Carlo Delfrati

LA RIFORMA DEI CONSERVATORI (1)

"Sull'orlo di una crisi di nervi..."

da Amadeus, aprile 1996

Giovanna, maestra elementare, varca per la prima volta la soglia di un conservatorio di musica. Fa parte del consistente drappello che l'autorità scolastica ha chiamato quest'anno a un corso di formazione musicale. I sette anni di educazione musicale, frequentati nella scuola media e nell'istituto magistrale, non le sono bastati. Non si sente in grado di svolgere con i suoi bambini il previsto programma di educazione al suono e alla musica. Il corso che sta per iniziare dovrebbe porvi un rimedio. Il luogo stesso è una garanzia: non è in conservatorio che la musica si studia seriamente? Chissà se risulterà all'altezza, Giovanna... Così la maestra medita mentre attraversa l'atrio. Non è solo la trepidazione a farle apparire solenne e sacrale il chiostro, la scalinata, i lunghi corridoi. Una volta questo era proprio un convento, e ne ha mantenuto l'architettura e l'aura. Più di un conservatorio italiano ha preso dimora in quelli che fino all'età napoleonica erano luoghi di preghiera e di ritiro. Il tempio della musica, si dice.
Alle suggestioni visive si sommano quelle acustiche. Dalle aule semiaperte è una panfonìa di strumenti diversi, di voci diverse. Nella più disinvolta commistione, bambini, ragazzi, adulti, ognuno col suo strumento o la sua partitura sottobraccio, le incrociano la strada verso l'aula destinata. Il rimpianto per non aver fatto parte di questa bella brigata anche lei, a suo tempo, è forte. Pazienza: chissà che la fortuna non possa toccare a sua figlia, prossima al colloquio per l'ammissione...

Crisi esogene
Oggi, questo istituto è messo in discussione. Musicisti, pedagogisti, uomini politici dibattono sull'opportunità di modificarne radicalmente la struttura. Una proposta di legge è stata discussa dalla Commissione cultura della Camera. E ha immediatamente attizzato un clima rovente. Comitati, assemblee, mozioni si sono susseguite e incrociate per la penisola. Pro o contro. Amadeus ne ha già riferito ai lettori nel numero di gennaio.
Come ogni atto parlamentare non approvato, la proposta di legge decade col decadere della [se decade la] legislatura. Ma non cadono le motivazioni che l'hanno ispirata, e che presumibilmente torneranno a farsi sentire nella legislatura prossima [successiva]. Per questo varrà la pena mantenere aperto il dibattito.
Questo tentativo di riforma non è il primo. Il conservatorio italiano è come una navicella abituata da sempre a rotte tranquille, su mari in bonaccia, ma che periodicamente si ritrova scossa da improvvise burrasche. Una caratteristica singolare è che quasi mai le burrasche sorgono all'interno dei conservatori; sono scatenate da mutamenti climatici che avvengono altrove. Le controversie sulla riforma degli studi musicali sono normalmente accese dalle trasformazioni che si producono nella scuola generale e che da qui arrivano a ripercuotersi sulla vita dei conservatori. Sono crisi esogene, non endogene.
Il primo turbine dell'ultimo mezzo secolo scoppia all'inizio degli anni Sessanta. Una legge estendeva finalmente ai 14 anni d'età l'obbligo scolastico, e fissava un programma di studi uguale per tutti: il programma della scuola media (fino allora erano esistiti diversi tipi di scuola secondaria inferiore, ognuna con un suo specifico programma di studi). Potevano restar fuori da questa unificazione i ragazzi del conservatorio, con il loro programma speciale - quasi solo studi musicali, più una sommaria infarinatura d'altre cose?
Erano in molti allora a sostenere l'eccezione, con un argomento che sentiremo ritornare a ogni agitarsi delle acque: il conservatorio è una scuola atipica, che non può sottostare a norme valide per la generalità. Ma finì col prevalere il principio opposto: anche gli studenti di musica dovevano frequentare la scuola media, studiare matematica e storia, lingua straniera e scienze e educazione artistica... La soluzione adottata fu di inserire la scuola media dentro i conservatori. Si mostrava di salvare così la loro autonomia: in fondo la riforma pareva ridursi a una semplice estensione degli studi non musicali già attivati in conservatorio.
Presto le classi di scuola media interna al conservatorio (che viene propriamente chiamata annessa) risultarono insufficienti rispetto alla domanda di musica. Si crearono scuole medie a orientamento musicale. Si aprì subito la controversia se queste scuole dovessero proporsi come pure e semplici raddoppi delle scuole medie annesse, o se dovessero darsi compiti diversi. Ogni scuola fece la propria scelta, in un senso oppure nell'altro. L'argomento meriterà di essere ripreso, anche perché queste scuole, che oggi sono più di duecento, forniranno un prototipo organizzativo per l'ultimo progetto di riforma, quello del 1995.

