Quanti sono gli studenti di conservatorio che concludono
gli studi con un diploma? Quanti sono quelli che superano
almeno l'esame del corso inferiore? (1)
Possiamo ricostruire
un quadro orientativo partendo dai dati offerti da
una meritoria pubblicazione del CIDIM, il Comitato
Italiano per la Musica. La somma degli iscritti, nei
nove anni fra il 1975 e il 1983, dà 179.031.
Iscritti al primo anno? 50.000?
Vediamoli quattro/cinque anni dopo, al momento in cui
dovrebbero conseguire la licenza inferiore. Nei nove
anni fra il 1979 e il 1988 (per il 1987 non si hanno
dati) gli studenti interni che hanno ottenuto questa
licenza ammontano a 24.411. Il rapporto fra le due
cifre è di circa 1/2. Vuol dire che su cento
studenti che iniziano gli studi in conservatorio, una
percentuale orientativamente intorno al 50% consegue
la licenza inferiore. L'altro 50% se ne va via prima.
Adesso osserviamo il numero dei diplomati. Nello stesso
periodo 1979-1988, sono 14.223 (il numero riguarda
i diplomi interni; i diplomati esterni, quelli cioè
che non risultavano fra gli iscritti, e che quindi
non vanno considerati, sono 11.547). Anche se il numero
andrà un poco incrementato, risulta che a conseguire
il diploma è circa il 58,26 per cento di chi
ha superato l'esame inferiore. L'ultimo dato si ricava
dunque rapidamente: su cento studenti che iniziano
gli studi in conservatorio, sono poco più di
un quarto quelli che li concludono. Tre quarti li interrompono.
L'unica ricerca che si conosca al riguardo è
stata pubblicata diversi anni fa (sulla rivista Musica
Domani dell'aprile 1981, a firma di Carlo Besuschio).
La risposta che ci offre è a dir poco drammatica:
su 100 allievi che s'iscrivono in conservatorio, solo
33 passano ai corsi avanzati; 67 se ne vanno via prima
(o sono bocciati). Altri 27 sono bocciati o se ne vanno
prima del diploma. Il risultato sembra sconvolgente:
solo il 5 per cento degli studenti che s'iscrivono
in conservatorio arriva a concludere gli studi con
un diploma entro i tempi fissati.
La statistica è un'arte dagli ingranaggi molto
delicati, e l'insegnante che confronta quei dati con
la propria esperienza quotidiana ha di che nutrire
qualche perplessità. I dati pubblicati nel Rapporto
Cidim sullo stato della musica in Italia nel 1993,
a cura di Marcello Ruggieri, sembrano orientare su
risultati più incoraggianti: su cento iscritti
fra il 1975 e il 1985 supererebbero il primo traguardo
all'incirca la metà. E di questi cinquanta,
ancora una metà arriverebbe al diploma.
Quale che sia la verità fra quei due poli, resta
il fatto che, come si dice nel gergo pedagogico, nei
nostri conservatori è molto alta la mortalità
scolastica. "Il nostro sistema scolastico è
uno dei più selettivi del mondo", c'informano
gli esperti. (2) E dentro il sistema, il conservatorio sembra
tenere il poco invidiabile primato.
Dotati e non dotati
In precedenti occasioni (vedi Amadeus n. 76, 78, 83)
si è parlato degli studenti che si diplomano,
di ciò che sono stati preparati a fare e di
come usano nella vita il loro diploma. Forse è
ancora più interessante osservare gli studenti
che non si diplomano. Capire cosa si nasconde dietro
la gran massa di abbandoni può fornire elementi
preziosi al legislatore che in questi nostri giorni
sta progettando una riforma dei conservatori.
C'è una prima, ricorrente risposta, che nella
sua forma più sbrigativa suona come possiamo
raccoglierla da un immaginario maestro Taldeitali:
"non hanno talento, non sono dotati". Il
maestro racconta episodi un po' particolari, anche
se tutt'altro che infrequenti: tanti bambini entrano
nella scuola media del conservatorio perché
è la più vicina a casa, o perché
ci va l'amica, o perché i genitori credono buona
cosa che il loro rampollo studi uno strumento musicale:
insomma per una ragione che non è l'interesse
diretto del bambino. Togliamo questa frangia da quel
50-67 per cento che abbandona nei primi anni (anche
se la domanda resta: come mai la scuola non ha saputo
risvegliare l'interesse?). Ma gli altri, la maggioranza
che ha scelto o abbracciato di buon grado l'idea di
imparare uno strumento, perché non continuano?
Il nostro immaginario interlocutore incalza: "I
candidati sono sottoposti a un esame attitudinale il
giorno dell'ammissione: che è un esame severo.
