MARCO FERRARI

Contributo ad una discussione
sugli emendamenti al Testo Unificato di riforma
delle Accademie e dei Conservatori


L'esame dei 410 emendamenti al Testo Unificato porta ad individuare alcune ben precise tendenze, che possono incidere in maniera anche rilevante sull'assetto di futuri Istituti, oltre a qualche "ritocco" di portata marginale. Si precisa che chi scrive non è a conoscenza dell'appartenenza all'uno o all'altro schieramento politico dei firmatari degli emendamenti (tranne, ovviamente, per i nomi più conosciuti), e quindi le eventuali valutazioni espresse non dovrebbero essere influenzate da "simpatie" di parte.

Per semplicità, si possono raggruppare i vari emendamenti per "tema":

1) AREA DI COMPETENZA

Emergono chiaramente due tendenze: quella che vuole i futuri I.S.D.A. cadano sotto la competenza del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica, e quella che li vuole sotto la competenza del Ministero dei Beni Culturali (emendamenti n. 5, 6, 28, 81, 122, 131, 148, ecc.). Questa differenza porta con sé una serie di corollari: il primo caso porterebbe ad una assimilazione, in tutto quanto possibile, con gli ordinamenti universitari (perfino nel nome: "Istituto Universitario delle Arti", n.103,104 e 105): vedi i "piani triennali di sviluppo" (art.4 c.2), l'ordinamento didattico (art.5 c.2), il valore legale dei titoli (art.5 c.5), e, soprattutto, i modi di reclutamento del personale docente (em. n. 265, che riformula interamente l'art.7, ad opera dello stesso relatore Sbarbati); con conseguenze anche estreme: vedi l'em. n. 273 che, al di là del dichiarato carattere di "boutade", pone un problema serio: non si vede infatti come potrebbero insegnare in una struttura universitaria persone che non abbiano almeno lo stesso livello di formazione dei loro discenti.
L'appartenenza invece al Ministero dei Beni Culturali potrebbe invece essere la premessa per una maggiore indipendendenza dagli ordinamenti universitari in vigore, e una maggiore salvaguardia dell'atipicità dell'insegnamento musicale.

2) CONSIGLIO NAZIONALE DELLE ARTI

Questo nuovo organismo, le cui competenze per la verità appaiono poco concrete e, là dove potrebbero esserlo, solo consultive (art. 2 c. 1 ultimo capoverso), risente nella sua composizione delle due tendenze di cui sopra: una tendente a salvaguardare la specificità della materia (em. n.54 e 56, che parlano di esperti eletti dalle Istituzioni interessate), e una che lascia la designazione degli "esperti" al Ministero dell'Università (n.51) o a organismi Universitari come il CUN (n.49,50,53,55) oltre che, ovviamente, ai Ministeri competenti. In questa seconda versione la presenza della rappresentanza delle Istituzioni Artistiche sarebbe limitata alla componente elettiva, per sua natura più "politica" e meno "tecnica"; inoltre lascia alquanto perplessi il concetto di "chiara fama" (n. 50,52,53,55) che può essere utilizzato in maniera incontrollabile (vedi il recente caso della nomina del Direttore del Conservatorio di Napoli, la cui fama è senza dubbio "chiara", ma in un campo diverso da quello di cui dovrebbe occuparsi). Nel complesso prevale la tendenza a riequilibrare la composizione numerica a favore della componente elettiva (n. 55,del relatore, e 62/67).

Appare forte la tendenza ad attribuire al CNDA una competenza di indirizzo (ma quanto poi incisiva?) anche sulla "produzione" artistica (il che rappresenta una grossa novità; n. 40/46); da sottolineare l'em. N. 39 (l'unico a ricordarsi che un Consiglio preposto agli indirizzi di formazione professionale dovrebbe occuparsi anche di didattica!) e il n. 85 che ricorda la "necessità di definire nuovi profili professionali".

3) ORDINAMENTO DEGLI STUDI MUSICALI

Non pare sostanzialmente messa in discussione la frammentazione dell'istruzione musicale in più livelli: tre (em. n. 334,335 e 337), due (n.333) o addirittura quattro (336). La tanto temuta "secondarizzazione" è definitivamente sancita: formalmente (n. 337) o di fatto; tenta di nasconderla il n. 333, lasciando la competenza per i Conservatori Normali (sic) al Ministero per l'Università (cosa curiosa, trattandosi di scuole "con funzione orientativa, propedeutica agli studi successivi". Pare forte anche la tendenza a far scomparire, degli attuali Conservatori, perfino il nome (342/351, 377,380,381).

L'unica proposta nuova e seria pare venire dall'em. n. 335, che sposta finalmente la propedeutica dove deve situarsi (scuole elementari con area musicale opzionale, v. anche n. 385), e lascia ai Conservatori di base ampia facoltà di organizzarsi, facendo leva sul concetto di autonomia già espresso da leggi vigenti: verrebbero così salvaguardate le peculiarità delle varie situazioni, anzichè abolire "tout court", ignorando la realtà delle cose, scuole medie annesse e sperimentazioni quinquennali.

4) RECLUTAMENT0 INSEGNANTI

Appare chiara la tendenza "garantista" a mantenere in servizio gli attuali docenti di Conservatorio: in ogni caso (n. 281/284), o almeno nella fase di prima applicazione della legge (n. 264, 265) e previo giudizio di idoneità (n. 264, 302) o verifica periodica (265, 304, 318). Non è chiaro chi e in base a che cosa dovrà dare questo giudizio di idoneità; una sola proposta viene dal n. 317, che dà una precisa indicazione in merito (discutibile nel criterio di attribuzione del punteggio, e inaccet abile nella modalità di formazione della Commissione, che non dà alcuna garanzia di competenza).

Le forme di reclutamento future sono demandate a future decisioni (264); anche qui si contendono il campo le due tendenze, a conformarsi ai criteri universitari (n. 265,300,302,303,318) o a respingerli (n. da 266 a 272). Da notare i nn. 280 (che tenta di tutelare anche gli attuali supplenti) e 297 (tutela delle situazioni in sospeso di aventi diritto non ancora nominati).

Infine, un emendamento (371) si ricorda dell'esistenza dei docenti di strumento nelle scuole Medie ad indirizzo musicale e ne propone la immissione in ruolo; non tiene però conto della realtà, richiedendo un "titolo di studio di scuola media superiore" che non era necessariamente presente nel curriculum degli attuali insegnanti (quest'ultima considerazione vale anche per il n. 309 e il già citato 273: pone però un problema col quale bisognerà pure fare i conti: non è infatti pensabile che una scuola rilasci un titolo di studio il cui valore legale è superiore a quello del titolo posseduto da chi in quella scuola è chiamato ad insegnare).