Nella lunga storia dei Conservatori italiani, l'inizio
degli anni '60 segna una svolta importante. L'elevazione
dell'obbligo scolastico al triennio della scuola media
inferiore con la legge 31/12/1962 n. 1859 ebbe un immediato
riflesso nel mondo dell'insegnamento musicale. L'Italia
era uno dei pochi paesi civili nei quali l'importanza
della funzione formatrice dell'insegnamento della musica
non fosse riconosciuta con la sua istituzionalizzazione,
se non nella scuola elementare, dove, sia pure con
molta approssimazione, era stato introdotto già
dal 1894. E proprio in funzione del suo insegnamento
nella scuola elementare la musica era presente, fin
dal 1861, anche nel piano degli studi della scuola
normale, che poi divenne Istituto magistrale. Ma dai
Ginnasi la musica era esclusa e quando nel 1940 i primi
tre anni del Ginnasio e dell'Istituto magistrale vennero
assorbiti nella nuova scuola media unificata, prevalse
l'indirizzo del Ginnasio e la musica venne eliminata
dai programmi della Scuola media inferiore. Fu invece
introdotta nella post elementare o complementare che
poi divenne Scuola di avviamento al lavoro e ancora
Scuola di avviamento professionale, e che serviva a
chi non intendeva continuare gli studi. Con la legge
del 1962 invece, l'educazione musicale venne introdotta
con un'ora obbligatoria in prima, facoltativa in seconda
e in terza, e poi, nel 1977 obbligatoria in tutte le
classi. Nel 1979 veniva portata a due ore obbligatorie
in tutte le classi. L'innovazione non avvenne senza
contrasti: per esempio il progetto Medici del 1959,
estrometteva totalmente la musica. La legge del 1962
non solo sanava un grave ritardo, ma indicava la strada
per la sua estensione, mai avvenuta, agli altri ordini
di scuole: un problema, questo, sempre aperto, ma che
qui ci limiteremo a segnalare.
Nello specifico ambito dei Conservatori l'istituzione
della Scuola media obbligatoria sancì contestualmente,
nell'art. 16 della legge, l'istituzione della Scuola
media annessa ai Conservatori. Questo provvedimento
si rivelò immediatamente di grande rilievo,
nel bene e nel male, per lo sviluppo dei Conservatori.
Vediamone le conseguenze sotto diversi aspetti.
Innanzitutto esso segnò l'inizio di un percorso
di studi che prevedeva una formazione culturale e generale
ampia e solida anche per il musicista. Su questa impostazione
sembrava che si fosse abbastanza concordi, ma invece
ben presto cominciarono a manifestarsi due pericolose
posizioni polemiche. La prima nasceva dalla convinzione
che il musicista, inteso soprattutto come esecutore
e, in particolare, come strumentista d'orchestra, dovesse
quasi esclusivamente curare la sua abilità tecnica
e che questa non avesse nulla a che fare con la formazione
culturale generale. Il fine dell'esecutore doveva essere
quello di divenire a sua volta il docile strumento
in grado di porre in atto ciò che gli venisse
richiesto da una volontà superiore, fosse quella
del compositore o del direttore d'orchestra. Si privilegiava
così l'atto artigianale, il lavoro di "bottega"
di tradizione italiana, medievale e rinascimentale,
rispetto allo sviluppo della personalità e alla
presa di coscienza individuale.
La seconda aveva origine dalla reazione alla vecchia
impostazione intellettualistica, che considerava la
musica, come l'arte in generale, un'attività
in qualche modo di secondo piano, dominata soprattutto
dal sentimento e rivelata dall'intuizione sensibile.
Reagendo a questa concezione si ribaltava la subordinazione
della musica rivendicando non solo il valore assoluto
dell'arte e la sua superiorità, ma anche una
posizione che si potrebbe chiamare autarchica, che
tagliava i rapporti con gli altri campi della cultura
ritenendoli, ai suoi fini, superflui. L'arte, e la
musica in particolare, emarginata dalla cultura per
la sua presunta subordinazione, veniva così
emarginata per la sua presunta superiorità.
