MASSIMO VENUTI
Conservatorio di Piacenza

Orientamenti e prospettive dell'istruzione musicale


Il dichiarato obiettivo di questo Convegno è la didattica. Tuttavia, una riflessione sulla didattica e sul suo necessario aggiornamento non può prescindere da indagini sulla situazione attuale e su quella che è tuttora in discussione, anche in àmbito parlamentare.

Da questo punto di vista è da molto tempo che sottolineiamo la necessità di tenere presente che la maturazione musicale di un allievo è sostanzialmente differente dalla sua evoluzione per così dire intellettuale. Questo significa che la scansione e i passaggi che sono stati previsti nel sistema scolastico non musicale (con i suoi vari gradi: licenza elementare, licenza media, maturità o diploma, laurea; questi nodi corrispondono alle età di dieci, tredici, diciotto, ventidue anni), tali passaggi e tali corrispondenze di età sono assolutamente diversi dai vari gradi di evoluzione e maturità musicale di un allievo. La scissione di questi due àmbiti e la sensibilizzazione alle loro specificità (quello che abitualmente si intende con "atipicità" dell'insegnamento musicale, proprio perché l'evoluzione musicale non segue le scansioni "rigide" di quella culturale e intellettuale, così come concepite dal nostro sistema scolastico), è un problema che oggi è fortunatamente maggiormente sentito rispetto a qualche anno fa, quando mi affacciai a questo genere di discussione. Il modello che non esito a definire nefasto che oggi si vorrebbe applicare ai Conservatori (i luoghi deputati per eccellenza all'insegnamento della musica in Italia) è proprio basato sull'equiparazione di questi due àmbiti, tanto è vero che un orientamento legislativo tende in questa direzione, sia dal punto di vista concettuale, sia da quello pedagogico.

Non a caso il sistema dell'educazione musicale prodotto dai Conservatori e dagli Istituti pareggiati segue un meccanismo elastico, ossia il conseguimento di determinati crediti formativi in assoluta indipendenza dall'età, nel senso che l'età dell'allievo gioca un ruolo assolutamente marginale nel suo curriculum, mentre è proprio in base all'età che viene principalmente considerata la carriera di un allievo delle scuole ordinarie. Questo, d'altro lato, non significa sganciare pedissequamente l'insegnamento musicale da tappe che abbiano a che fare con la maturazione culturale richiesta dalla nostra scuola. Si tratta invece di sintetizzare i due percorsi in modo da salvaguardare le specificità di ciascuno, senza appiattire uno dei due sull'altro (per esempio, prevedendo gli stessi "snodi" e licenze per la cultura ordinaria e quella musicale, imbrigliando così la musica in un processo che non le è mai appartenuto storicamente); non solo, ma anche nei Paesi europei si sta riflettendo a fondo sulla limitazione di considerare i due ordini in modo analogo, e si sta guardando sempre più al modello dei Conservatori italiani come più funzionali e flessibili rispetto alla tripartizione "rigida" che in molti Paesi è stata adottata con risultati, in proporzione, più deludenti del previsto. Questo discorso non significa certo difendere un'istituzione così come noi l'abbiamo ereditata, ma significa ripensare quello che veramente è da riformare senza tradire ciò che di meglio la nostra tradizione ha elaborato e che tuttora rappresenta un punto di forza della nostra musica. Lo sforzo di fantasia di cui parlavano il M.o Bosco e il M.o Uberti penso possa essere andare proprio in questa direzione, ossia: come immaginare un percorso didattico, e dunque istituzionale dato che la Riforma è ormai alle porte, che salvaguardi le specificità della maturazione musicale e che allo stesso tempo arricchisca di contenuti culturali la formazione del musicista (e per questo lato il raccordo con la scuola ordinaria è inevitabile, nonché auspicabile)? Questo è sostanzialmente il problema, se vogliamo qui rimanere all'interno di tematiche puramente didattiche. Nel dibattito attualmente in corso ho notato una certa confusione dovuta proprio dalla mescolanza dei due àmbiti di studio, àmbiti che sono storicamente e strutturalmente differenti.