La navicella nella tempesta
Trasformata la scuola media, i politici affrontano subito la secondaria superiore. Si sente la necessità di estendere l'obbligo scolastico almeno ai 16 anni d'età; e di ristrutturare l'intero corso degli studi. Inevitabili le ripercussioni sui conservatori, che si sentono premuti a ospitare licei; o addirittura, come alcuni paventavano, a "licealizzarsi". Inizia una processione di progetti di riforma: almeno uno a ogni tentativo di modificare la scuola secondaria. Basta confrontare le date, che riportiamo nel box.

Il lungo periplo della riforma
1962: legge istitutiva della nuova scuola media. L'obbligo scolastico è esteso per tutti i cittadini a 14 anni d'età. Come contraccolpo si crea la scuola media annessa al conservatorio.

1968: una legge di riforma della secondaria superiore è approvata dal senato (non farà in tempo ad arrivare alla camera)

1969: Andrea Mascagni, paladino del moto riformista di quegli anni, licenzia uno Schema di riforma dell'insegnamento della musica in Italia, che viene fatto proprio da una serie di istituzioni (il Comitato Musica e Cultura di Fiesole, la Società Italiana per l'Educazione Musicale, il Sindacato Musicisti Italiani, il Sindacato Nazionale Istruzione Artistica)

1972: il progetto Mascagni sfocia in una proposta di legge (primo firmatario il senatore Marino Raicich).

1978: sei progetti di riforma della secondaria elaborati da altrettanti partiti vengono unificati nel disegno di legge che la camera approva il 28 settembre; ma che il senato non arrivava a dibattere, per la caduta della VII legislatura. L'articolo 8 prevede: "l'indirizzo musicale della scuola secondaria superiore si attua nei conservatori di musica e nelle istituzioni musicali pareggiate".

1985: l'Ispettorano Istruzione Artistica diffonde uno schema di disegno di legge per la riforma dei conservatori.

1989: la gestione dell'università viene trasferita dal Ministero della Pubblica Istruzione al neonato Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.

1989: proposta di legge per il "riordinamento degli studi musicali" (primo firmatario il Senatore Venanzio Nocchi).

1991-92: una commissione ministeriale (la Commissione Brocca) elabora nuovi "Piani di studio della scuola secondaria superiore" e relativi programmi.

1995: proposta di legge per la riforma dei conservatori e degli altri istituti artistici.

La riforma della secondaria sembrò giungere in dirittura d'arrivo nel 1978. Un disegno di legge prevedeva una scuola unica, articolata in indirizzi: e tra questi indirizzi, quello musicale sarebbe stato ospitato dai conservatori.
Fu un momento rovente nella vita dei conservatori. Mai i collegi docenti si riunirono con tanta alacrità per prendere posizione. Adesioni da una parte, fiere contestazioni dall'altra. Il conservatorio cessava di essere un'isola (felice secondo gli uni, infelice secondo gli altri) per venire assimilato entro l'unico organismo della scuola generale.
Gli oppositori di quella legge agitavano lo spettro di un declassamento degli studi. Fu coniato lo slogan "no alla secondarizzazione dei conservatori": uno slogan a dire il vero improprio, perché quello stesso art. 8 contemplava anche una "fascia successiva alla scuola secondaria superiore", quindi una fascia universitaria. Il rischio temuto era quello di un "annacquamento" degli studi musicali, di obblighi di studio "distraenti" per lo studente. I sostenitori insistevano all'opposto sulla necessità dell'aspirante musicista di dotarsi anche di un bagaglio di competenze diverse, quindi di coltivare altre discipline.
Sono passati trent'anni ma come sappiamo la secondaria superiore è sostanzialmente ancora quella di allora, che è poi quella del suo primo varo, nel 1923. Questo niente di fatto spiega come mai anche i progetti di riforma dell'istruzione musicale siano rimasti lettera morta: quando cade la spinta generale viene meno anche quella particolare.