Queste due posizioni costituiscono il tema ricorrente
di tante polemiche di ieri, di oggi e certamente anche
di domani.
Ma dall'istituzione della Media annessa prese l'aire
un fermento di progetti innovativi che dovevano condurre
alla riforma dell'istruzione musicale e che ebbe il
suo punto di forza nei decreti delegati del 1974 e
in particolare nel decreto 419 sulla sperimentazione.
C'era però un problema all'origine dell'accostamento
degli studi culturali generali a quelli musicali. Il
problema della grande differenza tra l'insegnamento
dello strumento e, in misura minore, della Teoria e
Solfeggio, e tutti gli altri. Essa riguarda le modalità
di apprendimento, di espressione, il rapporto individuale
docente-discente, il peso molto maggiore esercitato
dalle qualità personali dell'alunno e quindi
la notevole differenza nei tempi di apprendimento rispetto
alle altre discipline. Di questo problema si era reso
ben conto il legislatore quando diede al Conservatorio
una struttura didattica a "scorrimento autonomo
delle materie": l'alunno può, per esempio,
essere promosso nel corso principale e ripetere il
corso complementare. Tale saggia impostazione era estranea
alla logica organizzativa della scuola media e l'accostamento
dei due differenti tipi di insegnamento creò
immediatamente un grave malcontento che si sarebbe
ingigantito e esteso al futuro liceo sperimentale.
Lo stato di disagio era aggravato dalla rigidità
del percorso scolastico musicale. Questo da un lato
veniva agganciato rigorosamente con le altre materie
e con la classe della media, dall'altro veniva a perdere,
secondo un giudizio quasi unanime, contenuti e autonomia.
Questo inconveniente era particolarmente evidente nello
svuotamento della licenza di Teoria e Solfeggio, "compresa"
nell'esame di licenza media, sia pure con un programma
nuovo che presentava aspetti interessanti e innovativi.
Centinaia di alunni usufruirono dell'"equipollenza"
della licenza media senza avere mai conseguito la licenza
di Teoria e Solfeggio, e avendo seguito male i nuovi
programmi. Altrettanto inutile rigidità era
applicata allo studio dello strumento, con la corrispondenza
obbligata tra anno di corso e classe della media, che
creava spesso valutazioni di strumento gonfiate o addirittura
ripetizioni di classe del tutto ingiustificate. Ci
sono voluti trent'anni perchè il Ministero facesse
un passo per chiarire ciò che era chiaro a tutti
ma che ci si ostinava a non vedere: la lettera n. 2974
del 2/06/1992, fornendo indicazioni operative per l'applicazione
del D.M. del maggio '92 sugli scrutini ed esami della
scuola media annessa, stabiliva che questi dovessero
svolgersi "separatamente e autonomamente rispetto
agli studi seguiti dall'allievo in Conservatorio".
Era, anche se giunta con enorme ritardo, la soluzione
del problema: lo sganciamento del curriculum musicale,
direi, soprattutto dello strumento, dalle altre materie.
E' interessante vedere come mai ci siano voluti trent'anni
e chi si sia opposto. Si sono opposti i burocrati del
Ministero perchè abituati alle schematicità
e all'intransigenza della norma astratta, e questo
è perfettamente comprensibile. Ma si sono opposte
alcune categorie di musicisti: quelli che difendevano
in nome della serietà degli studi musicali una
rigidità e una inflessibilità fuori luogo
e un'ossequio assoluto alla norma, quelli che, nemici
giurati di qualunque contaminazione culturale, volevano
anzichè porre rimedio fare esplodere le contraddizioni
nella logica del "tanto peggio, tanto meglio"
e quelli che rifiutavano i programmi musicali nuovi
perchè ostili a qualsiasi rinnovamento che non
venisse dal Conservatorio. E qui ci sono precise responsabilità,
che continuano a riproporsi anche oggi, per esempio
a proposito dei licei sperimentali.
