Associazione Genitori del Conservatorio di Brescia
con la collaborazione di:
Assessorato alla Cultura del Comune di Brescia
A.R.CO - Associazione per il Rinnovamento dei Conservatori.

Convegno su
MUSICA E CULTURA

Brescia, Salone del Credito Agrario Bresciano
13 maggio 1995

ENRICO ANSELMI

QUALE FUTURO?
PROSPETTIVE DI RIFORMA DEGLI STUDI MUSICALI


Nella lunga storia dei Conservatori italiani, l'inizio degli anni '60 segna una svolta importante. L'elevazione dell'obbligo scolastico al triennio della scuola media inferiore con la legge 31/12/1962 n. 1859 ebbe un immediato riflesso nel mondo dell'insegnamento musicale. L'Italia era uno dei pochi paesi civili nei quali l'importanza della funzione formatrice dell'insegnamento della musica non fosse riconosciuta con la sua istituzionalizzazione, se non nella scuola elementare, dove, sia pure con molta approssimazione, era stato introdotto già dal 1894. E proprio in funzione del suo insegnamento nella scuola elementare la musica era presente, fin dal 1861, anche nel piano degli studi della scuola normale, che poi divenne Istituto magistrale. Ma dai Ginnasi la musica era esclusa e quando nel 1940 i primi tre anni del Ginnasio e dell'Istituto magistrale vennero assorbiti nella nuova scuola media unificata, prevalse l'indirizzo del Ginnasio e la musica venne eliminata dai programmi della Scuola media inferiore. Fu invece introdotta nella post elementare o complementare che poi divenne Scuola di avviamento al lavoro e ancora Scuola di avviamento professionale, e che serviva a chi non intendeva continuare gli studi. Con la legge del 1962 invece, l'educazione musicale venne introdotta con un'ora obbligatoria in prima, facoltativa in seconda e in terza, e poi, nel 1977 obbligatoria in tutte le classi. Nel 1979 veniva portata a due ore obbligatorie in tutte le classi. L'innovazione non avvenne senza contrasti: per esempio il progetto Medici del 1959, estrometteva totalmente la musica. La legge del 1962 non solo sanava un grave ritardo, ma indicava la strada per la sua estensione, mai avvenuta, agli altri ordini di scuole: un problema, questo, sempre aperto, ma che qui ci limiteremo a segnalare.
Nello specifico ambito dei Conservatori l'istituzione della Scuola media obbligatoria sancì contestualmente, nell'art. 16 della legge, l'istituzione della Scuola media annessa ai Conservatori. Questo provvedimento si rivelò immediatamente di grande rilievo, nel bene e nel male, per lo sviluppo dei Conservatori. Vediamone le conseguenze sotto diversi aspetti.
Innanzitutto esso segnò l'inizio di un percorso di studi che prevedeva una formazione culturale e generale ampia e solida anche per il musicista. Su questa impostazione sembrava che si fosse abbastanza concordi, ma invece ben presto cominciarono a manifestarsi due pericolose posizioni polemiche. La prima nasceva dalla convinzione che il musicista, inteso soprattutto come esecutore e, in particolare, come strumentista d'orchestra, dovesse quasi esclusivamente curare la sua abilità tecnica e che questa non avesse nulla a che fare con la formazione culturale generale. Il fine dell'esecutore doveva essere quello di divenire a sua volta il docile strumento in grado di porre in atto ciò che gli venisse richiesto da una volontà superiore, fosse quella del compositore o del direttore d'orchestra. Si privilegiava così l'atto artigianale, il lavoro di "bottega" di tradizione italiana, medievale e rinascimentale, rispetto allo sviluppo della personalità e alla presa di coscienza individuale.
