ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER L'ISTRUZIONEMUSICALE
Il 19 gennaio scorso, concludendo così un
iter durato diversi anni, è diventata legge dello stato
Italiano la «Riforma dei Conservatori» sulla quale si
puntavano le aspettative di tutto il mondo musicale italiano.
Il testo definitivo approvato
è la riproposizione quasi letterale del testo licenziato
dalla Commissione
Cultura del Senato, dopo che in un primo tempo esso era stato
respinto dalla Commissione stessa per riportare la discussione
sull'originario progetto di legge 2881 (il cosiddetto
«Sbarbati»).
Gli emendamenti votati hanno però cancellato quasi del
tutto il testo «Sbarbati», riportando il testo alla
versione proposta dalla Commissione Cultura del Senato, che
accoglieva gran parte delle richieste presentate dai vari organismi
rappresentativi del mondo musicale nel corso delle audizioni
davanti alla Commissione stessa.
La legge è stata approvata all'unanimità: e questo la dice lunga sulla serietà degli intenti di chi l'ha votata, dal momento che nessuna legge della Repubblica Italiana è stata mai approvata senza neanche un voto contrario o un'astensione; evidentemente si è valutato che questa riforma non andrà a toccare nessun interesse meritevole di attenzione: per dirla con Rousseau, si cambia tutto per non cambiare niente.
Va dato atto alla forza che più di tutti ha sostenuto la necessità e l'urgenza di arrivare ad una legge di riforma (l'UNAMS) di aver mantenuto fino alla fine un atteggiamento di coerenza: così come fino a un anno fa invitava tutti ad astenersi dal presentare ulteriori richieste di modifica, per non rallentare l'approvazione della Legge, dimostrando di preferire una legge comunque, anche a prescindere dai dettagli del suo contenuto, così ha accettato senza alcuna critica (anzi, con una accoglienza entusiastica) la approvazione di un testo completamente diverso da quello «Sbarbati» per tanto tempo indicato come unica soluzione possibile al problema della riforma dei Conservatori, e anzi assai più simile a quel testo «Satriani», in un primo tempo tanto denigrato.
Ricordiamo soltanto i punti salienti.
Il disegno di Legge 2881 faceva confluire le Accademie nazionali di danza, l'Accademia nazionale di arte drammatica, gli ISIA e i Conservatori di musica in un un'unico organismo (l'ISDA); il testo definitivo approvato (come il Satriani) tiene separate le Accademie di arte drammatica e gli ISIA da Conservatori e Accademie di danza, che sono trasformate in «Istituti superiori di studi coreutici e musicali»: cosa questa della quale non possiamo che essere soddisfatti (corrisponde infatti alla linea da noi sempre sostenuta della «atipicità» degli studi musicali, e della loro non assimilabilità ad altri tipi di studi, ad eccezione di quelli coreutici che in comune con quelli musicali hanno il fatto di essere arti che richiedono un «uso tecnico del corpo» - vedi le «Otto premesse dell'ANIMUS alla riforma dei Conservatori di musica», punto 2.2).
Il 2881 non prendeva per nulla in considerazione il percorso di formazione del musicista fino alla maturità, rimandandolo alla riforma dei cicli scolastici (la quale, nel frattempo, è stata approvata, e non prevede alcun tipo di percorso di formazione musicale); il testo definitivo riconosce invece la funzione centrale dei Conservatori in tutta la formazione del musicista, mantenendo, sia pure in forma transitoria «fino alla data di entrata in vigore di specifiche norme», al Conservatorio il compito di attivare «corsi di formazione musicale di base»; e anche di questo non possiamo che rallegrarci, dal momento che rappresenta l'accoglimento pressochè testuale delle nostre richieste di sempre («Otto premesse», punto 8.2).
Il testo definitivo, sempre mutuandolo dal
disegno «Satriani», introduce il carattere a tempo
determinato dei contratti di insegnamento da conferire per i futuri
corsi «universitari»: e di questo non possiamo
rallegrarci affatto.
Si parla di contratti «di durata non superiore al
quinquennio, rinnovabili», il che è già meglio
della precedente versione che parlava di contratti annuali, ma
è comunque a nostro avviso ancora troppo riduttivo: viene
infatti sancita la scomparsa di una categoria intera di musicisti,
quella degli insegnanti di professione che si dedicano alla
didattica per scelta e conseguentemente abbandonano altre possibili
forme di espressione delle loro competenze artistiche.