Come conciliare, questo è il vero problema della riforma della musica italiana. Tale conciliazione potrebbe attuarsi, da un lato, nel rispetto di tappe culturali che possono anche essere rigide secondo la normativa vigente della scuola ordinaria, ma da un altro nel salvaguardare un'elasticità che nel campo musicale deve prescindere da quegli stadi fissi. E qui c'è la questione del cambio del docente, di vedere caso per caso se l'allievo è maturo e può proseguire ai livelli superiori o no, quali e dove siano da collocarsi codesti corsi superiori; inoltre, dobbiamo sempre, dico sempre, tenere presente le conseguenze dei nostri atti e dunque le conseguenze che si avrebbero dal proporre determinati modelli. Ovvero: cosa succede se collocheremo un certo numero di corsi superiori in una città o in un'altra? Cosa succederà allo studente che si troverà in quella situazione? Quali saranno le sue scelte, una volta che avrà a che fare con un modello che noi magari discutiamo sulla carta, a volte con il rischio di non prevederne gli effetti pratici? Invece di andare in direzione di un aumento della cultura musicale, e dunque di un aumento di utenza nelle nostre istituzioni, non corriamo invece il rischio di favorire un abbandono della scuola pubblica e di ottenere risultati contrari a quelli che ci aspetteremmo?

Il problema che è stato posto da Salvetti su "come si accede ai livelli superiori" è un problema con il quale effettivamente abbiamo a che fare, ma posto così, senza un adeguato contesto che ne determini la necessità, rischia di essere controproducente, perché dà per scontato che deva esistere una struttura superiore a quella attualmente esistente senza avere indagato su quello che può esserci "prima" di questo livello. Più che di un livello superiore (giacché, in sostanza, i docenti di codesto livello superiore comunque apparterranno prevalentemente ai Conservatori, che già costituiscono il livello superiore attualmente vigente in Italia) si tratta piuttosto di distinguere, di separare all'interno delle strutture e del corpo docente attualmente impegnato (che coinvolge l'allievo dall'inizio del suo percorso fino alla fine), eventuali snodi e livelli.

Io non credo che il problema possa essere efficacemente risolto da una visione per così dire piramidale della cultura musicale (medie, liceo, università) strettamente legato all'età, un sistema che può funzionare in àmbito genericamente culturale, ma non in quello musicale; piuttosto da un sistema decentrato che utilizzi ciò che di meglio la scuola musicale italiana ha prodotto in questi decenni. Questa situazione decentrata non significa una separazione che veda i corsi superiori come accentrati in alcuni luoghi (come se essi, chissà per quale ragione, abbiano una sorta di carisma geografico stabilito da non si sa chi), ciò provocherebbe una enormità di problemi pratici che adesso non posso affrontare e che peraltro ho già esposto in più occasioni, ma prevedere all'interno di ciascun Conservatorio - con alcune eccezioni dovute certamente a un relativo riordino dell'esistente, soprattutto per ciò che riguarda le sezioni staccate, etc. - un iter finale o comunque formativo che renda possibile l'attività musicale in tutto il tessuto musicale italiano. Certamente, il cosiddetto bricolage dei livelli superiori che uno studente può scegliersi è già un dato di fatto, ma questa pratica - oltre a essere sempre esistita - non riguarda tanto un difetto delle nostre istituzioni quanto lo stile del nostro tempo: che i nostri allievi possano andare all'estero e altri vengano in Italia a perfezionarsi è tipico dello stile tendenzialmente internazionale nel quale viviamo.