La seconda aveva origine dalla reazione alla vecchia impostazione intellettualistica, che considerava la musica, come l'arte in generale, un'attività in qualche modo di secondo piano, dominata soprattutto dal sentimento e rivelata dall'intuizione sensibile. Reagendo a questa concezione si ribaltava la subordinazione della musica rivendicando non solo il valore assoluto dell'arte e la sua superiorità, ma anche una posizione che si potrebbe chiamare autarchica, che tagliava i rapporti con gli altri campi della cultura ritenendoli, ai suoi fini, superflui. L'arte, e la musica in particolare, emarginata dalla cultura per la sua presunta subordinazione, veniva così emarginata per la sua presunta superiorità. Queste due posizioni costituiscono il tema ricorrente di tante polemiche di ieri, di oggi e certamente anche di domani.
Ma dall'istituzione della Media annessa prese l'aire un fermento di progetti innovativi che dovevano condurre alla riforma dell'istruzione musicale e che ebbe il suo punto di forza nei decreti delegati del 1974 e in particolare nel decreto 419 sulla sperimentazione.
C'era però un problema all'origine dell'accostamento degli studi culturali generali a quelli musicali. Il problema della grande differenza tra l'insegnamento dello strumento e, in misura minore, della Teoria e Solfeggio, e tutti gli altri. Essa riguarda le modalità di apprendimento, di espressione, il rapporto individuale docente-discente, il peso molto maggiore esercitato dalle qualità personali dell'alunno e quindi la notevole differenza nei tempi di apprendimento rispetto alle altre discipline. Di questo problema si era reso ben conto il legislatore quando diede al Conservatorio una struttura didattica a "scorrimento autonomo delle materie": l'alunno può, per esempio, essere promosso nel corso principale e ripetere il corso complementare. Tale saggia impostazione era estranea alla logica organizzativa della scuola media e l'accostamento dei due differenti tipi di insegnamento creò immediatamente un grave malcontento che si sarebbe ingigantito e esteso al futuro liceo sperimentale.
Lo stato di disagio era aggravato dalla rigidità del percorso scolastico musicale. Questo da un lato veniva agganciato rigorosamente con le altre materie e con la classe della media, dall'altro veniva a perdere, secondo un giudizio quasi unanime, contenuti e autonomia. Questo inconveniente era particolarmente evidente nello svuotamento della licenza di Teoria e Solfeggio, "compresa" nell'esame di licenza media, sia pure con un programma nuovo che presentava aspetti interessanti e innovativi. Centinaia di alunni usufruirono dell'"equipollenza" della licenza media senza avere mai conseguito la licenza di Teoria e Solfeggio, e avendo seguito male i nuovi programmi. Altrettanto inutile rigidità era applicata allo studio dello strumento, con la corrispondenza obbligata tra anno di corso e classe della media, che creava spesso valutazioni di strumento gonfiate o addirittura ripetizioni di classe del tutto ingiustificate. Ci sono voluti trent'anni perchè il Ministero facesse un passo per chiarire ciò che era chiaro a tutti ma che ci si ostinava a non vedere: la lettera n. 2974 del 2/06/1992, fornendo indicazioni operative per l'applicazione del D.M. del maggio '92 sugli scrutini ed esami della scuola media annessa, stabiliva che questi dovessero svolgersi "separatamente e autonomamente rispetto agli studi seguiti dall'allievo in Conservatorio". Era, anche se giunta con enorme ritardo, la soluzione del problema: lo sganciamento del curriculum musicale, direi, soprattutto dello strumento, dalle altre materie.
E' interessante vedere come mai ci siano voluti trent'anni e chi si sia opposto. Si sono opposti i burocrati del Ministero perchè abituati alle schematicità e all'intransigenza della norma astratta, e questo è perfettamente comprensibile. Ma si sono opposte alcune categorie di musicisti: quelli che difendevano in nome della serietà degli studi musicali una rigidità e una inflessibilità fuori luogo e un'ossequio assoluto alla norma, quelli che, nemici giurati di qualunque contaminazione culturale, volevano anzichè porre rimedio fare esplodere le contraddizioni nella logica del "tanto peggio, tanto meglio" e quelli che rifiutavano i programmi musicali nuovi perchè ostili a qualsiasi rinnovamento che non venisse dal Conservatorio. E qui ci sono precise responsabilità, che continuano a riproporsi anche oggi, per esempio a proposito dei licei sperimentali.
