STEFANO A.E. LEONI
Conservatorio di Alessandria

Musica in kit di montaggio

Mi pare che quattro siano i problemi prioritari che qualsiasi azione di risistemazione dell'istruzione musicale in Italia debba necessariamente affrontare.

Non intendo entrare in spinose questioni, né alimentare polemiche a proposito della intrinseca qualità o meno degli attuali docenti e discenti dei Conservatori. A questo pensano i Soloni della musica dalle pagine dei quotidiani. I risultati sovente rappresentano essi stessi una eloquente risposta; sostanzialmente positiva. Né ritengo che sia pensabile risolvere i nodi dell'istruzione musicale attraverso corporativistici colpi di spugna o nebulosi asservimenti a logiche vetero-universitarie, quanto riflettere sull'esistente e utilizzare una politica del tutto assente anche nel quadro istituzionale attuale (come in quello passato) di passi commisurati con esigenze, forze, attenzioni anche sociali.
Vorrei centrare la mia attenzione sul tema dell'Autonomia. Non ripercorro qui l'iter tormentato e non ancor concluso di un'idea che non rappresenta sicuramente la panacea per la scuola italiana ma che, nel nostro caso specifico, può voler dire molto in termini di svecchiamento degli studi musicali (pur attivando una serie di volani rischiosi cui del resto non potremmo, neppur volendo sottrarci già a partire dal contratto di lavoro testé firmato dalle OO.SS.). Occorrerà, semmai, difendere l'Autonomia da sé stessa, dai suoi accessi confindustriali e privatistici. Ma torniamo all'esistente.
Se l'esistente è questo contratto e l'esistente "a breve", prima sicuramente di qualsiasi accordo che preluda alla Riforma, è l'Autonomia, di questo ragioniamo. E forse ne potremo cavare qualche idea per l'immediato futuro.
Perché il titolo "Musica in Kit di montaggio": perché il kit, lo sa bene chi ha operato nel campo della cosiddetta musica antica, rappresenta un modo sufficientemente accet abile e sufficientemente economico per procurarsi uno strumento musicale già pre-sbozzato, da assemblare e rifinire. Se la qualità sovente non è infima, i sospetti, in Italia, sono invece molti, e difatti - mutando quanto può e dev'essere mutato ed uscendo di metafora - in Italia i Conservatori sono, nel bene e nel male (e sottolineo anche "bene") governati secondo un corpus concettuale e legislativo che affonda le sue radici in una weltanschauung elaborata tra il 1918 e il 1930. Ogni fantasia di cambiamento si è arenata su di una normativa antica (anche se forse non così antiquata) e sulle resistenze interne di chi, tra queste norme ha costruito - giustificato o meno - le proprie plaghe di tranquillità e di imboscamento intellettuale.
Oggi, volenti o nolenti, dobbiamo invece fare i conti con il cambiamento: vediamo allora di gestirlo, almeno, in forma sostanzialmente positiva e socialmente oltreché culturalmente utile.
Torniamo ai quattro punti dianzi evidenziati:
Riqualificazione degli studi musicali. Perché? Per metterli al passo con l'esistente, per permettere agli studenti di dialogare con il mercato del lavoro, per proporre professionalità nuove e nuove opportunità, per inventare figure di "cittadini-musicisti", per promuovere l'arma della resistenza culturale contro la barbarie, l'ignoranza e la follia politico-economiche. Per far ciò, oltre ad un'idea di fondo profondamente rivisitata che concerna il che cosa è un musicista alle soglie del XXI secolo, occorrono strumenti didattici e formativi rinnovati. Ecco allora il Riordino dei curricula. Una questione spinosa che sovente trova ostilità o meglio letargica incomprensione anche da parte degli stessi operatori conservatoriali. Riflettiamo su questo e sulle ragioni di tutti.
