Giovanna, maestra elementare, varca per la prima volta
la soglia di un conservatorio di musica. Fa parte del
consistente drappello che l'autorità scolastica ha
chiamato quest'anno a un corso di formazione musicale.
I sette anni di educazione musicale, frequentati nella
scuola media e nell'istituto magistrale, non le sono
bastati. Non si sente in grado di svolgere con i suoi
bambini il previsto programma di educazione al suono
e alla musica. Il corso che sta per iniziare dovrebbe
porvi un rimedio. Il luogo stesso è una garanzia:
non è in conservatorio che la musica si studia
seriamente? Chissà se risulterà all'altezza, Giovanna...
Così la maestra medita mentre attraversa l'atrio.
Non è solo la trepidazione a farle apparire solenne
e sacrale il chiostro, la scalinata, i lunghi corridoi.
Una volta questo era proprio un convento, e ne ha mantenuto
l'architettura e l'aura. Più di un conservatorio italiano
ha preso dimora in quelli che fino all'età napoleonica
erano luoghi di preghiera e di ritiro. Il tempio della
musica, si dice.
Alle suggestioni visive si sommano quelle acustiche.
Dalle aule semiaperte è una panfonìa di strumenti
diversi, di voci diverse. Nella più disinvolta commistione,
bambini, ragazzi, adulti, ognuno col suo strumento
o la sua partitura sottobraccio, le incrociano la strada
verso l'aula destinata. Il rimpianto per non aver fatto
parte di questa bella brigata anche lei, a suo tempo,
è forte. Pazienza: chissà che la fortuna non
possa toccare a sua figlia, prossima al colloquio per
l'ammissione...
Crisi esogene
Oggi, questo istituto è messo in discussione. Musicisti,
pedagogisti, uomini politici dibattono sull'opportunità
di modificarne radicalmente la struttura. Una proposta
di legge è stata discussa dalla Commissione cultura
della Camera. E ha immediatamente attizzato un clima
rovente. Comitati, assemblee, mozioni si sono susseguite
e incrociate per la penisola. Pro o contro. Amadeus
ne ha già riferito ai lettori nel numero di gennaio.
Come ogni atto parlamentare non approvato, la proposta
di legge decade col decadere della [se decade la] legislatura.
Ma non cadono le motivazioni che l'hanno ispirata,
e che presumibilmente torneranno a farsi sentire nella
legislatura prossima [successiva]. Per questo varrà
la pena mantenere aperto il dibattito.
Questo tentativo di riforma non è il primo. Il
conservatorio italiano è come una navicella abituata
da sempre a rotte tranquille, su mari in bonaccia,
ma che periodicamente si ritrova scossa da improvvise
burrasche. Una caratteristica singolare è che
quasi mai le burrasche sorgono all'interno dei conservatori;
sono scatenate da mutamenti climatici che avvengono
altrove. Le controversie sulla riforma degli studi
musicali sono normalmente accese dalle trasformazioni
che si producono nella scuola generale e che da qui
arrivano a ripercuotersi sulla vita dei conservatori.
Sono crisi esogene, non endogene.
Il primo turbine dell'ultimo mezzo secolo scoppia all'inizio
degli anni Sessanta. Una legge estendeva finalmente
ai 14 anni d'età l'obbligo scolastico, e fissava un
programma di studi uguale per tutti: il programma della
scuola media (fino allora erano esistiti diversi tipi
di scuola secondaria inferiore, ognuna con un suo specifico
programma di studi). Potevano restar fuori da questa
unificazione i ragazzi del conservatorio, con il loro
programma speciale - quasi solo studi musicali, più
una sommaria infarinatura d'altre cose?
Erano in molti allora a sostenere l'eccezione, con un
argomento che sentiremo ritornare a ogni agitarsi delle
acque: il conservatorio è una scuola atipica,
che non può sottostare a norme valide per la
generalità. Ma finì col prevalere il principio
opposto: anche gli studenti di musica dovevano frequentare
la scuola media, studiare matematica e storia, lingua
straniera e scienze e educazione artistica... La soluzione
adottata fu di inserire la scuola media dentro i conservatori.
