le istituzioni non
solo non potranno migliorare, ma saranno destinate
a rapida agonia: l'assenza della autonomia completa
in un mercato della cultura dominato ormai da investimenti
e bilanci, o l'impossibilità di rilasciare agli
allievi titoli finali validi a livello europeo, sono
solo due dei problemi letali.
Altri ve ne sono, e per affrontarli da un punto di vista
tecnico, sarà opportuno ordinare la materia
nei seguenti punti: 1) autonomia, 2) Consiglio Nazionale
delle Arti (CNdA), 3) articolazione delle fasi scolari
e riforma dei cicli, 4) altre proposte di legge (Berlinguer
e Veltroni), 5) equipollenza dei diplomi, 6) docenti,
7) collaborazioni con le Università.
1) Autonomia. L'art. 2 c. 3 della Sbarbati affida all'ISdA
"autonomia statutaria, amministrativa, didattica,
scientifica, finanziaria e contabile", essi sono
inoltre "sede primaria della ricerca e della produzione
artistica". Nel frattempo, dell'autonomia delle
istituzioni scolastiche si è occupata anche
la Legge n. 59 del 15.3.97 Delega al Governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione
e per la semplificazione amministrativa, meglio conosciuta
come Legge 'Bassanini 1; dell'istruzione si parla all'articolo
21, dedicato all'autonomia didattica e organizzativa
delle istituzioni scolastiche, alla possibilità
di superamento dell'unità oraria della lezione
e dell'unitarietà della classe, all'ampliamento
dell'offerta formativa. Dell'istruzione artistica si
tratta solo al comma 11, che prevede la concessione,
attraverso regolamenti, della personalità giuridica
e dell'autonomia alle accademie e ai conservatori,
il tutto seguendo i principi generali sopra esposti
per gli altri ordini di scuole.
Di questo provvedimento legislativo, da alcuni salutato
come risolutivo anche per i destini dell'istruzione
artistica, andranno certo valutati i possibili risvolti
positivi. Non può però non sollevare
perplessità il fatto che tale concessione di
autonomie all'istruzione artistica - che già
ne possedeva parte - sia relegata in un minuscolo paragrafetto
e innestata nel contesto generale della scuola anziché
collegata alle potenzialità della normativa
universitaria, tipiche dei gradi di istruzione superiori.
Il solo provvedimento sull'autonomia non sembra insomma
sufficiente a gettare le basi per un profondo rinnovamento
degli studi musicali nel loro complesso, soprattutto
in assenza di un quadro globale quale solo una riforma
organica può dare. Di fatto, la 'Bassanini 1'
non garantisce all'istruzione artistica quelle autonomie
(statutaria, amministrativa, scientifica, di produzione
artistica e di specializzazione all'insegnamento) ritenute
indispensabili dagli operatori del settore, e non consentirà
neppure di rilasciare titoli di studio finali di livello
europeo, rischiando di bloccare ancora una volta conservatori
e accademie nel loro limbo.
2) Il Consiglio Nazionale delle Arti (CNdA). La necessità
di un Consiglio Nazionale delle Arti è stata
ampiamente dibattuta e condivisa sia da tutti i docenti,
sia da tutti i gruppi parlamentari; pur tuttavia aspre
sono state le critiche mosse dai colleghi universitari
all'autonomia di questo organismo, che essi avrebbero
volentieri visto confluire nel CUN (Consiglio Universitario
Nazionale). La risposta da parte dei conservatori è
stata però sempre molto chiara: essendo scarsa
la rappresentanza delle discipline umanistiche all'interno
del CUN e addirittura inesistente quella delle discipline
artistico musicali, il CNdA rappresenterebbe una possibile
area privilegiata di discussione di temi artistici
all'interno del Ministero dell'Università, sia
per i docenti delle accademie e dei conservatori, sia
per i loro colleghi universitari di musica cinema e
teatro, che dovrebbero quindi salutare con soddisfazione
l'istituzione di un Consiglio Nazionale delle Arti.
