A.N.I.Mus., "Lo stato attuale dei Conservatori di musica".

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PER L'ISTRUZIONE MUSICALE


DOCUMENTO DESCRITTIVO
DELLO STATO ATTUALE
DEI CONSERVATORI DI MUSICA ITALIANI


Il documento che segue è stato inviato in data 25 febbraio 1997 a tutti i quarantasette Membri della VII Commissione Permanente (Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei Deputati.
Esso, unito alle "Otto premesse dell'A.N.I.Mus. alla riforma dei Conservatori di musica", affisse in questo sito fin dall'estate scorsa, era allegato ad una lettera di accompagnamento che viene parimenti pubblicata.

1. Premessa.

I Conservatori di musica sono, dal punto di vista legislativo, l'ordine scolastico italiano più arretrato. Non solo la loro struttura e i loro programmi di studio sono fermi rispettivamente al 1918 (D.L.Lgt. 5 maggio 1918, n. 1852 Regolamento generale sugli istituti di belle arti, di musica e d'arte drammatica) e al 1930 (R.D. 11 dicembre 1930, n. 1170 Norme per l'ordinamento dell'istruzione musicale ed approvazione dei nuovi programmi di esame), ma persino il poco di ammodernamento che si sarebbe potuto dare loro per mezzo dei cosiddetti "Decreti delegati" (D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416 Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica) fu evitato stralciandoli da quella legge (art 40).
In Parlamento si è tentato vanamente di giungere ad una riforma dei Conservatori attraverso una lunga serie di progetti di legge, dei quali il primo, a firma del Ministro Gui, fu presentato al Senato nel 1964 mentre l'ultimo è stato quello della Commissione Cultura della Camera nella XII Legislatura, noto come "Testo unificato" e ripreso dalla attuale XIII.
Se, da un lato, grazie a questo "Testo", i Conservatori italiani sembrerebbero finalmente vicini ad un aggiornamento, dall'altro i musicisti pensosi del futuro della musica italiana e non soltanto della propria carriera lo vedono con preoccupazione in quanto esso è inficiato da una grave omissione a monte: si tratta cioè di un vestito tagliato senza che siano state prese le misure al cliente. Non solo, ma senza nemmeno aver individuato il cliente stesso.
Il discorso che segue è inteso a fornire l'immagine più obiettiva possibile dello stato attuale dell'insegnamento musicale professionale in Italia. Quello attuale, si ribadisce e non quello che dovrebbe essere. In questa prospettiva vanno quindi letti i capitoli che seguono.

2. La "dignità" della musica nella società italiana.

Il problema della riforma dei conservatori rischia di avere soluzioni errate per un pregiudizio culturale che sta a monte della sua impostazione. Ogni cultura "cultura" nel senso antropologico del termine colloca le diverse forme dell'attività umana in scale di "dignità" che non corrispondono tanto a valori reali quanto a quelli che vengono loro attribuiti. In base a questa scala si forma poi un "protocollo delle precedenze", che finisce col determinare squilibri anche nelle educazioni scolastiche. Nel caso della nostra scuola, fra gli squilibri c'è pure da annoverare l'analfabetismo musicale in cui, sostanzialmente, essa ha lasciato finora il cittadino e a causa del quale oggi in Italia la musica occupa l'ultimo gradino della scala delle "dignità" culturali.
La musica è stata in passato una componente fondamentale della nostra cultura; basti ricordare che, assieme alla matematica, alla geometria e all'astronomia, essa faceva parte delle "arti del quadrivio".
In epoca rinascimentale e barocca, far musica fu una delle principali occupazioni attive, sia pure di intrattenimento, della società patrizia. Quando, però, con la nascita del melodramma e l'apertura dei teatri al pubblico pagante la fruizione passiva della musica come spettacolo incominciò a prevalere sulla sua pratica attiva, un'attività squisitamente aristocratica finì col tingersi, nell'opinione comune, di una connotazione un po' circense.
Nei paesi protestanti, dove il canto e il suono dell'organo sono parte integrante del rito, la musica è tenuta in ben altro conto grazie alla dignità che le viene riconosciuta anche fuori della chiesa.
Enrico Fubini (Estetica della musica, Bologna, il Mulino, 1995) attribuisce la colpa della scarsa valutazione sociale della musica presso di noi al fatto che si suona con le mani e che la nostra cultura tiene per vile la manualità. Forse anche questo è vero: pure la chirurgia è un'attività manuale e, infatti, nei concorsi a cattedre universitarie si tiene conto delle pubblicazioni e non delle percentuali dei decessi.
Tutto questo è stato ed è determinante nel formare l'atteggiamento della società in generale e del mondo della cultura in particolare verso una delle espressioni umane fondamentali, nella quale confluiscono e si manifestano tutte le possibili componenti sociali e culturali. Per tenere il discorso ad un livello elementare si osservi come non si riesca nemmeno a pubblicizzare un detersivo senza il potere persuasivo della musica.
Connotazioni a parte, nei secoli d'oro della cultura italiana la musica ne fu uno dei maggiori veicoli in Europa e ancora oggi essa costituisce una delle nostre immagini positive all'estero. Questo, tuttavia, non è finora bastato per tornare a farle riconoscere quella dignità che, bene o male, è stata riconosciuta alle arti figurative; i programmi dei nostri licei, per esempio, concedono spazio alla storia dell'arte ma non a quella della musica.

3. La musica si fa con il corpo.

Fra le incomprensioni che viziano l'impostazione del problema della riforma dei conservatori c'è la mancata consapevolezza del fatto che la musica si fa con il corpo. Meglio: che per cantare e suonare si fa un uso tecnico del corpo a fini espressivi e che il corpo ha tempi e metodi di apprendimento diversi dalla mente.

3.1. Incompressibilità dei tempi di studio.

Il corpo ha tempi di apprendimento che non sono compressibili e i tentativi di forzarli hanno sovente conseguenze patologiche. Esempio banale: è possibile fare la grande studiata di procedura penale o di botanica sistematica, ma in conservatorio le grandi studiate si traducono in tendiniti.

3.2. Necessità di esercizio continuo.

La memoria muscolare, componente fondamentale dell'espressione vocale e strumentale, abbisogna di esercizio più di quella mentale. Il problema è comune a tutte le attività di alto livello, delle quali sia componente determinante la manualità: pittori, restauratori, liutai, ma anche, per esempio, chirurghi e istologi. Di conseguenza il musicista non può permettersi interruzioni della sua attività strumentale e pertanto mutuare dall'Università, per esempio, l'articolazione in semestri nel progettare gli studi musicali sarebbe grave incongruenza.