E' vero che la possibilità del rinnovo potrebbe dar luogo ad
uno dei tipici sistemi «all'italiana» di soluzione dei
problemi: contratti a tempo determinato che vengono regolarmente
rinnovati fino a diventare di fatto a tempo indeterminato.
In ogni caso, se è vero che la garanzia della propria
inamovibilità può col tempo affievolire le
motivazioni di un insegnante e portarlo a svolgere un lavoro di
mera routine, è anche vero che un minimo di
progettualità e di sperimentazione può realizzarsi
solo se si ha davanti un respiro sufficientemente ampio.
Per una sperimentazione didattica in campo musicale, dati i tempi
di apprendimento e di verifica caratteristici delle nostre
discipline, cinque anni sono pochi; e pochissimi sono se
pensiamo ai compiti di «ricerca nel settore artistico e
musicale e ... correlate attività di produzione» che i
docenti saranno chiamati a svolgere.
La precarietà potrebbe indurre a non tentare nemmeno di
intraprendere progetti (ad esempio, la creazione di complessi
stabili, cameristici, orchestrali o corali) i cui risultati si
vedrebbero solo dopo molto più di cinque anni.
La riforma di Conservatori, per la prima volta, parte invece dal tentativo di adeguare una realtà, che di fatto si è modificata nel tempo molto più di quanto non dicano i programmi ufficiali, rimasti fermi al 1930, a una norma, quella dell'art. 33 della Costituzione, che risale a ben 52 anni fa, e che era già obsoleta al suo nascere (tant'è vero che, in effetti, l'idea di inserire i Conservatori fra gli Istituti di Alta Cultura, avanzata nei lavori preparatori della Costituzione stessa, era decaduta già nel testo definitivo, ed è stata rispolverata surrettiziamente da affermazioni incidentali comparse a latere di una legge finanziaria).
Al di là dei commenti più o meno ottimistici sulla approvazione definitiva della legge, che hanno contraddistinto la scena finora, senza che sia ancora iniziato un serio dibattito su cosa inserire all'interno della vuota cornice rappresentata da questa Riforma (dibattito che, in realtà, le maggiori forze impegnate non hanno mai affrontato) cerchiamo di delineare quale sarà il quadro futuro del sistema della formazione musicale in Italia, dal duplice punto di vista di chi ci lavora (gli insegnanti) e di chi ne è utente (gli studenti).
Dal punto di vista degli insegnanti attualmente in servizio di ruolo presso i Conservatori, non succederà praticamente nulla: tutti noi manterremo le «funzioni e il trattamento complessivo in godimento»: in parole povere continueremo a insegnare e continueremo a ricevere lo stipendio che già riceviamo, congelati in un ruolo ad esaurimento dal quale nessuno ci toglierà e nel quale più nessuno potrà entrare dopo di noi, tranne coloro che sono inclusi nelle graduatorie nazionali, che diventano anch'esse ad esaurimento, ma dalle quali si può ancora attingere per «la copertura dei posti in organico che si rendono disponibili».
Non si sa nulla di quale sarà il nostro
trattamento giuridico: sarà evidentemente da ridefinire in
sede contrattuale, e qui si possono fare soltanto delle ipotesi: il
nostro orario di servizio, per esempio, sarà assimilato a
quello degli universitari?
Svolgendo quindi anche noi le lezioni in tre giorni alla settimana
(anzichè in due come adesso)?
Avremo il monte ore annuale di un docente universitario (250 ore
all'anno di didattica)?
Avremo ancora il permesso per motivi artistici fruibile non
più di tre volte durante un anno, o passeremo al regime
dell'anno sabbatico (un anno intero di permesso ogni sei: con quali
conseguenze per chi svolge una attività concertistica, dal
momento che fare due o tre tournées di concerti di breve
durata ogni anno è cosa assai diversa dal poterne fare solo
una ogni sei anni, anche se di durata sei volte maggiore)?
O un forma mista di fruizione distribuita o cumulabile?
Le risposte a queste domande verranno solo,
crediamo, dalla sede della trattativa contrattuale, e dai rapporti
di forza che al quel momento si instaureranno fra le organizzazioni
rappresentative della nostra categoria e quelle rappresentative dei
docenti universitari (non mi sentirei di essere ottimista in
merito, ma ogni ipotesi è prematura).