Ma riordinare i curricula diventa una questione imprescindibile: non inserendo quasi surrettiziamente materie cosiddette "culturali", ma ri-costruendo i percorsi formativi degli allievi. Questo porta con sé, inevi abilmente le altre due questioni: Ridefinizione della figura del docente di conservatorio e utilizzazione delle professionalità presenti tra i docenti.
Ebbene: per far tutto questo, vale a dire per scuotere dalle fondamenta l'apparato degli studi musicali in Italia, una Riforma può esser anche utile, ma non è necessaria. La Riforma, il cambiamento reale lo si può fare in casa, in kit, attraverso l'apparato delle Autonomie.
Una bella sfida e un ginepraio ricco di possibilità e di rischi insieme. Per costruire in kit un liuto decente o un cembalo discreto non basta seguire le istruzioni (che sono il più delle volte scritte in lingua straniera = non abbandoniamoci solo a modelli "esteri"), ma occorre avere una qualche capacità e volontà manuale (= di rimboccarsi le maniche, anche a dispetto delle mortificazioni professionali) e soprattutto avere un paio di concetti-guida sufficientemente chiari. Non si tratta di trovar l'uovo di Colombo, acciaccando il guscio e fors'anche ciurlando nel manico, ma di rendersi conto che tutto il rinnovamento, solo lo si voglia, sta in nuce nella gestione autonoma (ma pubblica) della "cosa musicale".
Il che non vuol (o non vogliamo che voglia) dire l'abbandono del territorio da parte dello Stato, la gretta e, alla lunga, perdente privatizzazione selvaggia che qualcuno insiste a propugnare. Significa attenzione al dato territoriale, umano, specifico, alle idee dei singoli che diventano progetto comune, alla volontà periferica di ottimizzazione e di miglioramento dell'offerta musicale, alle sacrosante esigenze degli utenti senza cedere le armi della didattica, della sua offerta, della produzione e della programmazione a contenitori vuoti come i Ministeri.
Il modello di autonomia può avere un referente universitario, se vogliamo, pur senza accoglierne la tendenza separatista ed elitaria tipica dell'Università italiana. Il Conservatorio (o quel che saprà essere, e non importa qui la denominazione) deve prevedere di far i conti con quello che oggi è, e ragionare, per esempio, in termini di sinergie curriculari per ciò che attiene la fascia "inferiore" e "media" di utenza.
I Conservatori, nell'ambito dell'autonomia ad essi conferita, così come alle Scuole Secondarie, potrebbero istituire al loro interno (o consorziarsi con strutture didattiche esterne per la creazione di) scuole di musica/licei musicali, ove prestano la loro opera pure taluni docenti del Conservatorio (anche non in via esclusiva) [e del resto siamo qui nel campo dell'esistente, almeno in parte, con le medie annesse e i licei sperimentali] e docenti di materie curriculari "culturali" non strettamente professionali, in ruolo nella secondaria di primo e secondo grado o docenti a contratto di livello curriculare adeguato. La Scuola di Musica del Conservatorio, quando venga creata, un po' su modello delle School of Music delle Università anglosassoni, è una emanazione a tutti gli effetti della struttura conservatoriale, pur fornendo un diploma di maturità musicale parificabile ad altri tipi di maturità e che quindi può dar accesso sia ai corsi terminali del Conservatorio, strutturati, non importa se formalmente, ma certo sostanzialmente, come si vedrà più avanti, su modelli para-universitari, sia a Facoltà Universitarie. A questo punto si posson pure prevedere corsi di specializzazione post-diploma (3 anni) che possano fornire professionalità specifiche sulla falsariga delle cosiddette "lauree brevi". Si possono peraltro realizzare corsi di specializzazione "post-terminali" qualora si formino all'interno del Conservatorio Scuole di Perfezionamento in alcune discipline (cfr. per l'esistente, le Scuole di Musicologia dei Conservatori di Milano o Roma, per esempio).