A ciò si aggiunga che, dovendo il CNdA occuparsi
dell'intera riorganizzazione anche territoriale delle
istituzioni e dei loro percorsi di studio (materia
che, nelle sue articolazioni, non può certo
essere affrontata dal Parlamento), è necessario
che esso sia un organismo agile e soprattutto composto
da rappresentanti competenti del settore. Al proposito
va rilevato come l'inserimento, operato nell'ultima
seduta alla Camera, di emendamenti relativi a vincoli
del CUN nei confronti del CNdA nei campi di competenza
artistica degli ISdA rischia ora di vanificare l'attuabilità
dell'intera riforma. Delle due l'una, o ci sono rappresentanze
del CUN nel CNdA, come è previsto dalla Sbarbati,
oppure c'è la consultazione tra i due organismi,
ambedue le condizioni o peggio la presenza di pareri
vincolanti genererebbero una sorta di dipendenza. Se
inoltre dovesse risultare invasiva la presenza del
CUN nel CNdA, i docenti di conservatori e accademie
sarebbero logicamente portati a richiedere proprie
rappresentanze nel CUN, con analoghe funzioni.
3) Articolazione delle fasi scolari e riforma dei cicli.
Il maggior problema dell'intera dibattito sulla riforma,
a opinione di chi scrive, è sempre stato quello
di garantire una presenza della musica, adeguatamente
articolata, in tutti i gradi scolari. Questa necessità,
ravvisata sin dalla scuola primaria, era stata infatti
evidenziata sia nei documenti del Coordinamento Nazionale
dei Comitati per la Riforma (organismo che rappresenta
i Comitati presenti nei Conservatori), sia nel più
ampio documento dal titolo Riordino degli studi musicali.
Principi essenziali e proposte per la riforma, elaborato
nel 1995 dal Comitato per la Riforma del Conservatorio
di Roma e approvato dal Collegio dei docenti.
Certamente una disseminazione di corsi in scuole primarie,
scuole medie a indirizzo musicale, licei musicali,
conservatori riformati in ISdA, consentirebbe a chiunque,
e non solo a chi abita nell'attuale piccolo bacino
di utenza del conservatorio, di formarsi correttamente.
Una scuola così riformata fornirebbe sbocchi
lavorativi ai migliori diplomati di strumento, a garanzia
dell'alto livello necessario anche nei primi gradi
dello studio musicale, rappresenterebbe la cura ricostituente
della quale la nostra debilitata cultura musicale ha
bisogno, e colpirebbe anche, risultato da non sottovalutare,
il malcostume del privatismo, consentendo quel pieno
diritto allo studio che va garantito dalla scuola pubblica
attraverso un servizio equilibrato sul territorio.
Sarebbe inoltre confermata la tendenza, più
che auspicata dalla maggioranza degli operatori, a
non far seguire allo strumentista un unico percorso
formativo dall'asilo alla laurea, bensì un percorso
più articolato, che metta l'allievo in grado
di confrontarsi con più metodi, più scuole,
più modi di pensare, fatti salvi i peculiari
ritmi dell'apprendimento strumentale.
Nell'ambito non professionalizzante poi, una scuola
di base ridisegnata con all'interno maggiori spazi
per la musica, potrebbe essere inoltre in grado anche
in Italia di creare ascoltatori attenti, attivando
anche le funzioni sociali e socializzanti della musica,
a patto però di utilizzare dei professionisti
dell'insegnamento, come per esempio i diplomati in
didattica della musica, che stentano invece a trovare
adeguati spazi d'intervento, insidiati continuamente
dall'italica propensione a utilizzare il soprannumerario
tuttologo per rispetto della spesa pubblica e dispregio
della formazione dell'allievo.
Tornando al percorso dei musicisti, la legge Sbarbati
prevede un Raccordo tra istruzione secondaria artistica
e ISdA (art. 9) che garantirebbe la necessaria duttilità
del percorso, soprattutto in un momento nel quale si
sta dibattendo anche della rimodulazione dei percorsi
universitari, oltre che del sistema dei crediti formativi.
Nel corso del dibattito parlamentare però, accantonata
dai legislatori l'ipotesi di intervenire nella scuola
primaria, si è passati da una stesura dell'articolo
10 che prevedeva una scuola media a indirizzo musicale
per ogni distretto e un liceo musicale in ogni provincia,
a un'ultima stesura che rinvia la soluzione al riordino
dei cicli scolastici.
4) Altre proposte di legge (Berlinguer e Veltroni).
Nel 1997, il Ministro Berlinguer ha presentato una
Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione,
che prevede tra l'altro che uno dei sei indirizzi del
ciclo secondario sia musicale. Questo progetto sembra
attualmente languire, fors'anche a causa del disaccordo
degli interessati o per la delicatezza degli equilibri
politici legati al dibattito sui finanziamenti alla
scuola privata, ipotesi quantomeno peregrina in un
paese che deve ancora risanare la sua scuola pubblica.