Nulla si può ipotizzare riguardo a quello che sarà il
contenuto specifico del nostro insegnamento: posto infatti che
tutti i percorsi formativi andranno ridisegnati, e che tutti i
programmi dei corsi e degli esami dovranno essere riscritti, anche
tutte le nostre competenze andranno ricollocate.
E' infatti impensabile, ad esempio, che continuino ad esistere
materie come 'Teoria e Solfeggio' o 'Pianoforte complementare', che
si ricollocheranno su livelli e con obiettivi diversi: e a quel
punto potrà essere necessario un riaccertamento delle
competenze dei docenti, al fine di assegnare ciascuno al nuovo
corso corrispondente a quello della cattedra «ad
esaurimento» ricoperta, un po' sulla falsariga di quanto sta
già avvenendo da qualche anno con i «passaggi di
cattedra» sulla base di una ripresentazione dei titoli.
Per non parlare poi delle cattedre che scompariranno per ragioni
numeriche: è ovvio infatti che, potendo a regime accedere ai
corsi di Consevatorio solo chi è già in possesso del
Diploma di Maturità, cattedre come quelle di arpa o di
fagotto non potranno essere mantenute attive in ogni Conservatorio
per mancanza di un numero sufficiente di iscritti; addirittura
cattedre come quella di Esercitazioni Orchestrali non potranno
essere mantenute, se non forse nei cinque o sei Conservatori di
più grandi dimensioni.
E questo porrà non pochi problemi.
Cerchiamo ora di porci dal punto di vista degli
studenti.
Qual è lo studente tipo che si iscrive al Conservatorio?
Non sono ancora disponibili dati strutturati, anche per gli
ostacoli talvolta pesanti frapposti a chi negli anni scorsi ha
tentato di avviare serie ricerche in tal senso da parte di un
sindacato che, chissà perchè, non voleva
assolutamente che si ragionasse seriamente sulla funzione che i
Conservatori hanno realmente svolto, al di là delle vaghe
affermazioni di principio contenute nei lavori preparatori della
Costituzione.
(Quando una studentessa della Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università di Torino ha intrapreso un lavoro di ricerca sui Conservatori
ed ha iniziato a distribuire dei questionari nel Conservatorio di
Torino - naturalmente col consenso del Direttore - per dare una
risposta scientificamente attendibile a queste domande, è
stata bloccata da un
fax firmato dalla Prof.ssa Dora Liguori, Segretario Generale
Unione Artisti-UNAMS, che diffidava il Direttore stesso dal dare
collaborazione a questa iniziativa e soltanto l'intervento dell'ANIMUS ha
consentito la prosecuzione della tesi - anzi, il suo potenziamento
- con l'estensione delle indagini al Conservatorio di
Parma).
Qual è la domanda alla quale i
Conservatori hanno finora dato una risposta?
Sulla base dell'esperienza potremmo dire che è quella del
ragazzino di età compresa fra gli otto e i quattordici anni,
che dimostra interesse o attitudini per la musica, che desidera
esprimerle suonando uno strumento, e che si rivolge alla struttura
statale (il Conservatorio, finora l'unica esistente) per avere una
valutazione delle sue potenzialità e una istruzione la
più seria possibile (fondata sulla fiducia che in una scuola
statale insegni comunque un docente che ha dovuto superare delle
griglie di reclutamento, e quindi ha dovuto dimostrare di essere
idoneo a farlo), e a costo pressochè nullo.
Questo utente medio sarà escluso dall'accesso al
Conservatorio, una volta a regime la riforma e approvate le
«specifiche norme di riordino del settore» che porranno
termine ai corsi di formazione di base da istituirsi in via
transitoria.
Dove potrà andare per imparare a suonare il violino, o il
pianoforte, o l'arpa, o il flauto? Non certo presso le Scuole Medie
ad indirizzo musicale, che dopo essere state per quasi trent'anni
sperimentali, oggi diventano definitive e al tempo stesso vengono
definitivamente cancellate dalla riforma dei cicli, scomparendo
addirittura come ordine di scuola.
Dovrà tornare a rivolgersi alla lezione privata, come il
ragazzino di buona famiglia di un centinaio di anni fa?
L'unica scappatoia pare consentita dalla «facoltà di
attivare ... corsi ... disciplinati in modo da consentirne la
frequenza agli alunni iscritti alla scuola media (quale, se con la
riforma dei cicli questa scomparirà?) e alla scuola
secondaria superiore»: cioè dall'ultimo elemento
«secondarizzante» rimasto nei Conservatori, che
permetterebbe allo studente di avere un'istruzione musicale di
livello professionale in parallelo con la cultura generale che deve
acquisire in una scuola ordinaria.