3.3. Precocità della scelta specialistica.

I tempi e le modalità dei processi di apprendimento del corpo fanno sì che il curriculum studiorum del musicista debba incominciare comunque con la scelta specialistica di uno strumento, tanto migliore quanto più precoce. Saranno gli sviluppi successivi a stabilire se la sua professione musicale sarà proprio quella dell'esecutore, ma dilazionare le scelte equivarrebbe a precludergli in partenza questa possibilità.

3.4. Individualità dell'insegnamento musicale.

L'uso tecnico del corpo implica che la formazione del cantante e dello strumentista ma è impossibile praticare seriamente una qualsiasi professione musicale senza la capacità di esprimersi anche per mezzo di uno strumento richieda cure individuali, rivolte all'educazione coordinata del corpo e della mente; non è fuori luogo dire che la formazione di un musicista ha molto in comune con quella dell'atleta, che abbisogna di essere guidato da un allenatore.
Il fatto, unito alle già accennate modalità di apprendimento del corpo, ha come conseguenza che l'insegnamento del canto e degli strumenti ma, per equivalenti motivi, anche della composizione si realizza per mezzo di lezioni individuali relativamente brevi, nelle quali si impostano e si controllano lunghe ore di studio altrettanto individuale; e a proposito dell'influenza delle leggi del corpo sulla didattica, si vedano per contrasto i modi dell'insegnamento nell'Accademia di Belle Arti, dove gli allievi pittori studiano riuniti a lungo in un unico grande laboratorio mentre le loro lente pennellate vengono seguite e corrette da un insegnante che circola dall'uno all'altro.

4. Assenza di una fase propedeutica negli studi musicali professionali.

Nell'ambito dell'istruzione ordinaria è riconosciuto che il curriculum studiorum deve incominciare con una fase propedeutica, svilupparsi in una fascia comune e concludersi con una specialistica, universitaria. Nell'ambito dell'istruzione musicale professionale, invece, l'allievo viene necessariamente ed immediatamente introdotto in medias res in quanto la formazione di un musicista professionista abbisogna di radici profonde e non ammette dilazioni al suo inizio. Non bisogna infatti confondere la propedeutica alla musica intesa come una delle componenti culturali della persona con la propedeutica alla professione musicale; l'apprendimento professionale della musica, infatti, è molto simile a quello del nuoto: per imparare a nuotare bisogna andare dove non si tocca e li o si nuota o si affoga. Sguazzare dove si tocca è certamente utile a prendere confidenza con l'acqua, ma non è propedeutico al nuoto.
L'allievo di conservatorio viene quindi iscritto "in prova" e, a seconda delle sue doti musicali, l'anno seguente può essere dimesso, confermato in un secondo anno di prova, iscritto al primo anno di corso o, se è il caso, promosso addirittura al secondo. E' significativo che i maggiori compositori di tutti i tempi si siano preoccupati di scrivere per le fasi iniziali degli studi musicali, consapevoli del fatto che "i giovani vanno nutriti con midollo di leone".

5. Rapporto didattico fra maestro ed allievo.

Da sempre l'esigenza della cura integrata delle strutture fisiche e mentali del futuro musicista fa sì che lo studio della musica si svolga "a bottega", tendenzialmente con un unico maestro che accoglie l'allievo agli inizi della sua formazione e lo accompagna fino al termine della sua carriera scolastica.
Fattore determinante di questa relazione pedagogica è l'atteggiamento dell'allievo, che tende a stabilire con il proprio insegnante un rapporto fiduciario al quale difficilmente è disposto a rinunciare.
Attualmente questo rapporto preferenziale viene integrato con successive esperienze di approfondimento (il cosiddetto "perfezionamento").
Come ogni tipo di insegnamento, anche quello sinteticamente descritto ha vantaggi e svantaggi. Il rapporto di tipo parentale che viene quasi sempre a formarsi fra maestro ed allievo fa sì che l'insegnante, sentendo l'allievo come una proiezione di se stesso in modo non dissimile da quello in cui il padre sente il figlio tenda a trasfondere in lui il meglio di sé. Di converso è anche vero che l'esperienza musicale e di vita di una sola persona è meno varia e comunque meno ricca della somma delle esperienze e delle personalità di più insegnanti.
Soprattutto in fase di discussione della Riforma, questo tipo di rapporto ha tanto sostenitori che detrattori. Gli sono favorevoli i musicisti che hanno avuto la fortuna di avere come insegnante, non solo il grande artista, ma anche il maestro capace di creare forti e reciproci vincoli di affetto e di stima. Gli sono contrari quelli che altrettanto fortunati non sono stati e, inoltre, quelli che nel forte legame fra maestro ed allievo tendono a vedere piuttosto una sorta di plagio.

6. Il Conservatorio attuale.

Come detto all'inizio, il Conservatorio attuale rispecchia la società del periodo che va dal 1918 al 1930.
In tempi nei quali la scuola dell'obbligo era limitata alla quinta elementare, il futuro musicista riceveva un'istruzione superiore a quella comune in quanto, oltre alle materie strettamente musicali, trovava in conservatorio insegnamenti di lingua italiana e di storia della musica quando non di letteratura poetica e drammatica o, addirittura, di latino. Con tutto ciò, le famiglie consapevoli e in condizioni economiche di farlo facevano seguire ai figli, come fanno ancora oggi, la doppia scolarità del Conservatorio e di una scuola media superiore, seguita sovente dall'università.
Con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni, il vantaggio culturale del musicista è stato assorbito e, benché molti corsi di diploma siano addirittura decennali, la sua istruzione nell'area comune risulta inferiore a quella di una normale scuola professionale.
Dal punto di vista della preparazione professionale i programmi del Conservatorio rispondono alle esigenze lavorative dell'epoca citata, in cui i campi di attività musicale e le fonti di sussistenza per i musicisti erano rappresentate essenzialmente dallo spettacolo e dalla liturgia (organisti e direttori di coro).
I programmi preparano quindi al repertorio in uso in Italia nei primi decenni del secolo, che era e, ahinoi, è rimasto chiuso alle rivoluzioni del linguaggio musicale già allora in atto e tendeva come tende ancora a cristallizzarsi nei titoli di agevole comprensione da parte del largo pubblico; in un repertorio, cioè, che tende ad escludere una letteratura musicale che non rispecchi il "gusto" del momento. Un esempio per tutti: il programma dell'esame di "Quartetto", in vigore ancora oggi, prevede un "quartetto moderno fino a Brahms". L'ultimo quartetto scritto da Brahms è del 1876.
Se si deve però giudicare dai risultati professionali, ad onta di quanto è stato finora detto il nostro Conservatorio è uno dei migliori del mondo; se si considera infatti che i direttori stabili delle maggiori orchestre europee sono o sono stati italiani (Abbado, Muti, Sinopoli, ecc.) e che gli italiani figurano in primo piano nel panorama concertistico internazionale, si deve onestamente concludere che, almeno a livello di altissima specializzazione direttoriale e virtuosistica, la scuola musicale professionale italiana è un'ottima scuola.
Non altrettanto si può dire per quanto riguarda le nuove professioni musicali, i cui operatori il Conservatorio non è mai stato attrezzato per formare.