Grande famiglia addio
La riforma della scuola secondaria è rimasta come una corrente sempre turbinante sotto la superficie dei governi successivi. E così anche le acque dei conservatori restano increspate. Nel 1985 l'offensiva legislativa parte non da un gruppo di parlamentari, ma dallo stesso ufficio centrale da cui i conservatori dipendono: l'Ispettorato Istruzione Artistica. Quattro anni dopo, lo stesso progetto viene sviluppato in una proposta di legge, la penultima. Nella sua sostanza, il progetto del 1995 riprende (con una variante nevralgica che vedremo) questi precedenti.
Per capire l'effetto pratico di questi progetti, basta seguire la nostra maestra Giovanna in un'aula di conservatorio: dove ha potuto vedere il bambino di otto anni seduto accanto a un giovanotto di ventiquattro. Lo stesso insegnante di violino - o di pianoforte, o di flauto... - ha fra i suoi allievi il diplomando come il principiante. In conservatorio si entra normalmente a 11 anni, ma la legge consente l'eccezione di un ingresso precoce; si conoscono casi di ingresso a 4 anni d'età.
Questa caratteristica, che fa assomigliare gli attuali conservatori a grandi famiglie, viene abbandonata da quei progetti. Gli studi musicali vengono ridistribuiti su tre fasce d'età. La prima si configura come una scuola media a orientamento musicale, esterna al conservatorio, non più interna: il modello, come si diceva più sopra, esiste già; si tratterebbe solo di estenderlo quantitativamente, e di farvi confluire le scuole medie attualmente annesse al conservatorio. La seconda fascia costituisce un conservatorio di base, corrispondente a una scuola secondaria superiore. La terza, un conservatorio di livello universitario.
L'istruzione musicale cessa dunque di essere "un luogo a sé", per venire a coincidere con la mappa degli studi generali: più propriamente come un indirizzo speciale rispettivamente di scuola media, secondaria superiore, università.

La sirena universitaria
Rispetto all'analogo progetto del 1985, un fatto nuovo è intervenuto nella scuola generale: la riforma universitaria e la conseguente nascita del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica. Ancora una volta, è il rivolgimento climatico esterno a scatenare l'ultima tempesta nei conservatori. E infatti il progetto del 1995 - qui sta la sua maggiore variante rispetto ai precedenti - dedica l'attenzione prevalente alla fascia più elevata degli studi, quella universitaria. Crea in ogni regione un Istituto Superiore delle Arti (ISdA), una sorta di dipartimento nel quale confluiscono, oltre al conservatorio (superiore), le accademie (d'arte, di danza, di teatro, di cinema), coordinati da un nuovo organismo, il Consiglio Nazionale delle Arti. Ogni ISdA gode della relativa autonomia concessa alle università, compresa quella di definire il proprio piano di studi. Basta quest'ultimo punto a far balenare la carica innovativa del progetto. Oggi i programmi di studio sono identici per tutti i conservatori; domani a Venezia si potrebbero seguire programmi diversi da Roma o da Cagliari.
La reazione degli interessati non s'è fatta attendere, schierandoli ancora una volta pro e contro. Alle antiche rispettive ragioni se n'aggiungono di nuove. La divisione amministrativa tra i due ministeri, com'è facile immaginare, avrebbe ripercussioni dirompenti sulla ristrutturazione in fasce dell'istruzione musicale. Ora sarebbe netta la separazione tra le fasce inferiore-media, amministrata dal Ministero della Pubblica Istruzione, e la fascia superiore, affidata al Ministero dell'Università. Per non dire del nugolo di questioni amministrative che si porrebbe ai riformatori, a cominciare da quella retributiva. Giusto o sbagliato che sia il principio, oggi il trattamento, non solo economico, di un insegnante è tanto migliore quanto più elevata è l'età dell'allievo. Invece in conservatorio questo principio non si applica. E siccome non è immaginabile che il "pari trattamento" di cui gode il conservatorio possa essere esteso alla scuola generale, sarà l'insegnante di conservatorio a subire la legge generale del "trattamento dispari". In parole povere, oggi tutti gl'insegnanti di conservatorio godono dei medesimi appannaggi (con piccole differenze di scarso significato). La riforma distinguerebbe fra insegnanti-musicisti di scuola media, di secondaria superiore, di università: cosa che si risolve in una netta differenza di prestigio. Anche se va aggiunto che è prevista una fase transitoria, nella quale i "diritti acquisiti" vengono tutelati; e che l'aspettativa prevalente fra i conservatoriali sembra essere quella di vedersi trasferiti in blocco nei ranghi universitari. Ma se questo non avvenisse (il progetto di legge non si pronuncia su questo punto) quale autorità riuscirà a far ingoiare il rospo?
C'è di meglio, o di peggio: chi deciderà, e come, la ripartizione degli attuali istituti in conservatori di base e conservatori superiori? Il legislatore che ha confezionato l'ordigno si limita a trasmetterlo, prudentemente, al prossimo governante. Il quale non troverà facilmente i tecnici disposti a disinnescarglielo.
I sostenitori della riforma sono confortati da un dato oggettivo. Il modello che propongono è praticato con successo in altri paesi, di indubbie tradizioni musicali, europei e non. Ma gli avversari sollevano una perplessità: in quei paesi il modello è il punto d'arrivo di una storia locale, di cammini musicali e scolastici e ideologici diversi dai nostri. Sarà poi facilmente trapiantabile da noi in maniera indolore? Quali potrebbero essere i rischi di un cambiamento radicale? Sono stati previsti? Calcolati? Dove sono gli studi preparatori? Se esistono (c'è da dubitarne...) perché non sono stati fatti circolare? messi a disposizione degli addetti?