Un'altra conseguenza dell'istituzione della media annessa fu che essa diede il via all'enorme ampliamento del numero delle classi nei vecchi Conservatori e all'istituzione di nuovi Istituti e Sezioni staccate. Per moltissimi cittadini l'innovazione significò la possibilità di studiare la musica gratuitamente, spezzando un'impostazione elitaria che favoriva le classi più agiate. Alla data del 1(o) ottobre 1962 i Conservatori erano 14: Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Parma, Pesaro, Roma, Torino, Trieste e Venezia. Oggi sono 48 e ad essi vanno aggiunte 8 sezioni staccate. Se prendiamo come esempio la situazione delle cattedre di Pianoforte osserviamo che i titolari in servizio in tutto il territorio nazionale nel 1962 erano 53, piuttosto insignificante il numero degli incaricati. Già nell'84-85 erano 842, secondo n'indagine del CIDIM. A Palermo, uno degli istituti che meglio riflettono il fenomeno, le cattedre erano 5. Nel giro di pochi anni sono diventate 32, alle quali vanno aggiunte una decina di cattedre della sezione staccata di Trapani. Prima del '62 la situazione degli sbocchi occupazionali per i musicisti era molto simile a quella attuale: l'improvviso aprirsi delle possibilità di lavoro sia nelle scuole medie normali, sia nelle nuove classi dei Conservatori significò una vera boccata di ossigeno per una categoria tradizionalmente asfittica, evitando a molti musicisti la frustrante costrizione a cambiare mestiere. Per contro, l'introduzione della Media annessa insinuava il timore che accogliere nella propria classe alunni di media e dovere in qualche occasione avere a che fare con quella struttura potesse preludere ad un processo di "secondarizzazione" con perdita di prestigio e di privilegi. Nasceva uno dei grandi miti negativi del Conservatorio che è stata un'arma potentissima contro i licei sperimentali e che anche oggi è uno dei maggiori ostacoli per la realizzazione della riforma.
Un decennio circa dopo la legge del '62 i decreti delegati del '74 introdussero nella scuola un importante elemento di rinnovamento: la sperimentazione. Nel campo musicale nacquero tre tipi di iniziative: una sperimentazione che prevedeva l'insegnamento di strumenti musicali nella media dell'obbligo, l'introduzione di una sperimentazione musicale in seno ai licei e la sperimentazione di un liceo in seno ai Conservatori.
La sperimentazione musicale nella media è un fenomeno interessante e, malgrado le disfunzioni e il livello non sempre alto, positivo. Affidata nei primi tempi a personale spesso non qualificato, è migliorata nel tempo. Essa può essere vista da angolazioni diverse. Dal punto di vista occupazionale rappresenta una delle poche possibilità offerte ai giovani. Certamente utile la sua funzione di diffusione dell'insegnamento nelle zone lontane dai Conservatori. Ma non si può dimenticare che può offrire una istruzione musicale limitata a pochissimi strumenti: pianoforte, chitarra, qualche strumento ad arco e a fiato. Sotto questo aspetto sembra inadeguata la sua funzione sostitutiva nell'ottica di una riforma rispetto alla fascia iniziale del Conservatorio prospettata da alcuni che vorrebbero limitare quest'ultimo alla fascia superiore.
La sperimentazione dell'insegnamento musicale nel liceo ha oggi il suo unico esempio nel Liceo classico Petrarca di Arezzo dove funziona da alcuni anni e che in qualche modo è collegata al Conservatorio di Firenze. A giudizio di tutti però il suo livello di preparazione musicale non è soddisfacente. Non bisogna dimenticare poi che questa sperimentazione è un ampliamento del curriculum del Liceo classico con elementi didattici del campo musicale.