7. Le nuove professioni musicali.

A sessantasei anni dalla "approvazione dei nuovi programmi" del 1930, la professionalità musicale è profondamente cambiata.
Con il Concilio Vaticano II, che ha ridotto al minimo la funzione dell'organo solista nei riti dando spazio invece alle chitarre elettriche, è praticamente scomparsa, per esempio, la professione dell'organista liturgico; è nata invece quella dell'insegnante di Educazione musicale nella Scuola Media. Quando, nel 1962, con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a quattordici anni fu istituita anche questa materia, la sola categoria professionale in qualche modo adatta ad insegnarla, di cui disponesse la scuola italiana era costituita dai diplomati di conservatorio. Da quel momento l'insegnamento è diventato l'occasione di lavoro più consistente per i musicisti anche se essi studiano per operare essenzialmente nel campo dello spettacolo.
Lo sviluppo delle trasmissioni radiofoniche e televisive, così come quello dell'industria del disco, ha creato nuove professionalità musicali. Il regista del suono opera, mutatis mutandis, in modo analogo a quello del regista televisivo che adatta al piccolo schermo regie concepite per il palcoscenico ed il suo è lavoro che richiederebbe la competenza del direttore d'orchestra unita a quella del tecnico elettronico. Di fatto, siccome eccezion fatta per le rare cattedre di Musica elettronica il musicista non riceve in Conservatorio alcuna formazione del secondo tipo, nella maggior parte dei casi questa funzione è svolta da ingegneri e periti elettronici con risultati musicali facilmente immaginabili.
La pubblicità è un altro dei nuovi campi di lavoro musicali. Una grossa componente della persuasione pubblicitaria è affidata alla musica il cui problema principale è costituito dall'invenzione di colonne sonore capaci di creare atmosfere significative conciliando due esigenze antitetiche: la novità dell'invenzione con la facilità cioè la tradizionalità del linguaggio; ma la formazione del musicista tecnico della persuasione pubblicitaria è ancora lasciata all'iniziativa personale.
Si sta pure lentamente formando la consapevolezza del fatto che l'Italia è custode di più del 70% del patrimonio musicale occidentale sotto forma di partiture, ma la formazione della figura del conservatore di beni musicali è lasciata all'università. Non vi sarebbe niente di male se non fosse che non è possibile stabilire se la composizione di un manoscritto mancante del frontespizio è una "fuga" o un "ricercare" senza una preparazione da compositore e che per decidere delle precedenze fra partiture bisognose di restauro occorre lo stesso grado di preparazione necessario a un bibliotecario in campo letterario.
L'organizzazione musicale, che va dalla direzione artistica dei teatri d'opera alla promozione della cultura musicale, richiederebbe una preparazione da direttore d'orchestra integrata da competenze amministrative così come quella del direttore sanitario richiede una preparazione da medico integrata dallo stesso tipo di competenze.
Esiste infine tutta una serie di "nicchie professionali" musicali, troppo lunga per essere esposta in questa sede, in cui la musica è una componente di valore artistico apparentemente artigianale, ma sofisticatissima da altri punti di vista, la formazione dei cui operatori viene attualmente lasciata al bricolage personale.

8. La nuova figura dell'interprete musicale.

Ad onta della latitanza della scuola ufficiale, si è andata formando anche nella nostra società una cultura che concepisce la musica come occasione di conoscenza e non soltanto come fonte di "diletto". Il fatto è dovuto anzitutto ai musicisti che, ansiosi appunto di conoscenze, sono andati esplorando le letterature musicali di tutti i tempi e di tutti i paesi.
Il linguaggio musicale, però, è articolato in almeno tanti dialetti quante sono le culture nazionali mentre, come tutti i linguaggi, è in continua evoluzione. L'esecutore odierno ha quindi due possibilità: leggerli tutti secondo le "regole ortografiche" della propria lingua e del proprio tempo riducendoli cioè ad un'unica cifra o appropriarsi delle "pronunzie" e delle culture necessarie a restituirli nella loro realtà originale.
Tutte le arti che hanno una delle loro dimensioni nel tempo musica, teatro e danza abbisognano di interpreti e per tutte esiste il problema dei codici di comunicazione: quello, cioè, dell'accordo o del conflitto fra il linguaggio dell'autore e quello dell'interprete. Se l'autore e l'interprete fanno uso dello stesso codice di comunicazione, la comunicazione stessa e quindi la comprensibilità è massima; se l'esecutore "recita" il messaggio con "pronuncia" diversa da quella dell'autore, sia comunicazione che comprensibilità diminuiscono e subentra la noia.
La soluzione del problema è data dalle ricerche nell'ambito di quel variegatissimo fascio di discipline a carattere antropologico culturale, che costituiscono nel loro complesso la cosiddetta "prassi esecutiva": la ricognizione storica, cioè, dell'insieme di convenzioni insite nella comunicazione musicale così come di quelle verbali, mimiche, figurative, sociali, ecc. che intervengono nella stessa.
La prassi esecutiva della musica è una disciplina musicologica nata dalle esigenze artistiche di interpreti insoddisfatti del modo a-storico, proprio del Conservatorio tradizionale, di leggere qualsiasi musica attraverso la griglia del gusto attuale con un'approccio interpretativo di tipo "gastronomico" mi piace, non mi piace simile a quello del turista capace di gustare le vivande locali soltanto se condite con la salsa che si è portato da casa.
Quello dell'interpretazione del testo musicale con criteri filologici è atteggiamento tipico del vasto movimento culturale internazionale per il recupero della musica antica, ma l'atteggiamento epistemologico che sta a monte va ormai diffondendosi anche per le epoche più recenti in quanto si è compreso che non esiste musica la cui interpretazione non abbisogni di essere considerata in prospettiva antropologico culturale; l'esecuzione di musiche espressionistiche o dell'avanguardia degli anni '50, per esempio, non pone problemi di minore gravità.
In Italia, ormai da trenta o quarant'anni, si è formata una generazione di interpreti che si sono fatti carico di una ricerca sulle prassi esecutive della musica, quali né Conservatorio né Università fanno; soprattutto perché né l'uno ne l'altra sono preparati a farle. Questo significa che, benché la struttura didattica del Conservatorio sia quella che si è detto, al suo interno opera un alto numero di docenti in possesso di conoscenze del massimo livello, che non potrebbero essere classificate in nessuna delle discipline attualmente insegnate né in Conservatorio né all'Università e che avrebbero bisogno urgente di trovare luogo in una struttura opportuna prima che il banale collocamento a riposo di chi le ha prodotte le renda di fatto indisponibili per la scuola.

