MARIO PIATTI
Conservatorio di La Spezia

Il musicista e la pedagogia: Cenerentola sposerà il Principe?

1. Vorrei iniziare dando una motivazione del titolo: questo convegno, come affermato dagli organizzatori, nasce anche dall'"urgenza di definire le caratteristiche dell'insegnamento musicale professionale", e quindi di ribadire la cosidetta "specificità" degli studi musicali. Istanza più che giusta: solo che non bisognerebbe dimenticare che quando si elaborano progetti formativi, quando si discute di curriculi di studio, quando insomma si entra nel merito dei problemi scolastici dal punto di vista dell'educazione-istruzione, sarebbe bene non dimenticare che tali problemi presentano anch'essi aspetti di specificità per la soluzione dei quali ritengo utile e necessaria una competenza pedagogica, essendo la pedagogia la scienza che studia i problemi attinenti l'educazione e l'istruzione. Rivendicherei quindi alla pedagogia un ruolo non secondario, non da cenerentola, nell'attuale percorso accidentato della riforma degli studi musicali e dei conservatori.

2. Ringrazio pertanto l'Animus, associazione organizzatrice di questo convegno, per aver accettato la proposta di questa mia comunicazione che vuole interagire in modo critico ma, spero, costruttivo con alcune istanze dell'Animus stessa. Per l'Animus, "la febbre di riforma dei Conservatori di musica, che ha pervaso improvvisamente il mondo politico e, di conseguenza, i Conservatori stessi, ha posto i musicisti di fronte a una urgenza alla quale in realtà erano impreparati". Forse i musicisti erano impreparati (ma la colpa di chi è?), ma ritengo che impreparati non erano e non sono coloro che da anni si occupano di pedagogia e di didattica della musica (e in Italia sono un buon numero); inoltre, la febbre del mondo politico non è certo improvvisa. Questo convegno è un ulteriore tassello di un dibattito che dura da almeno 30 anni (dal famoso convegno di Fiesole del 1966 a oggi ho notizia di almeno una ventina di convegni nazionali e di almeno una decina tra proposte, schemi e disegni di legge!)
Ma oltre ai dibattiti, ai convegni nazionali, ai documenti e alle proposte legislative va tenuto conto di un fatto a mio avviso importantissimo: dal 1974 a oggi sono state anche tentate varie forme di sperimentazione - lecitamente attivate sulla base dei disposti legislativi (nonostante le affermazioni stralunate di qualche sindacalista buontempone) - che hanno permesso di verificare la fattibilità, l'utilità, l'efficacia di nuovi curriculi di studio. L'ultima, in ordine di tempo, relazione documentativa su una sperimentazione - quella di questa mattina di Luciana Pasino sull'esperienza del conservatorio di Torino - sta a testimoniare che qualche docente-musicista non è stato ad aspettare che salisse la febbre dei politici o che un altro tipo di febbre portasse qualche rappresentante sindacale ad avere vaneggiamenti sui propri stipendi che da un giorno all'altro - ope legis - vengono raddoppiati.
Documenti e sperimentazioni offrono al pedagogista (cioè a colui o colei che si occupa 'professionalmente' dei progetti formativi) una notevole quantità di dati per poter elaborare con maggior cognizione di causa ipotesi di ristrutturazione dei curricoli. E' ovvio che questi dati non bastano, che vanno inseriti in una visione, in un quadro di riferimento di valori e di principi che diano senso e significato agli studi musicali e alla molteplicità delle professioni a cui tali studi dovrebbero educare-istruire-formare. E' pure ovvio che alla costruzione di questo quadro di valori, di principi, di coordinate strutturali possono e devono concorrere tutti coloro che in qualche modo sono interessati a livello professionale, culturale e sociale (e quindi non solo i musicisti o i musicologi, ma anche gli operatori della scuola, i politici, gli studenti stessi - [quasi] sempre esclusi dal dibattito e dalla ricerca progettuale -, i cittadini tutti). E' pur vero che esiste una specificità degli studi musicali. E fa bene l'Animus a rivendicare ai musicisti il diritto-dovere di dire la loro. Forse sarebbe meglio insistere non solo sul musicista, ma sul musicista-insegnante, e quindi far leva anche su quelle competenze 'pedagogiche' che rendono il musicista capace di insegnare, non dimenticandosi che se può essere vero che, come affermato dall'Animus, "gli studi musicali hanno una loro specificità e che cose ovvie per i musicisti paiono invece inaudite ai comuni mortali", è altresì vero che cose ovvie per i pedagogisti paiono talvolta inaudite ai musicisti.
Prendiamo un esempio attinente alla questione di fondo oggetto di questo convegno. A giudizio dell'Animus "... politici e musicisti in questo momento stanno commettendo lo stesso errore di fondo, stanno cioè tagliando un vestito senza aver preso le misure del cliente". Per l'Animus, se interpreto bene lo scritto di presentazione del convegno, il cliente sono "... le figure professionali della società attuale", e il vestito dovrebbe essere "... la specificità dell'insegnamento per mezzo del quale queste figure si intende formare". E quindi le strutture dovrebbero garantire tale insegnamento. Ma l'apertura alla molteplicità delle figure professionali sembra contraddetto, nello stesso documento Animus, dal restringimento delle osservazioni alla figura dello strumentista (cfr. 1.6,2), confondendo scelta professionale (e quindi specificità dell'insegnamento) con gli aspetti tecnici degli apprendimenti (cfr. 2.5) (un punto completamente dimenticato poi è il rapporto tra professionalità e valore giuridico di un titolo di studio).
Ora, se è vero che è bene che qualsiasi professione musicale si basi sulle competenze pratiche del fare musica (non solo comunque con strumenti - non dimentichiamo la voce), è però anche vero che i livelli di tali competenze pratiche possono essere differenziati in base alla specificità delle singole professioni 'musicali'. L'insegnamento musicale, e la sua specificità, non può essere quindi ristretto all'insegnamento strumentale prevalentemente pensato come insegnamento individualizzato.