Noi ne respingiamo una notevole quantità. Ma
il talento, la dote, non si afferma subito, ed è
quindi difficile verificare il giorno dell'ammissione
se il candidato la possiede o no. Siamo dunque costretti
a tenerlo a lungo a scuola prima di renderci conto
se è dotato. A lungo quanto? Anche anni, tre,
quattro..." Un po' in ritardo il nostro buon maestro
si accorge che qualcosa non quadra nella spiegazione:
che sia difficile verificare una dote speciale in un
bambino è fuori discussione; ma che si possa
sbagliare la diagnosi nel 75-95 per cento dei casi,
per di più dopo il "severo esame"
del primo giorno: non sarà eccessivo?
E poi: il maestro continua a parlare di "elementi
dotati": ma dotati per cosa? Per esibirsi come
solisti in concerto? come componenti di un'orchestra
sinfonica? E tutto il resto? Potremo forse diagnosticare
che un bambino di 11 anni non sia dotato per diventare
compositore o tecnico del suono, critico musicale o
insegnante, programmatore musicale o responsabile editoriale?
Quanti potenziali eccellenti professionisti della musica
avrà respinto il conservatorio con l'esame di
ammissione? Quanti di quella forte maggioranza di caduti
avrebbero potuto contribuire come talenti alla vita
musicale del paese in forme diverse da quelle del concertismo?
Impegno e motivazione
Questa seconda perplessità non tocca il maestro
Taldeitali, che è un serio continuatore della
nostra migliore tradizione didattica: il suo obiettivo
è formare lo strumentista, ai massimi livelli
tecnici raggiungibili. Che uno studente possa intraprendere
studi musicali con aperture d'altro genere non lo riguarda.
Preferisce dunque tornare sulla risposta precedente,
offrendocene una versione corretta: "Molti sono
sì dotati, ma non s'impegnano abbastanza, non
hanno voglia di studiare..."
Dobbiamo lasciare il nostro interlocuore con la sua
personale interpretazione dei fatti. Perché
meno ancora vorrà seguirci nelle riflessioni
successive, che ogni pedagogista conosce e ha descritto
minuziosamente: la capacità d'impegno dello
studente è in rapporto diretto con la sua motivazione
a studiare; e la motivazione è a sua volta in
rapporto diretto con la carica motivante di cui è
capace il suo maestro.
Il maestro Taldeitali ha tenuto anche quattro anni il
ragazzo nella sua classe, prima di dirgli che non è
dotato, e di consigliargli di non pensare più
alla musica (qualche suo collega non è altrettanto
serio: in conservatorio le iscrizioni cominciano a
diminuire; ed egli se ne guarda bene dal cacciare un
allievo, neanche il non dotato). Non lo sfiora minimamente
il dubbio elementare, anzi la certezza, che in quei
quattro anni il talento del bambino non è stato
solo oggetto di semplice "osservazione" da
parte del maestro. Il talento è stato manipolato,
"coltivato". Fino a che punto il verdetto
di condanna riguardi la mancanza di "doti innate"
e fino a che punto invece si ritorca come boomerang
sull'intervento del docente, non è affatto chiaro,
se non altro in linea di principio. Si conoscono molti
casi di studenti respinti come inetti da un maestro,
apprezzati come talenti da un altro.
Che succede in classe?
La maggioranza degli studenti lascia dunque nei primi
anni. Analizziamo quello che succede qui, nei corsi
inferiori: che sono oggi il corso di strumento e quello
di teoria e solfeggio. Ci soccorre un documento, redatto
nel 1980 da un'apposita commissione convocata dal Ministero.
Il documento analizzava lucidamente i limiti dell'attuale
corso di teoria e solfeggio. Vale la pena rileggerli:
1. "separazione dalla concreta esperienza del fare
e del sentire musica". I materiali musicali usati
in questo corso sono infatti esclusivamente "eserciziari",
e non musiche "vive". Quello di teoria e
solfeggio è l'unico corso inferiore in cui si
potrebbe dare spazio a una delle più gratificanti
esperienze musicali: la musica d'insieme, a cominciare
da quella vocale. Invece ben raramente in questo corso
"si fa musica".
2. "esclusiva attenzione al fatto grafico".
La notazione - il pentagramma e annessi - è
un mezzo, sia pure irrinunciabile, dell'esperienza
musicale. Il corso invece lo vive come fine a sé.
3. "abnorme privilegiamento dell'aspetto ritmico,
spinto a livelli incongruenti con i reali bisogni esecutivi
non solo dei corrispondenti anni di pratica musicale,
ma di quasi tutta la futura attività scolastica
dell'allievo, e ai danni degli altri aspetti del linguaggio
musicale: melodico, armonico, timbrico-dinamico, formale".