Ecco allora lo stesso Berlinguer, forse finalmente
sensibilizzato ai problemi della musica, presentare
in Consiglio dei Ministri uno Schema di disegno di
legge concernente "Interventi nel settore della
formazione nelle arti musicali, visive e coreutiche".
L'art. 1 riguarda l'attivazione di corsi e indirizzi
musicali e coreutici nella scuola secondaria, e assorbe
le iniziative sin qui condotte a carattere sperimentale
in medie e licei, prevedendo l'immissione in ruolo
dei docenti sinora operanti nei 465 corsi delle medie
a indirizzo musicale, e l'assunzione a tempo determinato
per la fascia liceale. Nella relazione tecnica allegata
allo schema, si precisa la volontà di istituire
"corsi di liceo musicale in ogni ambito provinciale",
ma nella tabella relativa alle spese per il personale
sembra prevedersi solo un insegnante per liceo, fino
a un massimo (anno finanziario 2003, a regime, passati
cinque anni dal 1998) di tre insegnanti per provincia,
il che vorrebbe dire però solo tre discipline
musicali offerte come possibilità di studio.
Sembra questa una contraddizione da sanare, ma resta
senz'altro la positività dell'articolo.
Maggiori perplessità sorgono alla lettura del
secondo articolo (il terzo e ultimo riguarda solo le
Norme di copertura) che prevede un finanziamento di
500 milioni annui al conservatorio di Pesaro per le
sue particolari situazioni di funzionamento (ma quale
conservatorio non ne ha?), nonché un finanziamento
annuale di 5 miliardi "per sostenere gli istituti
ed enti non statali che svolgono attività di
alta formazione, promozione, ricerca e sviluppo nel
settore delle arti visive e musicali".
Sembra questa una versione breve di quanto previsto
dalla Disciplina generale dell'attività musicale
promossa dall'On. Veltroni, laddove all'art. 22 si
stabilisce che "Con decreto dell'Autorità
di governo competente in materia di spettacolo ...
sono individuate e riconosciute ... istituzioni di
alta formazione musicale ed operistica", da finanziare
adeguatamente. Si tratterebbe qui prevedibilmente di
una resa incondizionata dello Stato a quei privati
che, anziché adoperarsi a migliorare la situazione
scolare italiana, hanno costruito, in alcuni casi con
merito, in altri con destrezza, una propria fortuna
sull'onda del successo personale; inaccettabile è
poi la discrezionalità della scelta, affidata
a una Commissione decisa dall'Autorità di governo,
non trattandosi di normali corsi, ma addirittura di
quelli di alta formazione.
E' peraltro un aspetto ricorrente della proposta Veltroni
quello di ignorare università e conservatori,
ambedue soggetti che sembrerebbero invece necessari
in una legge che riconosce la musica come bene culturale
Da una parte infatti esistono le facoltà di
Beni Culturali, con le quali sembrerebbe d'obbligo
l'interazione (nella sola università di Lecce
sono già attivati ben 18 insegnamenti specifici,
dalla teoria e storia del restauro dei beni musicali,
all'informatica applicata ai beni musicali, allo studio
delle fonti audiovisive, ecc.). Dall'altra vi sono
i conservatori, che per sale da concerto, competenze
dei docenti, potenzialità produttive degli allievi,
sono essi stessi beni culturali e organismi potenzialmente
produttivi (ma quest'ultima ipotesi sembra turbare
qualche sonno: se i conservatori divenissero infatti
soggetti della produzione, oltre che accedere ai finanziamenti
pubblici, probabilmente produrrebbero a maggior qualità
e a minor costo di tanti altri, e potrebbero raccordare
la propria produzione con quella di istituzioni concertistico-sinfoniche,
festival e teatri di tradizione).
Si pensi inoltre ai beni materiali, al patrimonio bibliografico,
sonoro e strumentale, per operare sui quali è
necessario un deciso potenziamento dei finanziamenti
per la ricerca, nonché la definizione di figure
professionali, che andrebbero per lo meno citate all'interno
della legge Veltroni per poi consolidarle nella nuova
legge sul Ministero per i beni e le attività
culturali: operatore dei beni musicali, bibliotecario
musicale, restauratore e conservatore di strumenti,
archivista audiovisivo, esperto del trattamento e restauro
del sonoro e del video, visto peraltro l'interesse
dimostrato all'art. 3 per la "formazione di un
archivio della musica in video" (ma poi perché
solo in video?, pericoloso indice di innamoramento
del presente e di rinuncia alla conservazione del passato,
per la quale dovrebbe invece essere decisamente potenziata
l'attività della Discoteca di Stato).