Si toccano qui, di nuovo, i secondi due punti nodali di partenza: Ridefinizione della figura del docente e utilizzazione delle sue professionalità. Se da un lato non si chiede al docente di Conservatorio di comportarsi, nel rapporto con gli allievi e nella costituzione delle classi di strumento, in maniera molto dissimile dall'attuale, nella quale sovente il docente ha anche allievi "di scuola media" o che frequentano licei, dall'altro è ben vero che in questo modo il docente può esser utilizzato anche per diversi insegnamenti, pur diversi tra loro quantunque legati alla sua professionalità, all'interno di un carico di lavoro comunque prefissato ed eventualmente contrattato per prestazioni aggiuntive rispetto ad un monte-ore annuale minimo. Resta comunque imprescindibile una sostanziale modificazione dei programmi di studio che portino all'attivazione di corsi particolari per la "fascia superiore" (della durata di 4/5 anni e con una quota di insegnamenti da seguire simile a quella di corsi universitari).
Questo significa ridisegnare curricula e programmi così come figure docenti, utilizzando in maniera consona le specificità professionali degli insegnanti: non più venti o più indistinte classi di pianoforte, ad esempio, che affrontano tutte un programma vasto e imprecisamente definito che va dai clavicembalisti settecenteschi ai giorni nostri, ma diverse classi specializzate in periodi o aree geo-culturali cui lo studente afferisce sincronicamente e/o diacronicamente nel corso degli studi conservatoriali: non più utilizzazioni fantasiose dei docenti in esubero, ma docenti utilizzati su cattedre attivabili sulla base dei titoli curriculari e professionali dei singoli insegnanti che in qualche modo possono assomigliare a lunghi e ben strutturati 'corsi di perfezionamento' monografici utilizzabili in loco dai discenti e non rinviati a disponibilità anche economiche 'estive' o costituire un plafond di offerte diversificate sia di tekhné strumentale che di cultura musicale.
Certo è che una visione del genere degli studi musicali, che può star dietro l'angolo se si lasciasse perdere l'accanimento ideologico-corporativo con cui si seguono le vicende dei progetti di Riforma e si ponesse maggior attenzione agli sviluppi della questione Autonomie, richiede una visione del pianeta studi musicali sufficientemente avulsa dal tradizionale approccio cui molti docenti sono fatalmente (geneticamente) legati e molti discenti colposamente affezionati.
Pensare a materie a statuto attivabili o meno, per la gran parte "nuove" ma necessarie (dall'economia e management musicale dall'improvvisazione, dalla sociologia della musica alla biblioteconomia, dalla pratica dell'accompagnamento all'analisi, per citarne solo pochissime) o alla partizione del sapere musicale in aree di competenza specialistica (letteratura pianistica del periodo 'classico' o 'moderno' o 'romantico', letteratura pianistica russa piuttosto che austro-tedesca ecc) non è certo un fatto così abituale, ma un giovane di 19 anni, che ha superato fasi di apprendimento musicale per un totale di almeno otto anni sotto la sorveglianza o il controllo delle maestranze conservatoriali (si potrebbe accedere alla parte terminale dei corsi per titolo di maturità musicale o per maturità "generica" più prova pratica specifica/test per numero chiuso?), può essere in grado di affrontare il mondo, la realtà di più docenti, anche dello stesso strumento, oltre al proprio "tutor", la realtà di materie ed indirizzi d più ampio respiro.
Tutto in un kit. E' una bella scommessa.
Poi verranno definizioni di aree contrattuali, status giuridico-economico e quant'altro: per adesso cerchiamo di lavorare per il futuro della musica. Anzi: forse un indirizzo forte in questo senso una "sperimentazione per" di questo "kit" potrebbe anche condizionare ogni progetto riformativo, riducendolo ad una sorta di Legge Quadro a posteriori. Vincere, ma anche solo proporre, una sfida di questa entità da parte del mondo musicale italiano può non essere poco. Val la pena di tentare, soprattutto in un orizzonte incerto dal punto di vista politico ove riaffermare il primato del lavoro e dei valori sociali e culturali.