9. Ricerca, creatività e ricerca creativa.

Quanto detto finora mette in luce il nodo fondamentale dell'evoluzione del Conservatorio in prospettiva universitaria.
Nell'attuale dibattito sull'evoluzione universitaria del Conservatorio si propongono come facoltà di riferimento quelle umanistiche che hanno già un certo numero di insegnamenti ad argomento musicale. Proprio questo fatto rischia invece di produrre un grave equivoco. Per la tradizione letteraria della cultura italiana, per le ragioni presentate nel discorso iniziale sulla "dignità" della musica e per altre ancora, la ricerca della nostra musicologia si svolge prevalentemente nell'ambito storico-estetico. I musicologi italiani godono di indiscusso prestigio internazionale, ma questo non significa che le discipline da essi coltivate siano le più funzionali alla formazione del musicista pratico. Il rapporto fra le discipline musicologiche della nostra Università e la musica, cioè, è molto simile a quello fra la storia della medicina e la medicina stessa: per fare storia della medicina è certamente necessaria una preparazione da medico, senza la quale è impossibile cogliere i significati medici dei documenti storici, ma nessuno penserebbe di prendere i metodi di ricerca di questa scienza a modello della ricerca sperimentale.
La diversità epistemologica fondamentale fra l'Università e il Conservatorio è che oggetto degli interessi dell'Università è la ricerca mentre oggetto degli interessi del Conservatorio è la creatività (l'enunciato è espresso in termini schematici per semplicità di esposizione e dà per sottinteso quanto c'è di creativo nella ricerca e di speculativo nella creatività). Stante quanto si è già detto sulla nuova figura dell'interprete musicale e quanto si dirà più avanti sulle altre figure professionali musicali, non è un sofisma affermare che avrà senso parlare di fascia universitaria del Conservatorio soltanto quando sarà stata realizzata la sintesi fra i due atteggiamenti: la ricerca creativa.
Sarebbe falso dire, però, che nel Conservatorio la ricerca creativa già non esista; tutta la sperimentazione compositiva, infatti, si è aperta da tempo a discipline tecnico-scientifiche come l'acustica e l'elettronica o umanistiche come la semiologia e la linguistica e sotto questo punto di vista molte classi di composizione sono già una sorta di politecnico della musica, dove la ricerca è presupposto dell'invenzione (e non, come avviene in ambito musicologico, speculazione a posteriori su ciò che è stato inventato).
Minore fortuna ha avuto invece in Conservatorio la prassi esecutiva, anche perché i programmi scolastici, fortemente datati, hanno in sé un'inerzia difficile da rimuovere; non è un caso, infatti, che questa disciplina anzi, "queste discipline" perché di un insieme di discipline si tratta si siano sviluppate nell'ambito di repertori musicali, trascurati dalla scuola ufficiale.
Ricerca di tipo universitario, invece, si svolge già in Conservatorio nell'ambito della Scuola di Didattica della musica, dove tutta la parte psicopedagogica specificamente musicale viene sviluppata dagli addetti ai lavori proprio perché l'Università, in conseguenza dell'analfabetismo musicale della nostra cultura, del quale si è già detto, nemmeno volendo sarebbe in grado di farlo. Dall'Università, invece, potranno e dovranno venire i sussidi per incrementare ulteriormente gli aspetti psicopedagogici generali del corso. In qualche conservatorio, inoltre, già esistono veri e propri corsi di musicologia.
Tutta da istituzionalizzare non certo da inventare sarà infine la parte della ricerca che riguarda le professioni musicali non tradizionali, le quali hanno carattere specificamente interdisciplinare. Sarebbe rischioso copiare a carta carbone i programmi di magari illustri università europee ed americane, che, per il solo fatto di essere precedenti ai nostri, allo stato attuale sono fatalmente già superati dai tempi. Converrà invece stabilire quali sono le professioni musicali di interesse nazionale e, stante l'esperienza di chi già le pratica, definire gli insegnamenti opportuni e i relativi programmi. E' evidente che, soprattutto per queste professioni, il contributo dell'Università sarà determinante.

10. L'attuale struttura didattica dell'insegnamento professionale.

Assodato che la musica si fa con il corpo con tutto ciò che ne consegue è il caso di prendere in visione le caratteristiche dell'attuale organizzazione degli studi musicali professionali in Italia.
Come pure già detto, il Conservatorio attuale è organizzato per formare musicisti destinati ad agire nel campo dello spettacolo e della liturgia; ad eccezione dei compositori, dunque, gli attuali studenti di musica sono tutti cantanti o strumentisti e da questo fatto nascono altre problematiche, legate questa volta al rapporto ergonomico dell'esecutore con lo strumento. A seconda, cioè, che gli strumenti siano a tastiera, a corda, a fiato o a percussione ed a seconda ancora che si tratti di strumenti ad arco o a pizzico e via di questo passo, l'organizzazione degli studi è quella che nel 1930 l'esperienza secolare aveva dimostrato migliore. Vediamone gli aspetti per sommi capi senza chiederci, per il momento, se e quanto essa corrisponda ancora alle esigenze attuali.

10.1. Durata degli studi musicali.

La durata degli studi musicali professionali ha durate variabili dai cinque anni di Canto, ai sette degli strumenti a fiato e di Contrabbasso, agli otto di Percussioni, ai nove di Arpa e ai dieci di tutti gli altri (Composizione, archi, Pianoforte, Organo, Chitarra, ecc.). Clavicembalo è un corso triennale, mutilo della fascia inferiore e media, concepito come diploma seguente a quello di Pianoforte.
Le durate sono verosimilmente quelle che nel 1930 o al momento dell'istituzione di nuovi insegnamenti si riteneva fossero ottimali per formare gli strumentisti delle diverse famiglie.

