ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER L'ISTRUZIONE MUSICALE
IL 24 settembre scorso è stato presentato alla
7a Commissione (istruzione) del Senato un nuovo disegno
di legge di Riforma dei Conservatori e delle Accademie
di Belle arti.
Il nuovo testo, presentato dal relatore sen. Lombardi
Satriani, è il frutto, come si legge nell'introduzione
del relatore stesso, di una "ampia e complessa
attività di ricognizione e audizione svolta
dal Comitato ristretto", e tiene conto delle innumerevoli
proposte di modifica al testo licenziato dalla Camera
presentate da pressoché tutte le rappresentanze
del mondo della cultura musicale ascoltate da quel
Comitato.
Non possiamo che sottolineare con soddisfazione che
le proposte presentate dalla delegazione ANIMUS in
quella sede (vedi testo infra) sono state pienamente
accolte, segno che la nostra linea propositiva e non
sterilmente rivendicativa come quella di altre organizzazioni
sindacali è risultata vincente.
Le novità rispetto al testo sul quale era iniziato
il dibattito (il disegno di legge n. 2881) si possono
riassumere in due punti di rilevanza sostanziale: il
trattamento separato di Accademie di belle arti, Accademia
nazionale di arte drammatica e Istituti superiori delle
industrie artistiche, da una parte, e Conservatori
di musica e Accademie di danza, dall'altra; e il mantenimento
ai Conservatori delle competenze anche relativa alla
formazione musicale di base.
La differenziazione di trattamento riservata ai due
gruppi di istituzioni è motivata "dall'intento
di salvaguardia delle specificità proprie delle
diverse istituzioni"; non possiamo che rallegrarci
del fatto che sia stato finalmente capito ciò
che noi sosteniamo da sempre (e, con noi, la stragrande
maggioranza del mondo della musica e della cultura):
e cioè che l' istruzione artistica è
atipica, non è assimilabile a nessun altra tipologia
scolastica, né secondaria né universitaria,
e che all'interno dell'istruzione artistica quella
musicale ha connotazioni sue proprie che richiedono
un trattamento specifico.
Non possiamo che rallegrarci che sia stato finalmente
capito che musica e danza possono essere assimilate
fra di loro, con un ordinamento che le accomuna, perché
sono le arti che si fanno con il corpo, e questo le
differenzia dalle altre attività di natura ugualmente
artistica, ma soggette a tempi e modi di apprendimento
diversi.
Dall'accoglimento di questa tesi discende naturalmente
anche il secondo punto, cioè la necessità
da noi sempre sostenuta (e con noi, lo ripeto, la grande
maggioranza del mondo della musica e della cultura)
che una scuola di musica si occupi anche della formazione
di base.
Entrando più nello specifico del nuovo disegno
di legge, i Conservatori di musica e gli Istituti musicali
pareggiati (art. 3 c.1) sono riordinati in "istituti
superiori di studi coreutici e musicali di livello
universitario a ordinamento speciale"; esse sono
dotati di "personalità giuridica, godono
di autonomia didattica, scientifica, statutaria e regolamentare,
nonché di autonomia organizzativa e finanziaria"
(art. 2 c.1, richiamato dall'art. 3 c. 1).
L'obiettivo della tanto desiderata autonomia viene raggiunto
senza pregiudizio delle caratteristiche proprie dei
Conservatori, rinunciando ad una insostenibile equiparazione
tout court all'università, ma semplicemente
istituendo un comparto universitario a ordinamento
speciale, dimostrando che era perfettamente praticabile
l'ipotesi, da noi sempre sostenuta, di una salvaguardia
della atipicità degli studi musicali pur nell'ambito
di un ordinamento che conducesse ad un titolo di studio
di grado universitario.
Sulla base di regolamenti didattici autonomamente deliberati
saranno disciplinati i corsi di studio, gli insegnamenti
e quant'altro attinente direttamente alla didattica
(art. 4 c.2); saranno inoltre disciplinati i corsi
di formazione di base (art. 3 c. 3), in parallelo
e in modo compatibile con l'istruzione ordinaria impartita
nella scuola media e secondaria superiore, secondo
il sistema già in vigore (quello, cioè,
che l'esperienza ha dimostrato essere il migliore).
Sempre secondo l'art. 3 c. 3, l'accesso agli studi musicali
superiori "di norma richiede il possesso del diploma
di istruzione secondaria superiore": è
cioè garantita per gli studenti di Conservatorio
la possibilità di ottenere un titolo finale
di grado universitario, alla condizione che sia preventivamente
conseguito il titolo che sarebbe richiesto per l'accesso
all'università.