Un'altra conseguenza dell'istituzione della media annessa
fu che essa diede il via all'enorme ampliamento del
numero delle classi nei vecchi Conservatori e all'istituzione
di nuovi Istituti e Sezioni staccate. Per moltissimi
cittadini l'innovazione significò la possibilità
di studiare la musica gratuitamente, spezzando un'impostazione
elitaria che favoriva le classi più agiate.
Alla data del 1(o) ottobre 1962 i Conservatori erano
14: Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Firenze, Milano,
Napoli, Palermo, Parma, Pesaro, Roma, Torino, Trieste
e Venezia. Oggi sono 48 e ad essi vanno aggiunte 8
sezioni staccate. Se prendiamo come esempio la situazione
delle cattedre di Pianoforte osserviamo che i titolari
in servizio in tutto il territorio nazionale nel 1962
erano 53, piuttosto insignificante il numero degli
incaricati. Già nell'84-85 erano 842, secondo
n'indagine del CIDIM. A Palermo, uno degli istituti
che meglio riflettono il fenomeno, le cattedre erano
5. Nel giro di pochi anni sono diventate 32, alle quali
vanno aggiunte una decina di cattedre della sezione
staccata di Trapani. Prima del '62 la situazione degli
sbocchi occupazionali per i musicisti era molto simile
a quella attuale: l'improvviso aprirsi delle possibilità
di lavoro sia nelle scuole medie normali, sia nelle
nuove classi dei Conservatori significò una
vera boccata di ossigeno per una categoria tradizionalmente
asfittica, evitando a molti musicisti la frustrante
costrizione a cambiare mestiere. Per contro, l'introduzione
della Media annessa insinuava il timore che accogliere
nella propria classe alunni di media e dovere in qualche
occasione avere a che fare con quella struttura potesse
preludere ad un processo di "secondarizzazione"
con perdita di prestigio e di privilegi. Nasceva uno
dei grandi miti negativi del Conservatorio che è
stata un'arma potentissima contro i licei sperimentali
e che anche oggi è uno dei maggiori ostacoli
per la realizzazione della riforma.
Un decennio circa dopo la legge del '62 i decreti delegati
del '74 introdussero nella scuola un importante elemento
di rinnovamento: la sperimentazione. Nel campo musicale
nacquero tre tipi di iniziative: una sperimentazione
che prevedeva l'insegnamento di strumenti musicali
nella media dell'obbligo, l'introduzione di una sperimentazione
musicale in seno ai licei e la sperimentazione di un
liceo in seno ai Conservatori.
La sperimentazione musicale nella media è un
fenomeno interessante e, malgrado le disfunzioni e
il livello non sempre alto, positivo. Affidata nei
primi tempi a personale spesso non qualificato, è
migliorata nel tempo. Essa può essere vista
da angolazioni diverse. Dal punto di vista occupazionale
rappresenta una delle poche possibilità offerte
ai giovani. Certamente utile la sua funzione di diffusione
dell'insegnamento nelle zone lontane dai Conservatori.
Ma non si può dimenticare che può offrire
una istruzione musicale limitata a pochissimi strumenti:
pianoforte, chitarra, qualche strumento ad arco e a
fiato. Sotto questo aspetto sembra inadeguata la sua
funzione sostitutiva nell'ottica di una riforma rispetto
alla fascia iniziale del Conservatorio prospettata
da alcuni che vorrebbero limitare quest'ultimo alla
fascia superiore.
La sperimentazione dell'insegnamento musicale nel liceo
ha oggi il suo unico esempio nel Liceo classico Petrarca
di Arezzo dove funziona da alcuni anni e che in qualche
modo è collegata al Conservatorio di Firenze.
A giudizio di tutti però il suo livello di preparazione
musicale non è soddisfacente. Non bisogna dimenticare
poi che questa sperimentazione è un ampliamento
del curriculum del Liceo classico con elementi didattici
del campo musicale.