10.2. Età di ammissione.

L'impegno fisico richiesto dai diversi strumenti varia profondamente con la diversità degli strumenti stessi: lo studio del violino può essere intrapreso fin dalle età più tenere (il giapponese Suzuki non esita a mettere strumenti-miniatura in mano a bambini di tre anni) ma per suonare il contrabbasso occorre che il suonatore abbia raggiunto dimensioni corporee che gli consentano di dominarlo; il clavicembalo è certamente strumento adatto anche a esili fanciulle mentre la fatica di un oboista è superiore a quella di un soffiatore del vetro.
L'art. 204 del D.L.Lgt. del 1918 prevede i seguenti limiti di età:
"L'età minima per l'ammissione al corso fondamentale è di anni otto.
L'età massima per l'ammissione al primo anno dei corsi principali è determinata come segue:
Composizione: anni 15; organo e composizione per organo: anni 12; pianoforte: anni 12; arpa: anni 12; violino e viola: anni 11; violoncello: anni 12; contrabbasso: anni 16; flauto, oboe, clarinetto, fagotto e congeneri: anni 15; corno: anni 16; tromba, trombone e congeneri: anni 16.
Per l'ammissione al corso di canto e alle scuole di recitazione si richiede l'età minima di anni 16 per le donne e di anni 18 per gli uomini, e l'età massima di anni 21 per le donne e di anni 23 per gli uomini.
E' in facoltà del direttore, d'accordo con la Commissione esaminatrice e sentito il Consiglio scolastico, di derogare alle disposizioni relative all'età quando risulti trattarsi di singolarissime attitudini".

Questo concetto di deroga ai limiti di età è stato interpretato da qualche Direttore di Conservatorio di larghe vedute nel senso che si poteva derogare in particolare verso l'età infantile e quindi si è incominciato ad aprire qualche corso strumentale anche a fanciulli in età inferiore a quella prevista.
L'innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni con la L. 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione e ordinamento della Scuola media statale (cfr. 9.4), di fatto ha allineato l'età di ammissione per tutti i corsi agli 11 anni, eccezion fatta per quelli di canto e contrabbasso, che conservano i limiti precedenti.

10.3. Gli esami e i programmi di esame.

Il Conservatorio non ha programmi di studio, ma programmi di esame. I corsi sono divisi in due o tre periodi a seconda della loro durata complessiva e al termine di ognuno di essi è previsto appunto un esame i cui programmi indicano in modo preciso i pezzi o la rosa di pezzi fra cui scegliere quelli da presentare. I programmi costituiscono implicitamente altrettanti livelli musicali di riferimento; attraverso quale percorso portarvi l'allievo è totale facoltà e responsabilità dell'insegnante. Di qui la forte personalizzazione e differenziazione dei percorsi formativi, dipendenti sia dall'individualità dell'allievo che da quella del maestro.

10.4. Le scuole medie annesse ai conservatori.

L'innalzamento dell'obbligo scolastico a quattordici anni con l'istituzione, nel 1962, della cosiddetta "Scuola media unica", poneva automaticamente il problema dell'adempimento dell'obbligo stesso da parte degli allievi di conservatorio. La legge istitutiva (L. 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione e ordinamento della Scuola media statale) lo risolveva con il comma 3 dell'art. 16 (Trasformazione delle scuole attuali): "I corsi secondari inferiori delle scuole d'arte, degli istituti d'arte e dei conservatori di musica a datare dal 1o ottobre 1993 sono trasformati in scuole medie...". La pratica, ad onta dei successivi rimaneggiamenti delle materie e degli orari delle scuole medie annesse ai conservatori, ha dimostrato che non si può forzare sic et simpliciter un tratto di percorso scolastico, nato per una scuola a struttura atipica, negli schemi della scuola ordinaria senza grave danno didattico. Il problema dovrebbe essere completamente reimpostato al momento della riforma dei conservatori.

10.5. La sperimentazione liceale.

Proprio perché la normativa ministeriale dei Conservatori era rimasta quella del 1918, all'interno dei Conservatori stessi è andato crescendo da decenni il disagio che ne conseguiva. Nel 1976 il Conservatorio di Parma riuscì ad ottenere l'istituzione di un Liceo Quinquennale Sperimentale, che ormai da più di vent'anni gode ancora si fa per dire di questa qualifica. Successivamente altri undici Conservatori hanno ottenuto l'autorizzazione ad avviare al loro interno analoghe sperimentazioni.
Per quanto numericamente limitata e oggi, purtroppo, in fase di smantellamento, l'esperienza della sperimentazione è stata fondamentale in quanto il principio di lasciare ad ogni Conservatorio la facoltà di decidere i propri programmi di studio ha dato luogo ad una molteplicità di esperienze, positive e negative, la cui conoscenza dovrebbe essere presupposto irrinunciabile di ogni progetto di riforma.
Sinteticamente la problematica può essere riassunta nel modo che segue.
In assenza di strutture liceali musicali, lo studente di musica che desideri una formazione culturale completa è costretto a doppia scolarità. La capacità di seguire contemporaneamente due programmi scolastici, concepiti ognuno per occupare a tempo pieno un adolescente, non è evidentemente questione di intelligenza o di musicalità, ma di resistenza fisica. L'equilibrio delle materie nei programmi dei licei musicali sperimentali avrebbe dovuto essere analogo a quello delle altre scuole medie superiori, in cui le discipline dell'area comune e di quella specialistica sono opportunamente dosate. In realtà non è stato possibile realizzarlo in quanto, costituendo il liceo musicale un tratto obbligato del percorso al diploma, le materie dell'area comune, unite a quelle musicali generali, vengono comunque ad aggiungersi ad un carico di studio già sufficiente a riempire la giornata di un allievo di strumento.
Ai fini di una corretto giudizio, i risultati della sperimentazione devono essere valutati in relazione alle condizioni in cui la sperimentazione stessa si è svolta. Il bilancio delle esperienze, che segue è tratto dalla relazione di Luciana Pasino, L'esperienza della sperimentazione, tenuta al Convegno di studio su "L'insegnamento musicale fra tradizione e riforma", (A.N.I.Mus., Torino, 25/26 ottobre 1995. Atti in corso di stampa).