(Per inciso: il testo citato dall'art. 2 c. 8 sub d), come quello
sub g), è la trasposizione pressoché letterale di un
nostro emendamento presentato alla Commissione Cultura del
Senato).
Arrivato alla maturità, e cioè (con la riforma dei
cicli) all'età di diciassette anni, lo studente potrà
iscriversi finalmente a tutti gli effetti al Conservatorio:
inizierà cioè gli studi professionali pressappoco
all'età in cui oggi li termina.
E' evidente che i musicisti più dotati non staranno ad
aspettare la fatidica età, ponendo un freno ai loro studi,
ma porteranno avanti ugualmente la loro formazione, magari presso
una delle solite 'accademie' private (che così riceveranno
dalla riforma un bel regalo in termini di iscrizioni) o addirittura
all'estero.
Con un piccolo, ma significativo problema: come la metteremo con il
principio della reciprocità dei riconoscimento dei crediti
formativi all'interno dell'Unione Europea, se un italiano
potrà tranquillamente iscriversi ad una Accademia (si chiami
essa Hochscule o Conservatoire supérieur)
estera senza dimostrare altro che le proprie capacità con un
esame di ammissione, mentre il cittadino tedesco o francese si
vedrà rifiutata l'ammissione all'istituto superiore Italiano
se non ha un «diploma di maturità»?
Certamente anche a questo si dovrà dare una soluzione in
sede di regolamenti attuativi.
Un ultimo punto di vista è quello degli
studenti già diplomati o attualmente frequentanti secondo il
vecchio ordinamento: per i già diplomati il destino è
abbastanza chiaro: entro il 19 gennaio 2003 potranno (purché
in possesso di una maturità) iscriversi a «corsi
integrativi della durata minima di un anno, al fine del
conseguimento dei diplomi accademici».
E gli attuali studenti, che si sono iscritti a un certo tipo di
scuola e se la vedono scomparire sotto i piedi (problema non
marginale, data la lunghezza degli studi musicali come li abbiamo
intesi finora, per cui la maggior parte degli attuali studenti ha
davanti ancora molti anni di permanenza nell'istituzione)?
C'è forse qualche motivo di ripensamento per chi - Direttori
e Collegi Docenti - ha deciso di abbandonare - o non ha mai
imboccato - la strada dei quinquenni sperimentali: gli studenti dei
Conservatori che non hanno un quinquennio sperimentale risultano
infatti oggi fortemene penalizzati, dovendo sobbarcarsi una doppia
scolarità per ottenere un titolo spendibile alle stesse
condizioni dei loro colleghi che hanno la fortuna di studiare in un
Conservatorio il cui Collegio Docenti, più lungimirante,
abbia ottenuto e mantenuto nel tempo, pur con molti problemi e
perplessità, il quinquennio sperimentale.
Un'ultima domanda, un pò capziosa: a quale
fine il titolo conseguito nel Conservatorio riformato sarà
equiparato a un titolo universitario?
Non certo per esercitare una professione attinente alla musica
pratica: l'Italia è infatti l'ultimo paese al mondo nel
quale sia richiesto il «Diploma» per accedere ad un
concorso per Professore d'Orchestra o Artista di Coro; e anche
questa limitazione dovrà cadere in prospettiva di
unificazione europea, per il principio della reciprocità
(tra l'altro, per nessuna professione saranno più richiesti
i titoli di studio, in conseguenza della abolizione degli ordini
professionali).
Una risposta arriva dall'art. 2 c. 5 della legge di riforma: i
titoli saranno dichiarati equipollenti «al fine esclusivo
dell'ammissione ai pubblici concorsi per l'accesso alle qualifiche
funzionali del pubblico impiego per le quali ne è prescritto
il possesso».
Dieci anni di esercizi sul violino per poter accedere a un concorso
per Commissario di Polizia o di Dirigente di un Ufficio
Postale?
Tutta la (fragile) impalcatura costruita dalla riforma
finirà col servire solo a coloro che finora hanno
rappresentato un'eccezione, cioè a quegli studenti che
nonostante anni e anni di applicazione non riescono a trovare una
collocazione in campo musicale?
Anche sotto questo aspetto, una riforma del sistema dell'istruzione musicale in Italia è ancora molto lontana.
Torino, 21 marzo 2000.