Ma nel sistema scolastico italiano manca un tipo di
Istituto che abbia lo specifico compito della formazione
completa e cioè anche dal punto di vista culturale
del musicista, nel quale il piano di studi e la stessa
"filosofia" della scuola siano pensati in
partenza in funzione di quella formazione. L'obiettivo
è quello dell'istituzione di un Liceo musicale
autonomo e specifico, non di un liceo classico o scientifico
o perfino artistico "ad indirizzo musicale".
A questa essenziale caratteristica di specificità
risponde perfettamente il Liceo sperimentale dei Conservatori.
Il primo istituto ad ottenere l'autorizzazione al funzionamento
fu il Conservatorio di Parma, seguito nell'ordine di
tempo da Perugia, Firenze, Venezia, Milano, Trapani,
Torino, Adria, Vicenza, L'Aquila, Como, Udine, Trento.
Le alterne vicende che ne hanno fatto la storia sono
caratterizzate da uno stato di guerra permanente. E'
a tutti nota l'opposizione senza tregua che forze sindacali
ben organizzate, fortemente aggressive e soprattutto
sempre presenti hanno condotto contro questa coraggiosa
istituzione e la sua distruzione sistematica operata
da direttori in essa militanti. I motivi polemici sono
quelli già individuati a proposito della media
annessa e si richiamano ora a una presuntuosa dichiarazione
di superfluità della cultura per il musicista,
di cui abbiamo già detto, ora al timore di un
presunto pericolo di declassamento ove si tocchi un
campo che è ritenuto dominio esclusivo della
scuola secondaria, mentre si punta a rivendicazioni
economiche e di carriera di livello superiore.
Dei tredici licei sperimentali originari sono rimasti
in funzione con corsi completi solo sei, tutti del
nord: Torino, Milano, Parma, Vicenza, Trento, Udine.
I più avanzati di essi, quelli cioè che
hanno meglio recepito le istanze di rinnovamento e
di funzionalità, presentano piani di studio
che soddifano diverse esigenze. L'adeguamento a un
modello di cultura europea non esclude il rispetto
per le caratteristiche peculiari dell'umanesimo italiano,
per esempio con la difesa non accademica del latino.
D'altra parte la formazione musicale viene curata e
potenziata rispetto agli studi del Conservatorio in
modo validissimo: 5 anni di formazione generale (corso
fondamentale, armonia, contrappunto, analisi) 5 anni
di Storia della Musica, organologia, prassi esecutiva,
secondo strumento per tutti, musica da camera, esercitazioni
corali.
In tutti i licei è fortemente sentita la necessità
di una maggiore elasticità e flessibilità
nello studio dello strumento principale, fino ad oggi
fortemente avversata da alcuni Conservatori e dal Ministero.
Il problema non è marginale, e anzi ha sempre
costituito una delle carte vincenti dagli oppositori,
e anch'esso si rifà all'analogo problema della
media annessa; si tratta di consentire che lo scorrimento
curriculare del corso di strumento sia autonomo rispetto
alla classe del liceo e di non esigere necessariamente
l'equipollenza tra maturità e ammissione al
periodo superiore. La maturità per quanto riguarda
lo strumento, dovrebbe solo consentire la prosecuzione
in Conservatorio nell'anno di corso per il quale è
stata raggiunta la preparazione, fissando certamente
un livello minimo.
Rispetto all'analogo provvedimento già attuato
nella media annessa, la modifica è più
facilmente realizzabile se si considera una fondamentale
differenza istituzionale tra le due strutture: la media
è annesssa e come tale ha una sua regolamentazione
fissa ed indipendente dal Conservatorio, tranne che
nella persona del Capo di Istituto; infatti conserva
un Collegio dei docenti, un Consiglio di Istituto,
una Giunta esecutiva indipendenti dal Conservatorio,
mentre il Liceo è una sperimentazione del Conservatorio
e come tale ne dipende totalmente. Anche se adotta
in alcuni casi, solo per fini pratici, procedure tipiche
della scuola secondaria. Come struttura sperimentale
può adottare una regolamentazione ugualmente
sperimentale che, a maggior ragione rispetto alla media
annessa, può e deve usare flessibilità
ed elasticità. Il curriculum deve avere le linee
portanti uguali in tutto il territorio nazionale ma,
sul modello della scuola danese, deve affiancare a
materie obbligatorie anche materie opzionali e facoltative.