Si mostrava di salvare così la loro autonomia:
in fondo la riforma pareva ridursi a una semplice estensione
degli studi non musicali già attivati in conservatorio.
Presto le classi di scuola media interna al conservatorio
(che viene propriamente chiamata annessa) risultarono
insufficienti rispetto alla domanda di musica. Si crearono
scuole medie a orientamento musicale. Si aprì
subito la controversia se queste scuole dovessero proporsi
come pure e semplici raddoppi delle scuole medie annesse,
o se dovessero darsi compiti diversi. Ogni scuola fece
la propria scelta, in un senso oppure nell'altro. L'argomento
meriterà di essere ripreso, anche perché queste
scuole, che oggi sono più di duecento, forniranno un
prototipo organizzativo per l'ultimo progetto di riforma,
quello del 1995.
La navicella nella tempesta
Trasformata la scuola media, i politici affrontano subito
la secondaria superiore. Si sente la necessità di
estendere l'obbligo scolastico almeno ai 16 anni d'età;
e di ristrutturare l'intero corso degli studi. Inevitabili
le ripercussioni sui conservatori, che si sentono premuti
a ospitare licei; o addirittura, come alcuni paventavano,
a "licealizzarsi". Inizia una processione
di progetti di riforma: almeno uno a ogni tentativo
di modificare la scuola secondaria. Basta confrontare
le date, che riportiamo nel box.
Il lungo periplo della riforma
1962: legge istitutiva della nuova scuola media. L'obbligo
scolastico è esteso per tutti i cittadini a 14
anni d'età. Come contraccolpo si crea la scuola media
annessa al conservatorio.
1968: una legge di riforma della secondaria superiore è approvata dal senato (non farà in tempo ad arrivare alla camera)
1969: Andrea Mascagni, paladino del moto riformista di quegli anni, licenzia uno Schema di riforma dell'insegnamento della musica in Italia, che viene fatto proprio da una serie di istituzioni (il Comitato Musica e Cultura di Fiesole, la Società Italiana per l'Educazione Musicale, il Sindacato Musicisti Italiani, il Sindacato Nazionale Istruzione Artistica)
1972: il progetto Mascagni sfocia in una proposta di legge (primo firmatario il senatore Marino Raicich).
1978: sei progetti di riforma della secondaria elaborati da altrettanti partiti vengono unificati nel disegno di legge che la camera approva il 28 settembre; ma che il senato non arrivava a dibattere, per la caduta della VII legislatura. L'articolo 8 prevede: "l'indirizzo musicale della scuola secondaria superiore si attua nei conservatori di musica e nelle istituzioni musicali pareggiate".
1985: l'Ispettorano Istruzione Artistica diffonde uno schema di disegno di legge per la riforma dei conservatori.
1989: la gestione dell'università viene trasferita dal Ministero della Pubblica Istruzione al neonato Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.
1989: proposta di legge per il "riordinamento degli studi musicali" (primo firmatario il Senatore Venanzio Nocchi).
1991-92: una commissione ministeriale (la Commissione Brocca) elabora nuovi "Piani di studio della scuola secondaria superiore" e relativi programmi.
1995: proposta di legge per la riforma dei conservatori e degli altri istituti artistici.
La riforma della secondaria sembrò giungere in
dirittura d'arrivo nel 1978. Un disegno di legge prevedeva
una scuola unica, articolata in indirizzi: e tra questi
indirizzi, quello musicale sarebbe stato ospitato dai
conservatori.
Fu un momento rovente nella vita dei conservatori. Mai
i collegi docenti si riunirono con tanta alacrità
per prendere posizione. Adesioni da una parte, fiere
contestazioni dall'altra. Il conservatorio cessava
di essere un'isola (felice secondo gli uni, infelice
secondo gli altri) per venire assimilato entro l'unico
organismo della scuola generale.