Ma nel sistema scolastico italiano manca un tipo di Istituto che abbia lo specifico compito della formazione completa e cioè anche dal punto di vista culturale del musicista, nel quale il piano di studi e la stessa "filosofia" della scuola siano pensati in partenza in funzione di quella formazione. L'obiettivo è quello dell'istituzione di un Liceo musicale autonomo e specifico, non di un liceo classico o scientifico o perfino artistico "ad indirizzo musicale".
A questa essenziale caratteristica di specificità risponde perfettamente il Liceo sperimentale dei Conservatori. Il primo istituto ad ottenere l'autorizzazione al funzionamento fu il Conservatorio di Parma, seguito nell'ordine di tempo da Perugia, Firenze, Venezia, Milano, Trapani, Torino, Adria, Vicenza, L'Aquila, Como, Udine, Trento. Le alterne vicende che ne hanno fatto la storia sono caratterizzate da uno stato di guerra permanente. E' a tutti nota l'opposizione senza tregua che forze sindacali ben organizzate, fortemente aggressive e soprattutto sempre presenti hanno condotto contro questa coraggiosa istituzione e la sua distruzione sistematica operata da direttori in essa militanti. I motivi polemici sono quelli già individuati a proposito della media annessa e si richiamano ora a una presuntuosa dichiarazione di superfluità della cultura per il musicista, di cui abbiamo già detto, ora al timore di un presunto pericolo di declassamento ove si tocchi un campo che è ritenuto dominio esclusivo della scuola secondaria, mentre si punta a rivendicazioni economiche e di carriera di livello superiore.
Dei tredici licei sperimentali originari sono rimasti in funzione con corsi completi solo sei, tutti del nord: Torino, Milano, Parma, Vicenza, Trento, Udine. I più avanzati di essi, quelli cioè che hanno meglio recepito le istanze di rinnovamento e di funzionalità, presentano piani di studio che soddifano diverse esigenze. L'adeguamento a un modello di cultura europea non esclude il rispetto per le caratteristiche peculiari dell'umanesimo italiano, per esempio con la difesa non accademica del latino. D'altra parte la formazione musicale viene curata e potenziata rispetto agli studi del Conservatorio in modo validissimo: 5 anni di formazione generale (corso fondamentale, armonia, contrappunto, analisi) 5 anni di Storia della Musica, organologia, prassi esecutiva, secondo strumento per tutti, musica da camera, esercitazioni corali.
In tutti i licei è fortemente sentita la necessità di una maggiore elasticità e flessibilità nello studio dello strumento principale, fino ad oggi fortemente avversata da alcuni Conservatori e dal Ministero.
Il problema non è marginale, e anzi ha sempre costituito una delle carte vincenti dagli oppositori, e anch'esso si rifà all'analogo problema della media annessa; si tratta di consentire che lo scorrimento curriculare del corso di strumento sia autonomo rispetto alla classe del liceo e di non esigere necessariamente l'equipollenza tra maturità e ammissione al periodo superiore. La maturità per quanto riguarda lo strumento, dovrebbe solo consentire la prosecuzione in Conservatorio nell'anno di corso per il quale è stata raggiunta la preparazione, fissando certamente un livello minimo.
Rispetto all'analogo provvedimento già attuato nella media annessa, la modifica è più facilmente realizzabile se si considera una fondamentale differenza istituzionale tra le due strutture: la media è annesssa e come tale ha una sua regolamentazione fissa ed indipendente dal Conservatorio, tranne che nella persona del Capo di Istituto; infatti conserva un Collegio dei docenti, un Consiglio di Istituto, una Giunta esecutiva indipendenti dal Conservatorio, mentre il Liceo è una sperimentazione del Conservatorio e come tale ne dipende totalmente. Anche se adotta in alcuni casi, solo per fini pratici, procedure tipiche della scuola secondaria. Come struttura sperimentale può adottare una regolamentazione ugualmente sperimentale che, a maggior ragione rispetto alla media annessa, può e deve usare flessibilità ed elasticità. Il curriculum deve avere le linee portanti uguali in tutto il territorio nazionale ma, sul modello della scuola danese, deve affiancare a materie obbligatorie anche materie opzionali e facoltative.