I due piatti della bilancia
Di fronte al nodo della riforma dei conservatori, oggi le posizioni degli addetti sono polverizzate, un po' come avviene nella nostra vita politica. Fra gli estremi inconciliabili, troviamo una rosa di differenze parziali, anche di sfumature. Impossibile renderne conto, e al lettore forse interessano poco. Si può però tentare una semplificazione. Il confronto è fra due esigenze profonde: quella che privilegia per così dire l'integrazione verticale degli studi, e quella che privilegia l'integrazione orizzontale. La prima mette l'accento sulla continuità dello studio musicale, ed è quindi favorevole a mantenerlo separato dal resto e compatto al suo interno, nei luoghi e nelle persone. I suoi fautori arrivano a sostenere, per esempio, la necessità che sia un unico docente a guidare l'allievo, dall'inizio alla fine dello studio strumentale. Quello della continuità è un problema che tormenta tutta quanta la scuola. Ogni genitore, ogni studente, sa che spesso il passaggio dalla elementare alla media, da questa al liceo, da questo all'università, è più una frattura, un salto nel buio, che non una prosecuzione coerente. Non ne potremmo mantenere al riparo lo studente di musica?

La seconda esigenza fa piuttosto leva sull'integrazione degli studi musicali con la più generale formazione culturale. Può l'esperienza musicale svolgersi in modo sufficientemente ricco se non fa i conti, anche istituzionalmente, anche nei luoghi e nelle persone, con il composito universo delle altre discipline? Non rischia, l'isolamento dello studente di musica dai suoi coetanei, di ripercuotersi non solo sulla sua maturità personale, ma anche sul suo modo di vivere la musica stessa? Può ancora, la scuola musicale del ventunesimo secolo, mantenersi fedele alle sue origini "conventuali"?
Le riforme e le proposte di riforma, dal 1963 a oggi, sono legate da un unico filo conduttore: e questo filo si svolge proprio nella direzione dell'integrazione orizzontale degli studi: tende ad appaiare gli studi musicali, il conservatorio stesso, agli altri ordini di scuola. Nell'ultimo quarto di secolo il campo di battaglia più acceso è stato quello dei licei interni ai conservatori: sperimentati con successo più o meno grande in diversi istituti, più o meno fieramente osteggiati in altri.

La cornice e il quadro
La maestra Giovanna che ci ha introdotto nel tempio della musica non sa nulla delle diatribe che lo agitano; non le sospetta. E nemmeno le interessano. Alla nostra maestra, all'opinione pubblica attenta alle sorti della musica, può sorgere invece un dubbio d'altro genere. I progetti di riforma si occupano per così dire del telaio degli studi musicali, senza far menzione di quello che vi si deve tessere. Si occupano della cornice, non del quadro. La maestra sa che in tutte le altre scuole si ripropone periodicamente la necessità di modificare i piani di studio, i contenuti, le metodologie. Non sarà che anche quel che si fa dentro i conservatori (e che si potrà pur fare domani dentro le nuove tre fasce) debba esigere una qualche revisione? Sarà poi quel limbo dorato che il profano ammira, il conservatorio la cui linea d'orizzonte fu tracciata dal legislatore - è bene saperlo - nel 1912 e nel 1918?
E se il conservatorio ha bisogno di riforme che riguardano la sostanza del suo quadro, sarà proprio consigliabile partire dalla cornice? Non sarà il caso di sapere prima cosa eventualmente non funziona (o non funziona più tanto bene, o potrebbe funzionar meglio...), e dopo trovare le soluzioni adeguate, comprese quelle dell'eventuale riarticolazione degli studi in fasce? Una legge è un documento politico; fissa i valori da rispettare, gli obiettivi sociali da perseguire. Che diversità di valori, di obiettivi sociali rivela, un'alternativa che articola l'istruzione musicale in tre fasce piuttosto che in due, piuttosto che lasciare le cose così come sono? Non dovrà il legislatore chiedersi prima di tutto quali sono i bisogni di musica della nostra società? O quali sono le opportunità professionali che la realtà contemporanea offre ai giovani musicisti? Sono in grado oggi i conservatori di soddisfare gli uni e le altre? Gli attuali piani di studio, i curricoli, sono coerenti con tali esigenze, nei contenuti, nelle metodologie praticate, nel repertorio utilizzato? E gli ambienti fisici, e le attrezzature, e la strumentazione?
Sono solo le prime domande che la burrasca del 1995 fa affiorare come la punta dell'iceberg dalle acque altrimenti levigate del conservatorio. E che forse non sarà male tenere smosse anche in queste pagine. (1. continua)


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