È necessario, invece, che l'istruzione musicale preveda obbligatoriamente la maturità musicale mediante Licei interni agli attuali Conservatori - dove possibile - o per mezzo di convenzioni con Licei esterni, ma in alcun modo tale Maturità può costituire una tappa essenziale del percorso musicale che, invece, dovrà scorrere parallelo e conservando proprie dinamiche, finalizzato al conseguimento del Diploma. Codesto doppio binario "a scorrere" salvaguarda le specificità dei due àmbiti garantendo il miglioramento culturale da un lato, la particolarità dello sviluppo musicale dall'altro, e infine garantisce a ogni Conservatorio (giacché tutti i Conservatori rilasceranno un Diploma effettivamente spendibile sul mercato del lavoro) di rendere possibile e produttiva l'autonomia. I licei musicali, diciamolo chiaramente, non possono produrre musica e rendono il concetto di autonomia di una istituzione musicale assolutamente evanescente. Un liceo musicale è privo dei corsi superiori, avrebbe enormi difficoltà a produrre, dato che avrà a che fare per molto tempo con poche sezioni, sezioni di allievi che, tra l'altro, dovranno dedicare alle lezioni almeno trentacinque ore settimanali. Gli attuali licei annessi ai Conservatori possono produrre proprio in merito al supporto che il Conservatorio gli fornisce nella sua generalità; ma se togliamo tutto questo otterremmo una struttura completamente diversa che si ridurrebbe a qualche saggio a fine anno (altro che produzione artistica!).

Questa riflessione non è in vista di una polemica, ma per chiarire che il modello di secondaria musicale scorporata dal Conservatorio non può avere come finalità la produzione, ma una semplice acquisizione didattica che finirebbe per disperdere un enorme patrimonio. Ogni Conservatorio, rilasciando un Diploma post-maturità che avrebbe un valore analogo a una laurea a brevis (salvo restante la possibilità in alcune sedi di perfezionarsi nella laurea finale) garantisce un percorso più unitario sul piano didattico, eviterebbe spostamenti forzosi che nel campo musicale scoraggerebbero l'utenza, ma soprattutto darebbe più sicurezza all'allievo che entra in una istituzione sapendo che uscendo da quella avrà completato in gran parte (e in modo, per molte attività, sufficiente) il proprio iter formativo e sarà già pronto per l'attività.

In questa logica più unitaria, e non spezzata traumaticamente, sarà più semplice ovviare ai problemi di cui parlava Bosco e sui quali concordo pienamente, specialmente in merito all'attenzione che dobbiamo porre alle strutture di base e alla differenza di ingresso e di uscita, per le varie età, nelle varie classi di strumenti, piuttosto che chiedersi come si arriva alla struttura superiore. In conclusione, anche in questo senso sono da meditare i modelli di istruzione musicale all'estero, che in questo Convegno sono stati proposti alla nostra attenzione. Non è detto che un modello sperimentato positivamente in un Paese con una cultura, una scuola e una tradizione, e anche con mezzi completamente diversi dal nostro possa andare bene anche per noi. Ciascun Paese ha la propria scuola e soprattutto la propria storia. Non è detto che per noi la qualità sia quella di eseguire le 32 sonate di Beethoven una dopo l'altra, per dodici ore di seguito, in un salotto di New York, né - nonostante le Hochschule - che il livello medio pianistico di uno studente tedesco sia così differente dal nostro. Voglio dire che i modelli devono essere mediati dalla nostra evoluzione, e dalla nostra storia. La scuola e l'istruzione musicale italiana ha molto da riformare, ma non necessariamente deve modellarsi sull'Università di Cincinnati o quella di Londra. Prima di pensare ai corsi superiori di una utenza che ancora non esiste o esiste solamente sulla carta, dobbiamo pensare a strutture intermedie che aumentino, in futuro, l'utenza garantendo una maggiore unitarietà del percorso, pur prevedendo gli snodi culturali. Solo in questo modo l'educazione musicale sarà effettivamente decentrata su tutto il territorio e non verrà disertata dai ragazzi che si avvicineranno, in futuro, alla musica.