Gli oppositori di quella legge agitavano lo spettro
di un declassamento degli studi. Fu coniato lo slogan
"no alla secondarizzazione dei conservatori":
uno slogan a dire il vero improprio, perché
quello stesso art. 8 contemplava anche una "fascia
successiva alla scuola secondaria superiore",
quindi una fascia universitaria. Il rischio temuto
era quello di un "annacquamento" degli studi
musicali, di obblighi di studio "distraenti"
per lo studente. I sostenitori insistevano all'opposto
sulla necessità dell'aspirante musicista di dotarsi
anche di un bagaglio di competenze diverse, quindi
di coltivare altre discipline.
Sono passati trent'anni ma come sappiamo la secondaria
superiore è sostanzialmente ancora quella di allora,
che è poi quella del suo primo varo, nel 1923.
Questo niente di fatto spiega come mai anche i progetti
di riforma dell'istruzione musicale siano rimasti lettera
morta: quando cade la spinta generale viene meno anche
quella particolare.
Grande famiglia addio
La riforma della scuola secondaria è rimasta come
una corrente sempre turbinante sotto la superficie
dei governi successivi. E così anche le acque
dei conservatori restano increspate. Nel 1985 l'offensiva
legislativa parte non da un gruppo di parlamentari,
ma dallo stesso ufficio centrale da cui i conservatori
dipendono: l'Ispettorato Istruzione Artistica. Quattro
anni dopo, lo stesso progetto viene sviluppato in una
proposta di legge, la penultima. Nella sua sostanza,
il progetto del 1995 riprende (con una variante nevralgica
che vedremo) questi precedenti.
Per capire l'effetto pratico di questi progetti, basta
seguire la nostra maestra Giovanna in un'aula di conservatorio:
dove ha potuto vedere il bambino di otto anni seduto
accanto a un giovanotto di ventiquattro. Lo stesso
insegnante di violino - o di pianoforte, o di flauto...
- ha fra i suoi allievi il diplomando come il principiante.
In conservatorio si entra normalmente a 11 anni, ma
la legge consente l'eccezione di un ingresso precoce;
si conoscono casi di ingresso a 4 anni d'età.
Questa caratteristica, che fa assomigliare gli attuali
conservatori a grandi famiglie, viene abbandonata da
quei progetti. Gli studi musicali vengono ridistribuiti
su tre fasce d'età. La prima si configura come una
scuola media a orientamento musicale, esterna al conservatorio,
non più interna: il modello, come si diceva più sopra,
esiste già; si tratterebbe solo di estenderlo quantitativamente,
e di farvi confluire le scuole medie attualmente annesse
al conservatorio. La seconda fascia costituisce un
conservatorio di base, corrispondente a una scuola
secondaria superiore. La terza, un conservatorio di
livello universitario.
L'istruzione musicale cessa dunque di essere "un
luogo a sé", per venire a coincidere con
la mappa degli studi generali: più propriamente come
un indirizzo speciale rispettivamente di scuola media,
secondaria superiore, università.
La sirena universitaria
Rispetto all'analogo progetto del 1985, un fatto nuovo
è intervenuto nella scuola generale: la riforma
universitaria e la conseguente nascita del Ministero
dell'Università e della Ricerca Scientifica. Ancora
una volta, è il rivolgimento climatico esterno
a scatenare l'ultima tempesta nei conservatori. E infatti
il progetto del 1995 - qui sta la sua maggiore variante
rispetto ai precedenti - dedica l'attenzione prevalente
alla fascia più elevata degli studi, quella universitaria.
Crea in ogni regione un Istituto Superiore delle Arti
(ISdA), una sorta di dipartimento nel quale confluiscono,
oltre al conservatorio (superiore), le accademie (d'arte,
di danza, di teatro, di cinema), coordinati da un nuovo
organismo, il Consiglio Nazionale delle Arti. Ogni
ISdA gode della relativa autonomia concessa alle università,
compresa quella di definire il proprio piano di studi.