"Le innovazioni positive introdotte dalla Sperimentazione si possono riassumere nei seguenti punti:
1. superamento della doppia scolarità, onerosa per gli allievi e riduttiva per il Conservatorio che, in alcune realtà, rischia la trasformazione in un dopo-scuola pomeridiano;
2. superamento della distinzione tra materie principali e materie complementari con l'articolazione del piano di studi in discipline dell'area comune e discipline dell'area di indirizzo o musicale;
3. ripensamento dei programmi ministeriali delle secondarie superiori in funzioni delle esigenze del futuro musicista, con l'approfondimento dei nessi che legano le esperienze culturali al fatto musicale;
4. ripensamento dei programmi di strumento del Conservatorio (che risalgono al 1930) e la programmazione diversificata, sia nei contenuti sia nella durata, delle altre materie musicali (storia della musica e armonia);
5. l'ipotesi di un curricolo formativo dello studente di musica pensato e interamente realizzato nel Conservatorio (che ne prevede la crescita culturale senza snaturare l'atipicità e peculiarità dell'insegnamento musicale);
6. il lavoro di équipe tra insegnanti di aree diverse e di diversa formazione culturale e professionale (in particolare gli insegnanti di materie musicali hanno assunto in questo contesto un ruolo centrale di raccordo tra docenti di discipline di base e docenti di strumento, avente per fine la conoscenza globale del fenomeno musicale, attraverso l'esame del contesto storico-culturale, l'analisi tecnica, la realizzazione strumentale e l'interpretazione);
7. la possibilità, per gli allievi, di proseguire gli studi, conseguita la maturità, nei corsi superiori di Conservatorio e/o di accedere all'Università;
8. Ultimo punto, ma forse primo per importanza, il raggiungimento di risultati didattici omogenei a breve termine e buoni a medio e lungo termine. Omogenei a breve termine nel senso che nella generalità dei casi, chi ha conseguito risultati soddisfacenti nell'area musicale li ha ottenuti anche nell'area culturale e viceversa. Risultati buoni a medio e lungo termine nel senso che in sede di maturità, e più tardi in sede di diploma, la dispersione scolastica è ridottissima e i livelli di votazioni si collocano nelle fasce medie o medio-alte.
[...]
E veniamo agli aspetti negativi.
I limiti comuni a tutte le esperienze sono connessi, oltre che alla natura stessa della sperimentazione, costantemente in prova e senza garanzie per il suo futuro, a diversi fattori che, per brevità, si possono riassumere in strutture, persone e norme.
1.
Le strutture. Quasi tutte le sperimentazioni musicali, compresa la nostra, soffrono di carenza di spazi, di risorse, di attrezzature idonee e ciò costituisce un grave limite alla didattica. (Non sono previsti nei bilanci dei Conservatori capitoli di spesa né altre forme di finanziamento specifico).
2.
Le persone. Poiché le cattedre delle sperimentazioni non sono in organico, i docenti dell'area comune, e talvolta anche quelli dell'area musicale, sono sovente precari. A questa precarietà, che in talune sedi si configura come una vorticosa rotazione, si aggiungano il diverso stato giuridico degli insegnanti; la dipendenza dei docenti di area comune dalle graduatorie provinciali dei Provveditorati anziché da autonome graduatorie; la mancanza di attività di aggiornamento mirate, e ancora una formazione del personale docente e non docente addetto alla sperimentazione (dagli ausiliari agli applicati di segreteria) sovente inadeguata ad affrontare tutti i problemi didattici e organizzativi che pone una scuola come il Conservatorio.
3.
Le norme. Paradossalmente una struttura come la sperimentazione, che per sua natura. dovrebbe essere agile e flessibile, sul piano gestionale risulta pesante e rigida in quanto non ha una regolamentazione propria ma dipende, di volta in volta, da norme che riguardano ora il Conservatorio ora la scuola media superiore, norme che talvolta risultano difficilmente conciliabili. Esemplari le incongruenze burocratiche relative alla procedura delle iscrizioni, al calendario scolastico o alla strutturazione dell'esame di maturità. Altre questioni rimangono aperte, fondamentale quella dell'integrazione tra. struttura liceale e scansioni della scuola di strumento (con soluzioni opposte oscillanti, in modo riduttivo, tra l'aggancio totale o lo sganciamento totale). L'esperienza di questi anni invece ci ha dimostrato che laddove è stato possibile introdurre caratteri di flessibilità, rapportati all'evoluzione musicale individuale degli studenti, certe contraddizioni sono state risolte, in quanto è oggettivamente molto difficile ridurre a modello rigido una struttura didattica che è organicamente legata alle attitudini degli allievi e alla. personalità artistica dei loro maestri".

Altro problema della sperimentazione sono state e sono le diverse posizioni degli insegnanti nei riguardi della stessa.
Sono favorevoli alla sperimentazione quelli che, avendo seguito a loro tempo la doppia scolarità, ne conoscono la fatica. Più in generale la sostengono tutti quelli che, indipendentemente dal loro curriculum scolastico, conoscono per esperienza gli enormi vantaggi musicali della cultura in generale e di quella musicale in particolare.
Sono contrari a studi che non siano quelli strettamente strumentali gli insegnanti che, in una visione esclusivamente concertistica della musica, considerano l'impegno in altre materie come tempo sottratto all'esercizio.
Sono contrari pure coloro che, soprattutto nella prospettiva di una riforma, temono che insegnare in un liceo sia l'anticamera di una retrocessione in carriera (dall'ottavo al settimo livello di stipendio) in quanto il liceo è scuola secondaria mentre il conservatorio certamente non lo è (M.P.I., Isp. Istr. Art., Uff. Io Dir. Rag., Sez. IV: Prot. n. 259 del 23/1/1992).
Rischioso sarebbe invece fare trasposizioni semplicistiche dall'esperienza attuale ai futuri progetti di riforma, motivo per cui si ridà la parola a Luciana Pasino.

"Fin qui l'esperienza della Sperimentazione. Ma nuovi scenari stanno per aprirsi. Il testo unificato discusso dalla Commissione Cultura della Camera individua, all'art. 9, un periodo di studi, di durata quinquennale, che si collochi fra la licenza media conseguita in scuole a indirizzo musicale, e l'accesso ai corsi superiori di Conservatorio di livello universitario. E' legittimo chiedersi se i nostri quinquenni ne siano il modello o se si profili l'elaborazione di un progetto astratto, attento più alla riforma della scuola media superiore che non alle esigenze e alla specificità degli studi di Conservatorio, finalizzati ad una preparazione professionale. Per evitare il rischio di un piano di studi dispersivo, frammentato in una serie eccessiva di materie anziché imperniato su un asse più ristretto ma solido e formativo, con margini flessibili di opzionalità, sarebbe opportuno partire da un serio bilancio delle esperienze dei quinquenni sperimentali e da una auspicabile consultazione dei docenti coinvolti. Vale la pena di ricordare che nell'attuale curriculum dell'allievo di Conservatorio la Sperimentazione ha rappresentato, rispetto alla scuola media annessa, il secondo segmento, (ma segmento flessibile) di un unico progetto di istruzione, un progetto che riconosce nella musica l'asse intorno a cui ruota la preparazione degli allievi, un progetto con obiettivi comuni, dapprima propedeutici, poi orientativi e infine professionali, inseriti in curriculi successivi e comunicanti, funzionalmente coordinati e via via invasivi.
Per questo, nell'attuazione dell'ipotesi di riforma, elementi chiave sembrano essere da un lato la calibratura del piano di studi dall'altro il raccordo verticale dei vari segmenti all'interno del curriculum.
Se l'uno o l'altro verrà meno, la riforma avrà mancato, almeno in parte, ma proprio sul versante didattico, il suo obiettivo."

