"In Spagna ci vogliono tre bambini per giocare
alla corrida. Uno fa il toro, l'altro fa il torero.
Il terzo sta ai bordi del campo e grida Olè!
Con la musica è lo stesso: ci vogliono tre persone
per farla come si deve, uno che la compone, uno che
la esegue, e un terzo che la critica". A dettare
questa battuta dal tono paradossale è Virgil Thompson,
l'illustre compositore americano di cui quest'anno
cade il centenario della nascita; compositore, nonché
brillante critico musicale del New York Herald Tribune.
Non tutti sarebbero disposti a sottoscriverla, anche
se appare giusto che un professionista esalti il proprio
mestiere. Il critico musicale è oggetto di attenzioni
contradditorie: blandito e insieme temuto dal musicista
che ne conosce la capacità di orientare il pubblico,
sotto sotto bistrattato e tacciato di dilettantismo,
quando non d'incompetenza. Davanti a certi pezzi giornalistici
superficiali, non ci sentiamo di dare torto al rimprovero.
Non ci s'improvvisa critici musicali. Chi lo fa (e
il caso non è raro) può permetterselo perché
conta su un pubblico a sua volta impreparato a giudicarlo.
Come sempre, è l'impreparato al compito che abbassa
la stima verso la categoria.
Già, ma chi lo prepara, il critico musicale? Quale
istituto si preoccupa di formare il giovane a questa
professione? Per arrivare a essere un buon critico
occorrerà di sicuro una qualche dotazione personale,
così come occorre un auto-addestramento. Certe
cose o le possiedi, o ti arrangi a procurartele, o
altrimenti nessuno te le può dare. Se interpelliamo
i migliori critici musicali, alla Virgil Thompson per
intenderci, ci sentiremo facilmente rispondere che
si sono "formati da sé".
Ma questo in fondo avviene in qualsiasi altro ambito
professionale, musicale e non. Dove l'unica formazione
prevista è l'autoaddestramento, non possiamo aspettarci
risultati mediamente eccellenti. La qualità di una
scuola si misura non dalle eccezioni, ma dalla media
dei risultati. La scuola non può creare il talento,
si sente spesso ripetere. Però può fornire
al talento potenziale i mezzi per attuare al meglio
le proprie potenzialità.
Il caso del critico
Anche al talento di critico. La battuta di Thompson
è citata da un altro critico musicale, Thomas
Willis del Chicago Tribune. La rivista di didattica
musicale più diffusa nel mondo, il Music Educators
Journal, gli aveva chiesto di indicare i requisiti
di un buon critico musicale. E Willis li elenca, a
partire dal più ovvio: acquisire una "buona penna",
imparare a usare le risorse e i trucchi della parola,
in uno stile capace di catturare l'attenzione di un
ampio pubblico: uno stile giornalistico. Ma aggiungeva
subito una serie di competenze musicali non da poco:
la pratica di uno strumento musicale, come condizione
per capire l'esperienza stessa e i problemi di un esecutore;
un approfondito studio di storia e di analisi musicali,
per valutare il rapporto tra le caratteristiche strutturali
della musica eseguita e il modo in cui l'interprete
le valorizza; conoscenza delle tecniche compositive
contemporanee, per poter apprezzare le opere nuove;
conoscenza adeguata degli strumenti musicali e della
fisica acustica. E ancora: lingue straniere (quattro
o cinque!), arti e letteratura, sociologia, psicologia
della comunicazione, management elementare, scienza
del computer.
Potremo aggiungere o togliere, da questo elenco. Per
esempio, la maggioranza dei critici musicali americani
reputava secondaria l'abilità di suonare uno strumento
(secondo un'inchiesta sul mestiere di critico pubblicata
in un altro periodico specializzato, a cura di Patricia
Shehan). Resta però il fatto: la professione
di critico ha un profilo particolare, distinto da ogni
altro. E questo profilo potrebbe - dovrebbe - essere
costruito da un apposito corso di studi.
Una risposta e quattro domande
Il caso del critico musicale è solo uno dei tanti
casi di professione musicale, alla quale il corso tradizionale
degli studi conservatoriali non prepara. E non tanto
perché il campo di applicazione sia ristretto.