Il documento si riferisce al solfeggio parlato, che
assorbe il maggior tempo, che mortifica, in particolare,
la lettura intonata, e che è condotto con una
generale noncuranza dell'espressività musicale.
4. "settorialità del codice musicale considerato,
rigidamente limitato al sistema tonale classico".
5. "incuria in cui è lasciata l'educazione
della voce". Sembra davvero che un singolare pudore
- chiamiamolo così - impedisca alla voce, il
primo, più immediato e duttile strumento musicale,
di affinarsi nei nostri piani di studio, che non siano
ovviamente le scuole di canto.
6. "mancato collegamento con il parallelo studio
strumentale". Classe di strumento e classe di
teoria e solfeggio procedono di norma su binari totalmente
separati.
7. "impostazione nozionistica e verbalistica dello
studio teorico".
Altri limiti della formazione iniziale avrebbero potuto
essere messi in evidenza. Proviamo a farlo qui:
8. si trascura l'educazione della percezione e della
memoria. Non sono molti i licenziati che sanno distinguere
l'uno dall'altro all'ascolto i diversi elementi ritmici,
melodici, armonici e via dicendo. Eppure l'orecchio
dovrebbe essere considerato l'organo sacro del musicista.
9. manca il contatto con la linfa primaria dell'esperienza
musicale: le musiche. Può sembrare un paradosso,
ma mentre nella scuola dell'obbligo il ragazzo è
educato ad ascoltare le musiche più diverse,
nei corrispondenti anni di conservatorio gli unici
pezzi che ascolta sono quei pochi, semplici, che è
in grado di praticare sul suo strumento.
10. sono represse le risorse creative. Quasi in nessun
luogo dei nostri curricoli conservatoriali (che non
siano beninteso le scuole di composizione) si incoraggiano
attività non solo di composizione o di improvvisazione,
ma anche semplicemente di ideazione, decisione, iniziativa
personale.
Maligni e benvolenti
Sono compiti di un corso di "formazione di base"
o del corso di strumento? Un curricolo riformato potrebbe
facilmente assegnarli a entrambi, in stretta integrazione.
Di fatto oggi nemmeno nel corso di strumento si praticano
attività di improvvisazione, tanto meno di ascolto
o di educazione dell'orecchio e della memoria, o di
teoria. Evitata è di norma anche la pratica
del suonare a orecchio. E' considerata "dilettantesca":
ma c'è da chiedersi se sia più "dilettante"
chi ha l'invidiabile abilità di suonare un pezzo
semplicemente dopo averlo ascoltato, l'abilità
di accompagnare al primo ascolto magari il coretto
scolastico; o non invece chi non riesce a suonare due
note senza lo spartito sul leggio. Distinguiamo il
suonare a orecchio dal suonare male. Un allievo può
suonare bene, molto bene, a orecchio: basta insegnarglielo.
Viceversa non sono pochi gli strumentisti che massacrano
la pagina aperta davanti ai loro occhi. Purtroppo l'esclusione
della pratica a orecchio genera una totale "rigo-dipendenza"
dello studente. Che curiosamente è aggravata
da un'altra lacuna dei nostri studi strumentali: la
poca cura che si concede alla lettura a prima vista.
Venenum in cauda, i più avvertiti fra gli insegnanti
di strumento hanno più volte lamentato l'eccesso
"tecnicistico" che affligge la scuola strumentale:
dove i materiali prevalenti sono eserciziari, proprio
come avviene nella classe di solfeggio.
Come si vede, ce n'è abbastanza perché
i maligni s'interroghino non su quel 50-67 per cento
di studenti che interrompono gli studi precocemente,
nei primi anni; ma sul rimanente: come avrà
fatto a tener duro fino al conseguimento della licenza
inferiore? Ma ce n'è abbastanza anche perché
i bendisposti possano elaborare un progetto per la
necessaria correzione di marcia. Al legislatore basterà
volgere al positivo i meccanismi negativi riconosciuti
alla scuola: mettere la viva esperienza musicale al
cuore dei corsi teorici, coltivare la percezione uditiva,
la vocalità, la musica d'insieme, incoraggiare
la creatività, e così via. Il curricolo
di cui ha bisogno ogni studente di musica è
in fondo quello che si dà come meta di far maturare
in lui di musica le risorse fondamentali dell'esperienza
musicale.
Un musicista piccolo e intero
Fin dai primi anni. Il fatto che il progetto di riforma
arrivi a differenziare i corsi superiori in modo da
permettere sbocchi professionali diversi, non comporta
che i curricoli debbano essere differenziati in partenza.