Di un'esperienza negativa, tuttavia, occorre certamente fare tesoro: quando, nel 1971, vennero istituite in alcuni Conservatori fra cui Firenze e Milano sezioni staccate di licei artistici sostituendo le materie artistiche con quelle musicali si ottennero fallimenti dai quali fu giocoforza recedere.

11. Strutture scolastiche "orizzontali", "verticali" e "a griglia".

Tutti i progetti di riforma finora presentati in Parlamento avevano risolto il problema della futura struttura didattica del conservatorio, che, quale è attualmente, in gergo didattico è definita come "verticale", omologandola a quella della scuola ordinaria, considerata invece come "orizzontale".
In questa il curriculum studiorum è organizzato, per così dire, a strati "orizzontali", sovrapposti, la cui specializzazione va crescendo da quello elementare a quello universitario essendo previsto che l'allievo venga affidato successivamente a tanti insegnanti della stessa materia quanti sono i periodi della sua carriera scolastica.
Nessuno viene sottoposto a prove attitudinali prima di essere iscritto alle scuole elementari e ognuno farà scelte specialistiche successive dopo la scuola dell'obbligo. Al limite e il caso è più frequente del desiderabile si può giungere al conseguimento di una laurea pur senza avere specifiche attitudini a quella materia. E' fisiologicamente impossibile, invece, giungere ad un diploma di conservatorio senza possedere un minimo che comunque è sempre elevato di attitudini musicali.
Stante quanto è già stato detto sulle caratteristiche di questo insegnamento, la struttura didattica del conservatorio, quale secoli di esperienza l'hanno formata, è di tipo "verticale". L'allievo viene iscritto "in prova" e rimane in questa condizione da uno a due anni, nel corso dei quali non vengono saggiate soltanto le sue attitudini musicali generiche, ma anche quelle strumentali specifiche con non infrequenti cambi di strumento, dovuti di solito ad inadeguatezze fisiche per quello strumento particolare; per esempio: forma della bocca, che rende difficoltoso il cavare suoni da un flauto. Già nel periodo di prova, comunque, l'allievo intraprende un curriculum scolastico specialistico, che, nei casi più felici, viene portato a compimento nelle mani dello stesso insegnante.
Sia l'esperienza delle scuole medie annesse ai conservatori che quella della sperimentazione liceale hanno dimostrato che nulla osta alla composizione della struttura "orizzontale" della scuola ordinaria con quella "verticale" della scuola di strumento in una struttura "a griglia" che contemperi le rispettive esigenze.
In altri termini, è già dimostrato che, qualora lo si voglia, è possibile rinnovare il conservatorio senza alterarne la struttura peculiare, formatasi attraverso l'esperienza dei secoli e non c'è ragione per cui questo non possa avvenire anche nella futura fascia universitaria.

12. L'attività professionale dei docenti di Conservatorio.

Da sempre, ai docenti di Conservatorio è riconosciuto il diritto che, nell'opinione corrente, ha anche il valore di dovere di svolgere, oltre all'insegnamento, attività musicale pratica.
Il riconoscimento di questo diritto-dovere nasce dalla considerazione del fatto che l'insegnante di Conservatorio, esattamente come quello universitario, non essendo reclutato in base ai titoli di studio ma a quelli artistici (scientifici, nel caso di quello universitario), non può rimanere al livello professionale della sua salita in cattedra, ma deve continuare a coltivarsi attraverso la professione. Cioè: così come non si può insegnare chirurgia senza operare, non è possibile insegnare musica senza praticarla.
Il problema vero, nel caso del chirurgo, è se sia lecito che egli goda di uno stipendio pubblico dedicando la maggior parte del suo tempo alle cliniche private. Nel caso del musicista il problema è diametralmente opposto: egli è costretto a svolgere attività professionale autonoma in quanto il conservatorio è concepito dalla legge unicamente come sede di insegnamento. Il docente, cioè, anche nel caso in cui desideri dedicare tutte le sue energie alla didattica e molti vorrebbero farlo non trova in conservatorio l'equivalente della clinica universitaria in cui il chirurgo può svolgere sia attività professionale che di ricerca.
In uno Stato che riconosca finalmente alla musica la funzione sociale, oltre che culturale, che le è propria, occorreranno centri di produzione e di coordinamento per le attività musicali nel senso più lato: divulgazione, decentramento, educazione scolastica e dell'età adulta, ecc.). Questa funzione dovrebbe essere specifica dei conservatori in quanto culturalmente e tecnicamente attrezzati per farlo. Offrire ai docenti la possibilità di svolgere al loro interno un'attività professionale a tempo pieno equivarrebbe a metterli nella stessa condizione dei professori universitari, con i vantaggi che ne deriverebbero per la professionalità musicale, per la scuola e per la società.