Ma per l'orientamento particolare che da più di un
secolo i nostri conservatori hanno adottato: la monocoltura
di cui si parlava nel numero scorso. Il cuore dell'insegnamento
in conservatorio è la pratica dello strumento
musicale. E fin qui nulla da eccepire. I guai sono
cominciati quando si è irrigidito il curricolo
come se tutti quelli che cominciavano a suonare uno
strumento dovessero porsi l'obiettivo di diventare
dei Thalberg o dei Liszt (oggi diremmo dei Pollini
o dei Pogorely): di qui una coltivazione della tecnica
del tutto sproporzionata alle applicazioni desiderate
o semplicemente possibili.
Negli ultimi quindici anni i conservatori italiani hanno
rilasciato mediamente più di tremila diplomi all'anno.
Un certo numero di studenti consegue un secondo diploma,
in qualche caso un terzo: per esempio i compositori
spesso possiedono anche un diploma di pianoforte. Sono
dunque un po' meno di tremila i giovani che ogni anno
si affacciano alla professione musicale. Come usano
il loro titolo? Nessuno ha mai condotto un'inchiesta.
Chi ha un po' di pratica dell'ambiente sa che ben più
della metà svolge un lavoro non musicale, o è
in attesa di un lavoro. Ma il punto chiave è che
quella minoranza che si è inserita nella professione
musicale, svolge un lavoro al quale non è stata
preparata. La totalità dei pianisti e dei cantanti,
come la quasi totalità dei violinisti e una percentuale
non precisabile degli altri strumentisti è stata
preparata per esibirsi come solista (e solo di musica
classica) davanti a un pubblico di appassionati: quanti
siano arrivati a fare del concertismo la propria professione
è facile ricostruirlo semplicemente osservando
i cartelloni. La maggioranza degli altri strumentisti
è preparata per suonare in orchestra. Ma quante
sono le orchestre in Italia? Gli ultimi anni registrano
clamorose soppressioni: gli orchestrali licenziati
riducono ancora di più le possibilità di lavoro dei
giovani diplomati. C'è di più. Proprio la querelle
che accompagnò la soppressione delle orchestre
RAI metteva in evidenza una realtà inquietante, che
Salvatore Accardo sintetizzava su Amadeus, e altrove,
con il verdetto paradossale: pochi diplomati "sanno
suonare come si deve". Anche dandogli la tara
(ma sappiamo che non pochi dei nostri strumentisti
sono "importati" da altri paesi), è
difficile accettare il fatto che l'obiettivo quasi
esclusivo degli studi conservatoriali sia raggiunto
da una percentuale così piccola. Come ciò
possa verificarsi è una questione - una prima
questione - da rimandare a un prossimo numero.
L'universo delle professioni musicali è molto ampio.
E ognuna richiede un curricolo proprio, specifico.
Il primo passo di una riforma dei conservatori dovrebbe
essere proprio questo. Il criterio in fondo è
semplice. Come Willis mostrava per il critico, basterebbe
individuare le competenze richieste a ogni altro professionista
della musica, e pianificare coerentemente il modo di
raggiungerle, di farle raggiungere allo studente. E'
in quest'opera che i nostri migliori esperti nei diversi
settori della vita musicale diventano indispensabili:
è a loro, prima che a ogni altro, che il programmatore
scolastico dovrebbe rivolgersi per raccogliere l'indicazione
degli obiettivi da graduare, dei contenuti da scegliere,
dei metodi da utilizzare, per ciascun corso di studi.
Un quadro delle professioni musicali ci è offerto
dal citato Music Educators Journal. Lo pubblichiamo
nel box, con qualche adattamento. Pragmatici come sempre,
i responsabili delle istituzioni statunitensi dell'istruzione
musicale non esitano a prendere in considerazione l'universo
dei mass-media, o quello del pop/rock. E' una seconda
questione, stimolante anche per noi: jingle, pop, rock
e congeneri sono scomunicati nei nostri istituti; non
dovrà esserci mai il modo di esorcizzarli, e ammetterli
alla comunione dei santi?
Ma anche senza questo audace allargamento, una terza
questione reclama una prossima puntata: come organizzare
gli studi di base, gli studi dei primi anni, in modo
non ancora specialistico, ossia capace di consentire
sbocchi professionali diversi (non si sceglie una professione
a 11 anni, quando la maggioranza entra in conservatorio)?
E una quarta: siamo poi sicuri che la finalità del
conservatorio debba essere solo professionale? I nostri
istituti d'istruzione non potrebbero farsi carico anche
di sbocchi non professionali? Quale relazione dovrebbe
avere il conservatorio con il mondo dell'amatoriato?