Al contrario: se è vero che la professione non
si decide a 11 anni, il curricolo di base dovrebbe
rimanere lo stesso per tutti. Senza nemmeno porci la
domanda di quel che il nostro ragazzo se ne farà
poi, di queste belle cose che gli insegnamo. Che diventi
il Michelangeli o il Bussotti bis, il Fedele D'Amico
o il Morricone bis, o magari l'Ornella Vanoni bis,
è cosa che potrebbe non riguardare più
di tanto il formatore di base (anche se ogni principio
ha le sue sane eccezioni). Sempre sul filo del paradosso,
si potrebbe anche considerare ideale quel curricolo
che sappia far venir voglia al ragazzo di diventare
tutte quelle figure insieme, grande esecutore e grande
organizzatore della vita musicale, grande insegnante
e grande compositore di musiche da film.... Salvo rendersi
inevitabilmente conto che le sue vite non saranno sette
come quelle dei gatti; e che diventare "grandi"
in qualcosa significa fatalmente rinunciare ad esserlo
in altre.
Il documento del 1980 arrivava a delineare proprio un
compito del genere, in fondo ben ambizioso, al corso
di formazione musicale di base, come suggeriva di ribattezzare
l'attuale corso di teoria e solfeggio: "il corso
ha come scopo lo sviluppo integrale delle competenze
musicali dell'allievo, dirette alla conoscenza e all'esercizio
delle varie esperienze sonore esistenti nella nostra
cultura, e in vista di una personalità musicalmente
versatile e polivalente". Un bambino non sceglie
il suo destino a 11 anni. Quello che gli serve, prima
d'ogni altra cosa, è che la scuola coltivi il
suo entusiasmo, gli dia la carica: che metta in azione
in lui, nel migliore dei modi, i motori dell'esperienza
musicale. I diversi motori. "Bisogna cominciare
il più presto possibile lo studio strumentale",
si sente dire spesso. Ma non è solo il meccanismo
fisiologico che esige un'attivazione precoce. Ne hanno
bisogno anche gli altri: i motori dell'abilità
percettiva, della sensibilità estetica, dell'intelligenza,
dell'interesse verso le più diverse forme della
vita musicale, della stessa disponibilità affettiva
verso la musica, ogni tipo di musica.
Il documento, era facile prevederlo, rimase lettera
morta nei cassetti del Ministero, come un embrione
ibernato. E se qualcuno, fra i responsabili che hanno
a cuore le sorti dell'istruzione musicale, si provasse
ora a riportarlo in vita? la formazione del "talento"
resta un essenziale obiettivo della società;
ma non passando per una strage degli innocenti, bensì
ridimensionando radicalmente gli spazi dell'operazione,
le procedure di ricerca e di selezione, nonché,
come vedremo, le metodologie didattiche;
* i fondamenti dell'esperienza musicale, le risorse
della musicalità, sono un patrimonio da valorizzare
e da potenziare in tutti i cittadini. Ognuno dovrebbe
poter coltivare al meglio la propria musicalità,
in proporzione al proprio potenziale, ai propri bisogni,
alla propria disponibilità, ai propri obiettivi.
E questo dovrebbe essere lo zoccolo comune, l'humus
fecondante, sul quale far germogliare tutte le specializzazioni
successive (concertismo compreso). La fascia iniziale
dell'istruzione musicale.
NOTE
(1). Vediamoli quattro/cinque anni dopo, al momento in cui dovrebbero conseguire la licenza inferiore. Nei nove anni fra il 1979 e il 1988 (per il 1987 non si hanno dati) gli studenti interni che hanno ottenuto questa licenza ammontano a 24.411. Il rapporto fra le due cifre è di circa 1/2. Vuol dire che su cento studenti che iniziano gli studi in conservatorio, una percentuale orientativamente intorno al 50% consegue la licenza inferiore. Laltro 50% se ne va via prima.
Adesso osserviamo il numero dei diplomati. Nello stesso periodo 1979-1988, sono 14.223 (il numero riguarda i diplomi interni; i diplomati esterni, quelli cioè che non risultavano fra gli iscritti, e che quindi non vanno considerati, sono 11.547). Anche se il numero andrà un poco incrementato, risulta che a conseguire il diploma è circa il 58,26 per cento di chi ha superato lesame inferiore. Lultimo dato si ricava dunque rapidamente: su cento studenti che iniziano gli studi in conservatorio, sono poco più di un quarto quelli che li concludono. Tre quarti li interrompono. (1)
(2). Alessandro Cavalli in un recente numero del "Mulino". (2)
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