COMITATO PER LA RIFORMA
Conservatorio di Novara

Mozione sulla Legge delega per la riforma degli studi musicali
approvata l'11 aprile 1996.

Tra i molteplici sconcertanti aspetti del disegno di legge per la riforma dei Conservatori - la cui elaborazione in seno alla VII Commissione è stata interrotta dall'anticipata conclusione della legislatura -, ne emergono due di particolare gravità: l'ampiezza e la portata dei provvedimenti delegati a decretazione governativa e la ristrettezza dei tempi assegnati alla definizione ed all'esecuzione dei medesimi.

I contenuti della riforma

Quel che più appare incongruo nell'opera fino a questo momento svolta dalla Commissione è che il disegno di legge in discussione ha il carattere di uno strumento meramente formale, del tutto privo cioè di riferimento a quei contenuti di politica culturale dai quali dovrebbero precipuamente discendere motivazioni, finalità e fisionomia della riforma. Al punto che se la stesura del testo fosse stata affidata ad un competente funzionario ministeriale anziché a Commissione ristretta, i risultati - almeno per ampiezza e coesione delle formulazioni - sarebbero stati probabilmente migliori.

Alla stesura del testo sono evidentemente sottesi riferimenti a vaghi contenuti generali, implicitamente o esplicitamente richiamati da precedenti disegni di legge. Ma proprio perché si operava sintesi tra proposte diverse occorreva una precisa definizione delle finalità, nonché una chiara individuazione ed una articolata descrizione degli strumenti della riforma. Ed occorreva fondamentalmente una preliminare indagine sulla attuale realtà degli studi musicali in Italia, mirata a fornire un preciso quadro delle sue specificità didattiche, organizzative e strutturali, delle più pressanti esigenze di rinnovamento avvertite da operatori e utenti, delle ragioni di un disagio diffuso. Occorreva infine, accanto alla considerazione delle nuove necessità, individuare ciò che del nostro ordinamento merita invece di essere tutelato e potenziato.
Solo dopo aver acquisito precisa cognizione dell'esistente e solo dopo aver riferito i risultati dell'indagine alla realtà di modelli diversi, come quelli ad esempio offerti da collaudate esperienze straniere, il legislatore avrebbe dovuto definire le linee di un progetto innovativo. Il fatto poi che in tempi successivi all'approvazione della legge delega si offra la teorica possibilità di introdurre ampie integrazioni al testo ovviamente non comporta che quest'ultime possano essere incondizionate, dacché proprio le linee fondamentali dell'ordinamento, s abilite in via preliminare, limitano fortemente la portata di ogni ulteriore intervento.

I tempi della riforma

L'art. 1 del disegno di legge, discusso ed emendato in Commissione nello scorso autunno, prevedeva - applicando nel modo più restrittivo il disposto della L. 400 (23.8.88) - un solo anno di tempo dall'approvazione della legge all'emanazione dei decreti istitutivi della scuola riformata.
Se si considera che ad otto mesi dall'entrata in vigore della legge già devono essere predisposti gli schemi dei decreti legislativi e che a questo periodo debbono essere sottratti i due mesi occorrenti all'istituzione di un operante Consiglio nazionale delle arti - al quale si assegna un ruolo consultivo di primaria rilevanza - i tempi effettivi per la definizione della riforma si riducono nella migliore delle ipotesi a sei mesi.
Periodo sconsideratamente breve quando si pensi che alla commissione Brocca sono occorsi anni di lavoro per formulare non definitive ipotesi sulla riforma della scuola secondaria.

Proposte operative

Si dice che un credibile interlocutore degli organi istituzionali - quale aspira ad essere il Coordinamento Nazionale dei Comitati - debba esprimere posizioni omogenee e coerenti. Ma se questa condizione è auspicabile, non si deve però considerare essenziale, dacché è ovvio che tanto maggiore è la rappresentatività dei Comitati, tanto più numerose diventano le istanze e gli orientamenti dei quali si deve tener conto. Se, viceversa, si vuol fare dell'unitarietà d'indirizzo uno stato irrinunciabile, diventa inevi abile che le diverse posizioni programmatiche ispirino molteplici realtà associative, con conseguente indebolimento del già fragile schieramento delle forze in campo.

Del resto a nulla gioverebbe sacrificare l'unità delle forze a vantaggio di proposta unitaria, se restassero immutati tempi e modalità di attuazione della riforma definite dalla legge delega. Perché ben poco spazio di discussione e di confronto si offrirebbe alle rappresentanze di settore nel ristrettissimo tempo della decretazione. E, ancora, perché un ventaglio di proposte formulate da un eventuale fronte non omogeneo legittimerebbe l'inappellabile arbitrato di un incontrollabile Consiglio nazionale delle arti o, peggio, di burocrati governativi.

Per evitare l'esclusione delle rappresentanze di settore dall'elaborazione della riforma occorre dunque aggregare il fronte più ampio a sostegno della sola richiesta che non precluda ulteriori scelte e più meditate iniziative :adozione di tempi effettivamente adeguati allo studio ed alla definizione del progetto ed ampia rielaborazione del testo di legge per un più organico, concreto e finalizzato piano di riforma dell'istruzione musicale, in cui siano delegati alla decretazione governativa soltanto gli indispensabili adempimenti attuativi.