5) Equipollenza dei diplomi. Una levata di scudi da
parte di una minoranza degli studenti universitari
è stata tentata contro i loro meno fortunati
colleghi dei conservatori, a proposito della ventilata
equipollenza dei diplomi (art. 6 della Sbarbati). In
realtà gli istituti confluenti negli ISdA sarebbero
chiamati con la riforma, fatto salvo il requisito della
maturità, a rilasciare diplomi finali di laurea
così come già ora rilasciano diplomi
finali di accademia o di conservatorio.
Tali diplomi sono già equiparati ai diplomi di
laurea dai bandi per l'accesso ai concorsi per l'insegnamento
(D.M. 28.3.1997 relativo alle classi di concorso nella
secondaria), da più sentenze del Consiglio di
Stato, nonché dall'art. 17 c. 117 della Legge
'Bassanini 2' n. 127/97, che equipara i diplomi di
conservatori e accademie e le lauree universitarie
per l'accesso alle scuole di specializzazione.
Inoltre, sempre per quanto riguarda i titoli finali,
l'art. 5 c. 1 della legge Sbarbati prevede, per le
attività delle scuole di specializzazione, la
stipula di convenzioni con gli ISdA, gestite però
dalle università. Sarà qui necessario,
nella fase emendativa del dibattito, introdurre un
concetto paritetico di gestione della specializzazione
musicale, che non preveda un ruolo subordinato delle
istituzioni artistiche nella formazione degli insegnanti
di discipline artistiche, e che salvaguardi un diploma
specifico come quello di Didattica della musica, che
si ottiene al termine di un quadriennio di specializzazione
post diploma, dopo un percorso globale di studio musicale
della durata di ben 14 anni.
6) Docenti. Al grido di "non penseranno di diventare
tutti docenti universitari!", ogni sorta di contumelia
è stata rovesciata sui professori delle accademie
e dei conservatori. In realtà questo personale
docente sarebbe inquadrato dalla nuova legge "in
ruoli ad esaurimento" (art. 8 c. 3), rimarrebbe
bloccato per cinque anni nell'attuale situazione (c.
5), e solo al termine di questo periodo sarebbe possibile
per i docenti ridefinire il proprio ruolo, attraverso
auspicabili verifiche produttive. D'altra parte, nell'attaccare
ingenerosamente e indistintamente la categoria, gli
spiriti critici dimenticano spesso che i docenti attualmente
in ruolo nei conservatori, oltre ad aver formato generazioni
di ottimi concertisti, hanno superato regolari concorsi
nazionali per titoli (di studio, servizio e artistico-professionali,
all'interno dei quali vengono valutati anche quelli
scientifici, con procedura analoga ai concorsi per
professori ordinari), oppure concorsi per titoli ed
esami, ben più complessi delle procedure previste
per i professori associati, e comprendenti prove pratiche,
di analisi, traduzione, ecc. Inoltre molti degli stessi
colleghi universitari sono passati nei ranghi universitari
ope legis, dopo aver avuto un semplice incarico dalla
propria facoltà, come documenta il puntuale
studio di R. Meo e P. Varvaro che riferisce come l'80%
dei professori associati siano passati in ruolo nell'università
non per concorso ma con un giudizio di idoneità
("Belfagor", 1992, n. 47, p. 603).
7) Collaborazioni con le università. Al di là
delle diatribe sulle procedure concorsuali, scrivevo
già qualche anno fa, ben più gratificanti
e ampi spazi si apriranno alla collaborazione con l'università,
una volta entrata a regime la riforma: flessibilità
degli ordinamenti, convenzioni e scambi, convalide
reciproche di esami, mobilità dei docenti e
degli studenti, costruzione di percorsi integrati e
quant'altro, nell'ottica di una proficua interazione
che eviti la creazione di inutili doppioni e concorra
serenamente a una rifondazione della cultura musicale
nella nostra scuola e nel nostro Paese.
Al proposito sarà utile riportare a conclusione
beneaugurale di questa panoramica il documento siglato
il 2 marzo 1998 dalla Commissione di studio sulle
prospettive dell'istruzione musicale superiore, i cui
lavori sono stati volti a prefigurare ipotesi post
riforma, nella coscienza di quanto sempre più
approfondita debba essere la competenza richiesta ai
futuri operatori musicali e di quanto sempre più
ridotte saranno, in regime di autonomia, le energie
finanziarie concesse alla scuola italiana.