Il Liceo è la naturale continuazione della Media annessa e può essere completato da una struttura superiore che, allo stato attuale in attesa cioè di una riforma, deve rimanere interna al Conservatorio. Così come deve rimanere interna al Conservatorio la fascia d'età che precede la scuola media. Da molti anni nei Conservatori che ho diretto, ho consentito e incoraggiato l'apertura ai bambini della scuola elementare con ottimi risultati. Naturalmente tutto ciò si riferisce al Conservatorio così come è, e cioè utilizzando sempre la legislazione e la struttura attuali, fino a quando non sarà attuata la riforma.
In quest'ottica è del tutto arbitraria l'innovazione imposta, prima della riforma, riguardo alle nomine dei Direttori che si vogliono tramutare in elettivi in nome di una trasformazione futura in Università e di una concezione di democrazia plebiscitaria e totale, della quale sono riconosciuti anche all'estero i pericoli.
Il problema dei Direttori rispecchia le contraddizioni nelle quali si dibatte il mondo dei Conservatori, pilotati da fin troppo scoperti interessi personali, da una politica sindacale spesso demagogica e ignorante e da un Ispettorato troppo spesso indeciso e ambiguo. Ciò che più meraviglia è che accanto a suggerimenti di natura plebiscitaria e ultra democratica coesistoino progetti di autonomia nei quali al Direttore elettivo vengono attribuiti poteri eccessivi. Il Testo Unico sembra abolire il Consiglio di istituto che ha invece una importantissima funzione democratica di bilanciamento e di compensazione del potere del Direttore. La Direzione non deve essere elettiva anche perchè riccattabile e troppo facilmente pilotabile attraverso il potere plebiscitario dell'elettore. Si propende quindi da una parte verso una sfrenata dittatura del Direttore e dall'altra verso un pernicioso potere plebiscitario del Collegio dei Docenti senza strutture compensative intermedie.
In tanta contraddizione la condotta dell'Ispettorato è stata fino ad oggi troppo indecisa, troppo evasiva rispetto alle proprie responsabilità. Non sfugge a nessuno che l'elettività è stata una comoda scappatoia per un capo dell'Ispettorato troppo preoccupato di sottrarsi alle pressioni di forze politiche, soprattutto sindacali.
Detto questo si deve però riconoscere la necessità dell'autonomia dei Conservatori, in termini di innovazione didattica, di possibilità di caratterizzazione dei singoli istituti sulla base delle esigenze e delle potenzialità del territorio, di elasticità e libertà di gestione economica.
Essenziale sarebbe la possibilità di usufruire della collaborazione a contratto di grandi personalità nel campo esecutivo, compositivo, musicologico. Quanto si è detto finora ci può illuminare su quello che è il problema dei problemi: la riforma dell'istruzione musicale. Ci sembra evidente che la riforma debba garantire la soluzione di alcune questioni fondamentali:
1. colmare il vuoto istituzionale riguardante una struttura scolastica secondaria superiore specifica che abbia come obiettivo la formazione completa del musicista, anche dal punto di vista culturale generale;
2. garantire la diffusione di questa struttura su tutto il territorio nazionale;
3. istituire un ordine di studi superiori musicali che dia accesso ad una laurea in materie musicali;
4. regolamentare l'inserimento nelle nuove strutture del personale attualmente in servizio nei conservatori;
5. conciliare le nuove strutture con quelle attualmente esistenti nelle scuole medie sperimentali.