Questa soluzione ci sembra di gran lunga preferibile
a quanto sarebbe risultato dal precedente disegno di
legge n. 2881, secondo il quale sarebbe scomparsa addirittura
la possibilità di iniziare gli studi musicali
professionali senza un diploma di maturità;
cosa questa in contrasto con la storia, la realtà
delle professioni musicali (il possesso di una laurea
non è richiesto per l'esercizio di nessuna professione
inerente alla musica, fuorché per quella di
insegnante nella scuola ordinaria, e in nessun paese
europeo) e l'esperienza di chi, praticando l'insegnamento
della musica, sa che la formazione professionale di
un musicista è vicina a concludersi a quell'età
alla quale la "legge Sbarbati" avrebbe voluto
farla cominciare.
Dal punto di vista del trattamento riservato agli attuali
docenti di Conservatorio, il "personale docente
di ruolo...è inquadrato in appositi ruoli ad
esaurimento presso l'istituzione di appartenenza".
È sostanzialmente lo stesso trattamento riservato
al personale già in servizio dal testo precedente,
con due significativi miglioramenti: il primo, che
il personale già in ruolo non dovrà essere
"sottoposto a verifiche" come prevedeva l'art.
8 c.3 del d.d.l. n. 2881 (logica conseguenza della
nuova impostazione, nella quale potranno trovare posto
tutti gli attuali docenti, al contrario di quanto sarebbe
accaduto con quella vecchia, che avrebbe portato con
sé la decimazione del corpo docente come ovvia
conseguenza della riduzione dei Conservatori alla sola
fascia superiore degli studi, cfr. M. Uberti, "La
riforma e le cifre"); il secondo, che tale personale avrà
una autonoma area di contrattazione nel "comparto
del personale universitario" (art. 6 c. 4: il
personale in servizio entra dunquetutto e subito nel
grado universitario, mentre nella precedente formulazione
il personale attualmente in servizio avrebbe mantenuto
per cinque anni l'attuale trattamento economico, e
per la parte giuridica una apposita area di contrattazione,
"con riferimento" al comparto universitario,
ma non necessariamente al suo interno).
Una grossa novità è contenuta nella previsione
del reclutamento di eventuale nuovo personale: questo
avverrà mediante "contratti di diritto
privato di durata annuale o pluriennale, rinnovabili"
(art. 6 c. 1).
Questo sancirebbe la definitiva scomparsa della figura
del docente "di ruolo": d'altra parte questo
sta già avvenendo nell'università (quasi
tutti i nuovi insegnamenti sono conferiti mediante
contratti a tempo determinato) e in tutto il pubblico
impiego (il personale non è più "in
ruolo", bensì "a tempo indeterminato",
il che è sottilmente ma significativamente diverso).
Non possiamo essere d'accordo con questa evoluzione,
che porterà sicuramente maggiore insicurezza
nel corpo docente, ma non necessariamente aumento di
qualità; d'altra parte, questo non è
che una conseguenza della rinuncia da parte dello Stato
a gestire i servizi pubblici al di fuori delle leggi
di mercato, e, che ci piaccia o no, è la tendenza
prevalente in questo momento.
Tuttavia, nonostante la riserva su espressa il nuovo disegno di legge ci sembra
di gran lunga preferibile al precedente, e ci conforta
vedere che finalmente è stato dato ascolto a
quella parte del mondo della musica che ha sempre avuto
a cuore più il futuro dell' istruzione musicale
che la propria posizione professionale (e le due cose,
come abbiamo osservato sopra, possono benissimo essere
compatibili).
Ci preoccupa invece vedere che già nella riunione
del 29 settembre, nella VII Commissione del Senato
si cerchi di affossare questo tentativo e di riproporre
come testo base il d.d.l. n. 2881, già bocciato
da quasi tutti i rappresentanti del mondo della musica
ascoltati presso la Commissione stessa.
E non ci stupisce che la richiesta di tornare al testo
precedente (sen. Marri di AN) venga da quella stessa parte politica che, nella riunione del 31 luglio 1996 della VII Commissione della Camera aveva chiesto (sen. Angela
Napoli) di proseguire i lavori in comitato ristretto sulla
base della considerazione che una parte degli operatori
del settore aveva manifestato perplessità e
"quindi" era necessario "varare il testo
in tempi brevi, evitando inoltre il ricorso ad audizioni"
(sic!).
Le audizioni, fortunatamente, ci sono state, e il loro
esito ha dato vita al nuovo disegno legislativo: non
ci resta che sperare che i lavori della Commissione
cultura del Senato continuino sulla via indicata dalla
stragrande maggioranza dei musicisti.
Marco Ferrari
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