3. In un curricolo di studi pedagogicamente fondato, la formazione avviene non percorrendo un'unica strada, centrando il discorso e il progetto, e conseguentemente l'organizzazione didattica, sulla individualizzazione, considerando il resto puro accidente, possibilmente da evitare (è quello che c'è nella testa di tanti musicisti[-insegnanti] che vorrebbero eliminare dagli impegni dei loro allievi non solo gli studi non musicali, ma anche tante 'perdite di tempo' come musica da camera, storia, esercitazioni corali, ecc. ecc.). Le esperienze plurime che già ora avvengono negli studi musicali sono da valorizzare. Occorre quindi pensare a un curricolo integrato (cosa ovvia ai pedagogisti, ma forse inaudita per i musicisti), dove allo studio del proprio strumento si affianca lo studio storico e antropologico delle diverse culture musicali, le esperienze pratiche di musica d'insieme con vari generi e forme musicali, secondo una prospettiva non solo interdisciplinare, ma anche interculturale. Ma sulla base di quali principi? A questo proposito, francamente trovo veramente stonato il punto 1.11 del documento Animus, che qui, per decenza, evito di citare. La costruzione di curricoli coerenti non è cosa che si improvvisa. Occorrono competenze pedagogiche, competenze che non si acquisiscono solo con la pratica dell'insegnamento. Se tali competenze non coesistono nella stessa persona, c'è sempre la possibilità del lavoro di ricerca e di progettazione in gruppo (altra cosa scontata per i pedagogisti ma forse inaudita per i musicisti).
Considerare l'insegnamento musicale da un unico punto di vista (quello dello strumentista) rischia non solo di restringere le funzioni fomative di una scuola musicale, ma anche di settorializzare talmente i percorsi formativi da precludere poi la possibilità di una scelta diversificata sul piano del futuro professionale. La specificità dovrebbe invece coniugarsi con la fluidità e la flessibilità del sistema formativo. Su questo punto la letteratura pedagogica ha da tempo fornito indicazioni preziose. E che queste cose siano fattibili e praticabili lo dimostrano le strutture, i curricoli e i programmi di numerose altre nazioni (come ha informato Fiorella Cappelli e come è sintetizzato nei cartelloni esposti). Ribadisco però che lo studio, l'analisi, l'elaborazione, la progettazione dei sistemi formativi esigono, come lo studio della musica, una propria specificità. La scienza, la disciplina che dovrebbe garantire tale specificità è la Pedagogia che può offrire:

Se è vero che l'insegnamento musicale ha una sua specificità, è altrettanto vero che la pedagogia musicale ha come specificità lo studio e la ricerca di principi, metodi e contenuti dell'insegnamento/apprendimento musicale.
E' per questo che mi auguro che il matrimonio tra Cenerentola e il Principe non duri lo spazio di una notte, ma che tale unione possa durare.