Il Liceo è la naturale continuazione della Media
annessa e può essere completato da una struttura
superiore che, allo stato attuale in attesa cioè
di una riforma, deve rimanere interna al Conservatorio.
Così come deve rimanere interna al Conservatorio
la fascia d'età che precede la scuola media.
Da molti anni nei Conservatori che ho diretto, ho consentito
e incoraggiato l'apertura ai bambini della scuola elementare
con ottimi risultati. Naturalmente tutto ciò
si riferisce al Conservatorio così come è,
e cioè utilizzando sempre la legislazione e
la struttura attuali, fino a quando non sarà
attuata la riforma.
In quest'ottica è del tutto arbitraria l'innovazione
imposta, prima della riforma, riguardo alle nomine
dei Direttori che si vogliono tramutare in elettivi
in nome di una trasformazione futura in Università
e di una concezione di democrazia plebiscitaria e totale,
della quale sono riconosciuti anche all'estero i pericoli.
Il problema dei Direttori rispecchia le contraddizioni
nelle quali si dibatte il mondo dei Conservatori, pilotati
da fin troppo scoperti interessi personali, da una
politica sindacale spesso demagogica e ignorante e
da un Ispettorato troppo spesso indeciso e ambiguo.
Ciò che più meraviglia è che accanto
a suggerimenti di natura plebiscitaria e ultra democratica
coesistoino progetti di autonomia nei quali al Direttore
elettivo vengono attribuiti poteri eccessivi. Il Testo
Unico sembra abolire il Consiglio di istituto che ha
invece una importantissima funzione democratica di
bilanciamento e di compensazione del potere del Direttore.
La Direzione non deve essere elettiva anche perchè
riccattabile e troppo facilmente pilotabile attraverso
il potere plebiscitario dell'elettore. Si propende
quindi da una parte verso una sfrenata dittatura del
Direttore e dall'altra verso un pernicioso potere plebiscitario
del Collegio dei Docenti senza strutture compensative
intermedie.
In tanta contraddizione la condotta dell'Ispettorato
è stata fino ad oggi troppo indecisa, troppo
evasiva rispetto alle proprie responsabilità.
Non sfugge a nessuno che l'elettività è
stata una comoda scappatoia per un capo dell'Ispettorato
troppo preoccupato di sottrarsi alle pressioni di forze
politiche, soprattutto sindacali.
Detto questo si deve però riconoscere la necessità
dell'autonomia dei Conservatori, in termini di innovazione
didattica, di possibilità di caratterizzazione
dei singoli istituti sulla base delle esigenze e delle
potenzialità del territorio, di elasticità
e libertà di gestione economica.
Essenziale sarebbe la possibilità di usufruire
della collaborazione a contratto di grandi personalità
nel campo esecutivo, compositivo, musicologico. Quanto
si è detto finora ci può illuminare su
quello che è il problema dei problemi: la riforma
dell'istruzione musicale. Ci sembra evidente che la
riforma debba garantire la soluzione di alcune questioni
fondamentali:
1. colmare il vuoto istituzionale riguardante una struttura
scolastica secondaria superiore specifica che abbia
come obiettivo la formazione completa del musicista,
anche dal punto di vista culturale generale;
2. garantire la diffusione di questa struttura su tutto
il territorio nazionale;
3. istituire un ordine di studi superiori musicali che
dia accesso ad una laurea in materie musicali;
4. regolamentare l'inserimento nelle nuove strutture
del personale attualmente in servizio nei conservatori;
5. conciliare le nuove strutture con quelle attualmente
esistenti nelle scuole medie sperimentali.