Basta quest'ultimo punto a far balenare la carica innovativa
del progetto. Oggi i programmi di studio sono identici
per tutti i conservatori; domani a Venezia si potrebbero
seguire programmi diversi da Roma o da Cagliari.
La reazione degli interessati non s'è fatta attendere,
schierandoli ancora una volta pro e contro. Alle antiche
rispettive ragioni se n'aggiungono di nuove. La divisione
amministrativa tra i due ministeri, com'è facile
immaginare, avrebbe ripercussioni dirompenti sulla
ristrutturazione in fasce dell'istruzione musicale.
Ora sarebbe netta la separazione tra le fasce inferiore-media,
amministrata dal Ministero della Pubblica Istruzione,
e la fascia superiore, affidata al Ministero dell'Università.
Per non dire del nugolo di questioni amministrative
che si porrebbe ai riformatori, a cominciare da quella
retributiva. Giusto o sbagliato che sia il principio,
oggi il trattamento, non solo economico, di un insegnante
è tanto migliore quanto più elevata è l'età
dell'allievo. Invece in conservatorio questo principio
non si applica. E siccome non è immaginabile che
il "pari trattamento" di cui gode il conservatorio
possa essere esteso alla scuola generale, sarà l'insegnante
di conservatorio a subire la legge generale del "trattamento
dispari". In parole povere, oggi tutti gl'insegnanti
di conservatorio godono dei medesimi appannaggi (con
piccole differenze di scarso significato). La riforma
distinguerebbe fra insegnanti-musicisti di scuola media,
di secondaria superiore, di università: cosa che si
risolve in una netta differenza di prestigio. Anche
se va aggiunto che è prevista una fase transitoria,
nella quale i "diritti acquisiti" vengono
tutelati; e che l'aspettativa prevalente fra i conservatoriali
sembra essere quella di vedersi trasferiti in blocco
nei ranghi universitari. Ma se questo non avvenisse
(il progetto di legge non si pronuncia su questo punto)
quale autorità riuscirà a far ingoiare il rospo?
C'è di meglio, o di peggio: chi deciderà, e come,
la ripartizione degli attuali istituti in conservatori
di base e conservatori superiori? Il legislatore che
ha confezionato l'ordigno si limita a trasmetterlo,
prudentemente, al prossimo governante. Il quale non
troverà facilmente i tecnici disposti a disinnescarglielo.
I sostenitori della riforma sono confortati da un dato
oggettivo. Il modello che propongono è praticato
con successo in altri paesi, di indubbie tradizioni
musicali, europei e non. Ma gli avversari sollevano
una perplessità: in quei paesi il modello è il
punto d'arrivo di una storia locale, di cammini musicali
e scolastici e ideologici diversi dai nostri. Sarà
poi facilmente trapiantabile da noi in maniera indolore?
Quali potrebbero essere i rischi di un cambiamento
radicale? Sono stati previsti? Calcolati? Dove sono
gli studi preparatori? Se esistono (c'è da dubitarne...)
perché non sono stati fatti circolare? messi
a disposizione degli addetti?
I due piatti della bilancia
Di fronte al nodo della riforma dei conservatori, oggi
le posizioni degli addetti sono polverizzate, un po'
come avviene nella nostra vita politica. Fra gli estremi
inconciliabili, troviamo una rosa di differenze parziali,
anche di sfumature. Impossibile renderne conto, e al
lettore forse interessano poco. Si può però
tentare una semplificazione. Il confronto è fra
due esigenze profonde: quella che privilegia per così
dire l'integrazione verticale degli studi, e quella
che privilegia l'integrazione orizzontale. La prima
mette l'accento sulla continuità dello studio musicale,
ed è quindi favorevole a mantenerlo separato dal
resto e compatto al suo interno, nei luoghi e nelle
persone. I suoi fautori arrivano a sostenere, per esempio,
la necessità che sia un unico docente a guidare l'allievo,
dall'inizio alla fine dello studio strumentale. Quello
della continuità è un problema che tormenta tutta
quanta la scuola. Ogni genitore, ogni studente, sa
che spesso il passaggio dalla elementare alla media,
da questa al liceo, da questo all'università, è
più una frattura, un salto nel buio, che non una prosecuzione
coerente. Non ne potremmo mantenere al riparo lo studente
di musica?