13. Il livello qualitativo attuale dei Conservatori italiani.

La prospettiva dell'istituzione di una fascia universitaria dei conservatori di musica ha determinato pure il nascere di problemi inediti, quali le dichiarazioni di personaggi musicali variamente famosi sulla qualità attuale dei Conservatori italiani. Non tutte le dichiarazioni e gli articoli di stampa che le riportavano erano esemplari per buon gusto e serenità e non sarebbe dignitoso scendere a quel livello di polemica; tuttavia, stante la fama e il conseguente credito di qualcuno dei detrattori della scuola musicale italiana, la questione non può essere elusa e in questa sede si ritiene doveroso tentare almeno di fare un quadro della situazione.
Chi aveva studiato nei conservatori storici italiani tredici in tutto ed altamente selettivi prima dello sviluppo demografico seguente alla seconda guerra mondiale nonché a quello scolastico derivante dall'innalzamento dell'età dell'obbligo a quattordici anni, aveva certamente avuto maestri che, almeno dal punto di vista musicale, erano qualificatissimi.
Intanto, però, l'istituzione dell'insegnamento di Educazione musicale nella Scuola Media era giunta all'improvviso ponendo il problema del reclutamento dei docenti. Il legislatore aveva ritenuto di poter individuare i diplomati di conservatorio come categoria professionale qualificata a quell'insegnamento, ma il loro numero era in quel momento tanto insufficiente alla bisogna che sovente i presidi delle scuole medie dovettero far fronte alle necessità ricorrendo a supplenti di preparazione inadeguata. Le soluzioni date poi dallo Stato alle situazioni venute a crearsi sono ancora oggi una delle piaghe della scuola italiana, ma la questione è estranea all'argomento di questo scritto. Comunque, la richiesta di insegnanti di Educazione musicale indusse molti giovani con interessi musicali magari diversi dal concertismo ad iscriversi al Conservatorio nell'onesta e ragionevole prospettiva di un lavoro nella scuola. Giustamente e doverosamente, quindi, i Conservatori si aprirono anche a questo tipo di allievi.
In concomitanza con l'incremento demografico andava aumentando anche l'interesse generale dei giovani per la musica e, in assenza di adeguate risposte da parte della scuola ordinaria, molti di essi soddisfecero alle proprie esigenze culturali con la doppia iscrizione ad una normale scuola secondaria ed al Conservatorio. Le difficoltà relative alla doppia scolarità, di cui si è già parlato, venivano e vengono ancora aggirate da questi allievi dando di volta in volta più importanza ad un corso di studi piuttosto che all'altro, a seconda delle tendenze personali.
In questa contingenza lo Stato diede ancora una volta la risposta sbagliata moltiplicando semplicemente il numero dei Conservatori senza cambiare né programmi né strutture.
Questa volta toccò ai direttori dei Conservatori far fronte alla mancanza di insegnanti e, dopo aver reclutato i migliori musicisti possibili, essi dovettero aprire le graduatorie anche a candidati meno famosi. E' quindi vero che in questo momento, accanto a docenti del livello rimpianto dai laudatores temporis acti livello che continua ad esistere in quanto i migliori musicisti italiani continuano ad insegnare nei Conservatori insegnano pure docenti dal curriculum più modesto.
In ogni caso si deve ricordare che, stante il già citato criterio di reclutamento, che si fonda anzitutto sui titoli artistici, il livello professionale degli insegnanti di Conservatorio è superiore a quello della scuola ordinaria, i cui criteri di valutazione si rifanno essenzialmente al titolo di studio e non ai titoli scientifici dei candidati.
E' altrettanto vero che, in questo momento, nei Conservatori c'è un numero considerevole di allievi che studiano musica con intenti diversi dal concertismo, ma è anche evidente che giudicare tutta la popolazione scolastica musicale in base a quest'unico parametro equivale a sbagliare l'impostazione del problema.
Ci sarebbe piuttosto da chiedersi il perché di questa improvvisa bordata di attacchi alla scuola musicale italiana, ma farlo significherebbe scendere a quel livello di polemica che si ritiene indecoroso.

14. Reclutamento e residenza dei docenti.

Gli attuali criteri di reclutamento dei docenti dei conservatori sono, mutatis mutandis, gli stessi dell'università: titoli artistici (equivalenti a quelli scientifici), didattici e, ove esistano, di studio (cfr: Ministero del Tesoro - Ragioneria Generale dello Stato, Conto Annuale 1994, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, marzo 1996, dalla cui Tavola 4.0.8 risulta che nell'Università italiana esiste almeno un Professore Ordinario a tempo pieno, avente come titolo di studio la licenza della scuola dell'obbligo). La professionalità rappresentata dai titoli artistici è condizione determinante.
Questi criteri di reclutamento non sono facilmente soddisfatti e, come è regola statistica che accada, quando lo sono, la distribuzione sul territorio nazionale dei musicisti che ne sono in possesso è tutt'altro che omogenea. Accade così che per casualità o, al contrario, perché particolari ottime scuole hanno formato numerosi valenti allievi, le residenze di molti qualificati rappresentanti di una determinata disciplina si trovino riunite in certi distretti geografici e che invece altre zone del territorio nazionale non siano in grado di esprimere insegnanti di sufficiente valore. Di qui un pendolarismo accentuato, dato che gli stipendi offerti dallo Stato in cambio della professionalità richiesta non pagano il prezzo familiare, professionale e venale di un trasferimento di residenza.

15. Orari di insegnamento.

Gli orari di insegnamento dei docenti di conservatorio variano fra le otto, le nove e le dodici ore settimanali, suddivise in due giornate di insegnamento, il che implica che l'allievo di composizione, di canto o di strumento riceve di solito due lezioni settimanali, la cui durata è lasciata alla totale valutazione del maestro e tende ad allungarsi con l'innalzarsi del livello degli studi dell'allievo.
Le due lezioni settimanali soddisfano bene alle esigenze didattiche della musica, nella quale il tempo dedicato allo studio individuale prevale comunque su quello richiesto dalla lezione. Rispondono bene anche alle esigenze del pendolarismo in quanto, col soggiorno di due o tre giorni fuori casa del docente, si ottiene un equilibrio accettabile fra reclutamento dei docenti su scala nazionale ed orari di insegnamento.
L'obbligo di orari di insegnamento distribuiti su più di due giorni, mentre, da un lato, non darebbe apprezzabili vantaggi didattici, dall'altro costringerebbe gli attuali docenti pendolari a rinunciare all'insegnamento mentre il reclutamento locale, per i motivi già esposti, determinerebbe l'abbassamento del livello professionale medio degli insegnanti.

16. L'età degli allievi e il livello professionale dei docenti.

Come detto al cap. 5, l'esigenza della cura integrata delle strutture fisiche e mentali del futuro musicista ha sempre fatto sì che lo studio della musica si svolgesse "a bottega", tendenzialmente con un unico maestro che accoglieva l'allievo agli inizi della sua formazione e lo accompagnava fino al termine della sua carriera scolastica. L'istruzione musicale professionale, cioè, ha sempre considerato ottimale dare al futuro musicista, fin dall'età più tenera, il maestro del massimo livello musicale possibile. Come nessuno pensa che un pediatra possa essere meno medico di quello che porta gli atleti alle olimpiadi, così i musicisti hanno sempre pensato che per formare un altro musicista occorresse un maestro capace di dare all'allievo in ogni momento della sua crescita il fabbisogno musicale necessario nella prospettiva del traguardo più alto. Per rimanere nella metafora sportiva, cioè, il Conservatorio attribuisce ai suoi corsi inferiori l'importanza e la dignità di un vivaio nel quale coltiva i suoi allievi con logica che corrisponde a quella delle squadre di calcio di serie A, le quali provvedono alla formazione dei propri campioni allevandoli, sì, in squadre di livello proporzionato all'età dei componenti, ma sempre con allenatori qualificati e non con generici insegnanti di educazione fisica e storicamente, infatti, questa scuola non ha mai fatto distinzioni qualitative fra gli insegnanti sulla base dell'età dei loro allievi ma unicamente su quella della loro professionalità.


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