Ma non sarà completa una riforma dell'istruzione
musicale che non affronti due problemi: la regolamentazione,
nell'ambito della scuola elementare, della formazione
musicale specifica per musicisti, e l'estensione della
musica anche nel suo aspetto storico al nuovo biennio
post-media di istruzione obbligatoria e agli istituti
di istruzione secondaria superiore, sulla falsariga
dell'insegnamento della Storia dell'arte. E, d'altra
parte che razionalità avrebbe una riforma che
non partisse da una vera, approfondita ricerca riguardo
alla reale entità del consumo musicale in Italia
e che non si ponesse il problema di orientarlo, di
suggerirlo e di organizzarlo? E ancora, si potrà
prescindere dall'individiuazione di nuove figure professionali
che il consumo stesso suggerisce?
E' infine indispensabile che il mondo della scuola si
confronti in modo approfondito con il mondo della produzione
e che l'uno collabori efficacemente con l'altro.
Non di meno la realizzazione della riforma dovrebbe
affrontare almeno due gravi ostacoli: una spesa pubblica
di notevoli dimensioni e l'opposizione del personale
attualmente in servizio e dei sindacati per l'inserimento
delle nuove strutture.
Più di trent'anni di esperienza nei Conservatori
mi fanno ritenere che sarà molto difficile che
una riforma simile venga attuata nell'ambito dell'istruzione
di Stato. Il suo decentramento a Comuni e Provincie
e la sua almeno parziale privatizzazione potrebbe forse
risolvere il problema. Ma se la riforma non si potrà
fare nei termini sopraindividuati non accetteremo riforme
a metà: in questo caso i Conservatori rimangano
come sono, come istituzioni atipiche aperte alla Scuola
elementare comprendenti medie annesse e licei sperimentali
e con la possibilità di ottenere, in via sperimentale,
nuovi corsi di studi musicali superiori. Non si apriranno
nuove possibilità di lavoro, ma almeno saranno
salve le conquiste di anni di lavoro e di lotta.
La legge sull'autonomia, come abbiamo già segnalato,
potrebbe rendere più agili le procedure che
in molti casi paralizzano i Conservatori. Una maggiore
disponibilità al confronto li renderebbe più
competitivi.
Al confronto, dicevo, anche con la scuola privata.
Non condivido le reazioni recenti a certe provocazioni
volontarie o involontarie a questo riguardo: non serve
a nulla gonfiare il petto di sdegno e di orgoglio perchè
altri, non tenendo conto delle condizioni ben più
vantaggiose, con autonomia decisionale di scelta del
personale che noi nello stato attuale non possiamo
neanche lontanamente sperare, criticano i Conservatori
italiani: è fin troppo facile farlo.
Rimbocchiamoci le maniche e prepariamoci al confronto,
avendo però la coscienza della necessità
di differenziare, di selezionare il personale. C'è
un tipo di scuola privata che ci interessa, quella
che accoglie le esperienze di società e di culture
diverse dalle nostre: la grande scuola dell'Europa
orientale ci ha messo con forza di fronte all'efficenza
di strutture più selettive e meno garantiste:
l'Italia ha offerto a Russi, Polacchi, Bulgari, Rumeni
danaro, libertà e onori in cambio di una ventata
di rinnovamento nella didattica, nel gusto, nel modo
di porsi di fronte all'insegnamento. Approffittiamone
finché è possibile: sono convinto che
non durerà molto per alcune buone ragioni: da
un lato la facilità e l'ampliamento del guadagno
è inversamente proporzionale alla qualità
di insegnamento, e dall'altro la fantasia e la libertà
quando diventano eccessivi e sconfinano nell'arbitrio
stancano i musicisti di formazione nostrana, bene o
male abituati ad una caratteristica che è una
nota importante della sensibilità latina: l'equilibrio.
E l'equilibrio assieme alla capacità di assimilazione
è la nostra forza: sono certo che vivremo una
stagione di rinnovamento e di sempre maggiore prestigio.
Probabilmente è già il nostro momento.
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