Ma non sarà completa una riforma dell'istruzione musicale che non affronti due problemi: la regolamentazione, nell'ambito della scuola elementare, della formazione musicale specifica per musicisti, e l'estensione della musica anche nel suo aspetto storico al nuovo biennio post-media di istruzione obbligatoria e agli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla falsariga dell'insegnamento della Storia dell'arte. E, d'altra parte che razionalità avrebbe una riforma che non partisse da una vera, approfondita ricerca riguardo alla reale entità del consumo musicale in Italia e che non si ponesse il problema di orientarlo, di suggerirlo e di organizzarlo? E ancora, si potrà prescindere dall'individiuazione di nuove figure professionali che il consumo stesso suggerisce?
E' infine indispensabile che il mondo della scuola si confronti in modo approfondito con il mondo della produzione e che l'uno collabori efficacemente con l'altro.
Non di meno la realizzazione della riforma dovrebbe affrontare almeno due gravi ostacoli: una spesa pubblica di notevoli dimensioni e l'opposizione del personale attualmente in servizio e dei sindacati per l'inserimento delle nuove strutture.
Più di trent'anni di esperienza nei Conservatori mi fanno ritenere che sarà molto difficile che una riforma simile venga attuata nell'ambito dell'istruzione di Stato. Il suo decentramento a Comuni e Provincie e la sua almeno parziale privatizzazione potrebbe forse risolvere il problema. Ma se la riforma non si potrà fare nei termini sopraindividuati non accetteremo riforme a metà: in questo caso i Conservatori rimangano come sono, come istituzioni atipiche aperte alla Scuola elementare comprendenti medie annesse e licei sperimentali e con la possibilità di ottenere, in via sperimentale, nuovi corsi di studi musicali superiori. Non si apriranno nuove possibilità di lavoro, ma almeno saranno salve le conquiste di anni di lavoro e di lotta.
La legge sull'autonomia, come abbiamo già segnalato, potrebbe rendere più agili le procedure che in molti casi paralizzano i Conservatori. Una maggiore disponibilità al confronto li renderebbe più competitivi.
Al confronto, dicevo, anche con la scuola privata.
Non condivido le reazioni recenti a certe provocazioni volontarie o involontarie a questo riguardo: non serve a nulla gonfiare il petto di sdegno e di orgoglio perchè altri, non tenendo conto delle condizioni ben più vantaggiose, con autonomia decisionale di scelta del personale che noi nello stato attuale non possiamo neanche lontanamente sperare, criticano i Conservatori italiani: è fin troppo facile farlo.
Rimbocchiamoci le maniche e prepariamoci al confronto, avendo però la coscienza della necessità di differenziare, di selezionare il personale. C'è un tipo di scuola privata che ci interessa, quella che accoglie le esperienze di società e di culture diverse dalle nostre: la grande scuola dell'Europa orientale ci ha messo con forza di fronte all'efficenza di strutture più selettive e meno garantiste: l'Italia ha offerto a Russi, Polacchi, Bulgari, Rumeni danaro, libertà e onori in cambio di una ventata di rinnovamento nella didattica, nel gusto, nel modo di porsi di fronte all'insegnamento. Approffittiamone finché è possibile: sono convinto che non durerà molto per alcune buone ragioni: da un lato la facilità e l'ampliamento del guadagno è inversamente proporzionale alla qualità di insegnamento, e dall'altro la fantasia e la libertà quando diventano eccessivi e sconfinano nell'arbitrio stancano i musicisti di formazione nostrana, bene o male abituati ad una caratteristica che è una nota importante della sensibilità latina: l'equilibrio. E l'equilibrio assieme alla capacità di assimilazione è la nostra forza: sono certo che vivremo una stagione di rinnovamento e di sempre maggiore prestigio.
Probabilmente è già il nostro momento.


Original file name: Anselmi.prosp - converted on Monday, 6 January 1997, 10:11

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