Per una par condicio fra le professioni
Chi difende le ragioni del virtuosismo, la necessità
che si faccia il dovuto spazio alla tecnica, che fin
dall'inizio gli studi siano condotti con la maggiore
serietà possibile, e così via, ha dalla sua l'argomento
forte, ribadito più volte dai grandi esecutori dell'Ottocento:
il virtuosismo non è un'appendice superflua della
pratica musicale, è la sostanza stessa del far
musica, ai livelli sempre più avanzati. Non c'è
nulla da eccepire a questa verità. C'è solo da
estenderne l'applicazione. Il virtuosismo non è
una prerogativa dell'esecutore. E' di tutte le professioni.
E' l'abilità superlativa che noi possiamo ritrovare
tra i musicologi, i critici, gli orchestrali, i manager,
i tecnici del suono, gli insegnanti ... Ognuna di queste
professioni ha i suoi virtuosi, e ha le sue tecniche,
i suoi tempi di maturazione.
Un intreccio complesso e stratificato di formae mentis
e di riti sociali, di convenzioni e di convinzioni,
fa sì che nella nostra cultura il prestigio di
cui gode il virtuoso strumentista, o cantante, o direttore,
non sia paragonabile a quello di cui gode il virtuoso
tecnico, o musicologo, o insegnante. La scuola può
darsi anche il compito di ristabilire una "par
condicio" fra le professioni. Ma per poterci riuscire,
deve avere ben chiari, e rendere ben chiari all'opinione
pubblica, i livelli avanzati, la professionalità seria,
che in ognuno dei corsi di studio lo studente può
raggiungere; e soprattutto deve sapersi attrezzare
di conseguenza.
Nel 1948 il Ministero della Pubblica Istruzione condusse una grande inchiesta sulla scuola. Il questionario che fu inviato ai direttori di conservatorio esordiva con questa domanda: "Risponde l'attuale ordinamento degli studi nei Conservatori di Musica, nella lettera e nello spirito che lo informa, e nei risultati che se ne ottengono, alle moderne esigenze dell'istruzione musicale? In caso negativo: quali ne sarebbero le principali cause, intese in senso generale? (ambiente sociale, esigenze culturali ed economiche, esigenze delle orchestre e dello spettacolo, ecc.)". Fra i massimi responsabili della scuola nasceva dunque il dubbio che il conservatorio potesse essere cresciuto lontano dalle "moderne esigenze". Il dubbio fu sdegnosamente respinto dagli interessati. Tra poco si celebrerà il cinquantenario di quello storico documento. Nessun altro è seguito, di pari importanza, nella vita della scuola italiana. Men che meno della scuola musicale. Rassicurato il centro, la periferia poteva continuare la sua vita di sempre. Fino a ieri, fino a oggi. Fino a quale domani?
Professioni musicali: solo in America?
(adattato da Music Educators Journal, March 1977).
A. Mezzi di comunicazione
Direttore della musica televisiva
Produttore della musica televisiva
Produttore delle registrazioni
Direttore A & R (artisti e repertorio)
Tecnico della registrazione
Disc jokey
Curatore della musica da film
B. Esecuzione
Cantante-attore
Strumentista pop/rock/jazz
Vocalista pop/rock/jazz
Musicista di studio
Strumentista di musica classica
Vocalista di musica classica
Direttore
Musicista di chiesa
C. Composizione e arrangiamento
Classico
Pop/rock/country
Di musica da film
Di multimedialità
Di jingle
Per la didattica
D. Editoria e giornalismo
Curatore musicale
Editore musicale
Curatore di libri/riviste
Critico musicale
Scrittore freelance
Musicologo
E. Industria e commercio
Progettista di strumenti
Costruttore di strumenti
Assistente informatico
Concessionario alle vendite
Vendita al dettaglio
F. Insegnamento
Insegnante nella scuola dell'obbligo
Ispettore/amministratore
Insegnante di istituto musicale
Insegnante universitario
Insegnante privato
Animatore sociale
G. Altre
Consulente legale
Consulente di acustica architettonica e ambientale
Riparatore e accordatore di strumenti
Musicoterapista
Copista
Direttore di teatro musicale
Etnomusicologo
Libraio
Supervisore di programmi ricreativi
Responsabile dei beni culturali.
(3. continua)
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