La seconda esigenza fa piuttosto leva sull'integrazione
degli studi musicali con la più generale formazione
culturale. Può l'esperienza musicale svolgersi
in modo sufficientemente ricco se non fa i conti, anche
istituzionalmente, anche nei luoghi e nelle persone,
con il composito universo delle altre discipline? Non
rischia, l'isolamento dello studente di musica dai
suoi coetanei, di ripercuotersi non solo sulla sua
maturità personale, ma anche sul suo modo di vivere
la musica stessa? Può ancora, la scuola musicale
del ventunesimo secolo, mantenersi fedele alle sue
origini "conventuali"?
Le riforme e le proposte di riforma, dal 1963 a oggi,
sono legate da un unico filo conduttore: e questo filo
si svolge proprio nella direzione dell'integrazione
orizzontale degli studi: tende ad appaiare gli studi
musicali, il conservatorio stesso, agli altri ordini
di scuola. Nell'ultimo quarto di secolo il campo di
battaglia più acceso è stato quello dei licei
interni ai conservatori: sperimentati con successo
più o meno grande in diversi istituti, più o meno fieramente
osteggiati in altri.
La cornice e il quadro
La maestra Giovanna che ci ha introdotto nel tempio
della musica non sa nulla delle diatribe che lo agitano;
non le sospetta. E nemmeno le interessano. Alla nostra
maestra, all'opinione pubblica attenta alle sorti della
musica, può sorgere invece un dubbio d'altro
genere. I progetti di riforma si occupano per così
dire del telaio degli studi musicali, senza far menzione
di quello che vi si deve tessere. Si occupano della
cornice, non del quadro. La maestra sa che in tutte
le altre scuole si ripropone periodicamente la necessità
di modificare i piani di studio, i contenuti, le metodologie.
Non sarà che anche quel che si fa dentro i conservatori
(e che si potrà pur fare domani dentro le nuove tre
fasce) debba esigere una qualche revisione? Sarà poi
quel limbo dorato che il profano ammira, il conservatorio
la cui linea d'orizzonte fu tracciata dal legislatore
- è bene saperlo - nel 1912 e nel 1918?
E se il conservatorio ha bisogno di riforme che riguardano
la sostanza del suo quadro, sarà proprio consigliabile
partire dalla cornice? Non sarà il caso di sapere
prima cosa eventualmente non funziona (o non funziona
più tanto bene, o potrebbe funzionar meglio...), e
dopo trovare le soluzioni adeguate, comprese quelle
dell'eventuale riarticolazione degli studi in fasce?
Una legge è un documento politico; fissa i valori
da rispettare, gli obiettivi sociali da perseguire.
Che diversità di valori, di obiettivi sociali rivela,
un'alternativa che articola l'istruzione musicale in
tre fasce piuttosto che in due, piuttosto che lasciare
le cose così come sono? Non dovrà il legislatore
chiedersi prima di tutto quali sono i bisogni di musica
della nostra società? O quali sono le opportunità
professionali che la realtà contemporanea offre ai
giovani musicisti? Sono in grado oggi i conservatori
di soddisfare gli uni e le altre? Gli attuali piani
di studio, i curricoli, sono coerenti con tali esigenze,
nei contenuti, nelle metodologie praticate, nel repertorio
utilizzato? E gli ambienti fisici, e le attrezzature,
e la strumentazione?
Sono solo le prime domande che la burrasca del 1995
fa affiorare come la punta dell'iceberg dalle acque
altrimenti levigate del conservatorio. E che forse
non sarà male tenere smosse anche in queste pagine.
(1. continua)
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