"A seguito del Convegno L'istruzione musicale superiore
fra Conservatorio e Università (Venezia, 25
novembre 1995) promosso dalla Fondazione Levi, per
iniziativa della stessa Fondazione si è costituita
nel luglio 1997 una Commissione di studio formata dalle
rappresentanze dell'Associazione fra Docenti Universitari
Italiani di Musica (proff. F. Della Seta e S. Durante),
del Coordinamento Nazionale dei Comitati per la Riforma
dei Conservatori di Musica (proff. P. Ghigo e R. Giuliani).
e del Comitato Nazionale per la Riforma degli Studi
Musicali (proff. M.L. Franco e A. Talmelli).
La Commissione, presa visione del Testo unificato delle
proposte di legge 688 e abb. (Riforma delle Accademie
di Belle Arti, dell'Accademia Nazionale di Danza, dell'Accademia
Nazionale di Arte Drammatica, degli Istituti Superiori
per le Industrie Artistiche, dei Conservatori di Musica
e degli Istituti Musicali Pareggiati approvato dalla
Camera dei Deputati il 5 novembre 1997, nelle riunioni
svolte il 3 luglio, il 27-28 ottobre 1997 e il 2 marzo
1998, ha iniziato un approfondito esame della situazione
attuale, nell'intento di produrre una documentazione
su alcune delle problematiche relative all'applicazione
della futura riforma.
Considerato che l'obiettivo principale degli attuali
studi musicali nelle università è di
tipo musicologico nella più ampia accezione
del termine; che l'obiettivo principale degli attuali
studi nei conservatori è di tipo esecutivo,
compositivo, didattico (con l'istituzione dal 1966
di corsi di Didattica della musica, oggi presenti in
43 sedi), e più recentemente musicologico nella
più ampia accezione del termine (con l'istituzione
dal 1983 di due corsi superiori di composizione a indirizzo
musicologico);
considerato che di recente (Legge 341/90, art. 4; DPR
470 e 471/96 e Legge 127/97 [Bassanini 2], art. 17
c. 117) è stato attribuito all'università
il compito di organizzare i diplomi di specializzazione
per la formazione dei docenti della scuola primaria
e secondaria, con la possibilità di "stipulare
apposite convenzioni" con gli istituti di istruzione
artistica e musicale e, "per quanto riguarda in
particolare l'educazione musicale, con le scuole di
didattica della musica";
si rende necessario impostare un lavoro comune al fine
di evitare eventuali conflitti di competenze, che vanno
invece tradotti in possibilità di collaborazione
e cooperazione, individuando convergenze e aree di
interazione e indicando alcune ipotesi alle quali ispirare
le fasi attuative della riforma.
La Commissione ha individuato come oggetto di successivo
approfondimento i seguenti punti: 1) le competenze
professionali richieste dalla configurazione dei sistemi
formativo e produttivo nei settori delle discipline
musicali; 2) le competenze comuni o distinte acquisibili
presso ISdA e Università; 3) i progetti formativi
integrati tra ISdA e Università, funzionali
ai profili professionali, e le loro modalità
attuative; 4) le modalità attuative degli eventuali
corsi in regime di convenzione; 5) le possibilità
di realizzare progetti, anche integrati, di ricerca
scientifica e artistica, e le loro modalità
attuative; 6) le iniziative scientifiche e organizzative
che possono concorrere alla promozione di curricula
integrati; 7) i crediti didattici utili all'accesso
ai diversi gradi dell'istruzione superiore presso ISdA
e Università; 8) le possibilità di reciproco
riconoscimento di crediti didattici tra ISdA e Università,
anche con riferimento all'ECTS (European Credit Transfer
System); 9) i titoli rilasciabili dalle istituzioni
singolarmente, congiuntamente o nelle varie forme di
interazione, con riguardo al contesto europeo; 10)
un quadro normativo di riferimento che regoli le procedure
di collaborazione.
La Commissione ritiene inoltre opportuno richiamare
l'attenzione sulle problematiche suscitate dalla recente
presentazione del disegno di legge governativo del
vicepresidente del Consiglio dei Ministri On. Veltroni
Disciplina generale dell'attività musicale.
In particolare si segnala l'esigenza di un maggiore
coinvolgimento delle università e dei conservatori
per quanto riguarda gli aspetti della formazione, conservazione,
ricerca, produzione e diffusione.
La Commissione, nel completare la stesura del presente
documento, ringrazia la Fondazione Levi e auspica che
la stessa voglia promuovere la prosecuzione della discussione
per l'approfondimento dei punti sopra individuati."
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