GIULIO CASTAGNOLI
Conservatorio di Torino

"Nemo per se satis valet ut emergat".


Per introdurre il mio intervento leggo da Seneca: ad Lucilium, V, 52:

"La nostra strada è piena di ostacoli; perciò dobbiamo lottare e chiamare qualcuno in aiuto. Chi chiamerò? mi domanderai Questo o quello? Puoi risalire fino agli antichi che sono a nostra disposizione. L'aiuto ci può venire non solo dai viventi ma anche da quelli che non ci sono più ("Imus per obstantia. Itaque pugnemus, aliquorum invocemus auxilium. Quem - inquis - invocabo? Hunc aut illum? Tu vero etiam ad priores revertere, qui vacant; adiuvare non possunt non tantum qui sunt, sed qui fuerunt").

Spronato dal Filosofo, mi rivolgo ad un testo del IV secolo, il sapienziale Zhuan-zi, un classico del Tao. Eccovene un estratto:

"Che uomini completi erano gli antichi! Pari agli spiriti e alle intelligenze superiori e partecipi della quintessenza del cielo e della terra, curavano lo sviluppo di tutti gli esseri e armonizzavano il mondo intero. (...) Quando il mondo cadde nel gran disordine, i saggi non si manifestarono più. Non vi fu più unità nella dottrina. Troppe persone si accontentavano della loro visione frammentaria. Le cento scuole, delle quali nessuna possiede una visione globale, sono opera di spiriti limitati".

Entrambi i testi lodano gli antichi. Non credo di essere un laudator temporis acti anchio, ma un modesto osservatore della realtà. Sappiamo che un tempo la nostra scuola andava meglio. I frutti del recente passato, del resto, sono sotto gli occhi di tutti: i musicisti italiani sono insediati sui principali podi di orchestre e teatri del mondo intero come direttori, compositori, strumentisti, cantanti... Dunque il Conservatorio - nomen omen! - funzionava. Certo, i programmi invecchiano come tutto. Aggiorniamoli, miglioriamoli, ma non perdiamo di vista l'unità e l'armonia dello sviluppo di chi sceglie di frequentare la scuola. Il vecchio Conservatorio forse calcava la mano su un rapporto quasi confidenziale tra maestro ed allievo, ma non sbagliava affatto nel considerare questa relazione come fondamento dell'educazione.

Non dobbiamo minimamente curarci dell'incredulità dei colleghi di altri istituti. Come ci dice Zhuan-zi, le cento scuole sono opere di spiriti limitati e possono forse andar bene per formare specialisti, tecnici, scienziati... ma certamente non artisti.

La saggezza del Tao prosegue nel dirci che, quando si perde "l'unità della dottrina, troppe persone si accontentano della loro visione frammentaria. Riducendo la visione integrale degli Antichi, rari sono coloro che giungono ad abbracciare le bellezze dell'universo. Le cento scuole sviluppano all'infinito i loro sistemi, come costrette ad andare avanti senza poter tornare indietro, e non potranno mai incontrare la verità".

Certo oggi intorno a noi e, forse sopra la nostra stessa testa, qualcosa si sta muovendo perché la nostra istituzione cambi, e cambi contro la nostra volontà, ignorando il nostro punto di vista. Dobbiamo dunque chiedere aiuto a qualcuno, tendere la mano a persone amiche, anche perché, nuovamente con Seneca, "Nemo per se satis valet ut emergat; oportet manum aliquis porrigat, aliquis educat" (cioè: "nessuno ha abbastanza forza per emergere da solo; bisogna che qualcuno ci porga la mano e ci tiri fuori").

Non ritengo assolutamente opportuno prendere a modello di un progetto di riforma, sia pure parziale, unistituzione fallimentare come l'Università italiana di oggi, che grida ai quattro venti la propria incapacità ad agire costruttivamente in campo di educazione e di produzione di cultura. Forse bisognerebbe ricordare qui, invece, l'antica Università dei primi anni del dopo guerra, con i grandi uomini che illuminavano con la propria esperienza i giovani, selezionati per lo più per merito. Il sovraffollamento delle stesse aule universitarie di oggi dovrebbe invece suggerirci di badare bene a non oltrepassarne la soglia.

Credo invece che le tedesche Hochschule für Musik, che ho avuto il piacere di frequentare come allievo una dozzina di anni fa, siano un buon esempio per chi si debba occupare della nostra riforma. La ricetta del loro buon funzionamento, oltre ad una notevole selezione del corpo docente e degli allievi stessi, sembra essere lautonomia: un pizzico di quella finanziaria, molto di quella didattica. Fornitissime biblioteche, belle sale, esami che sono anche concerti pubblici, con la cittadinanza non solo invitata, ma sempre presente, centri sotto l'egida dellAccademia stessa che, oltre alla diffusione della musica doggi, fungono anche da palestra per giovani strumentisti, direttori, cantanti.

Si fa un gran parlare dEuropa: proprio in quella sede nascono progetti artistici su larga scala, si finanziano nuovi istituti, si pensa al lavoro giovanile, anche di grande specializzazione. Dunque, che l'Europa civile ci porga la mano: con Seneca, ancora una volta, "Chiedi aiuto a colui che ammiri per averlo visto all'opera più che per averlo ascoltato. Rivolgiamo la nostra scelta non a coloro che buttan giù parole a precipizio, svolgendo luoghi comuni, ma a quelli che insegnano anzitutto con la loro vita" ("Eum elige adiutorem quem magis admireris cum videris quam cum audieris. Eligamus non eos qui verba magna celeritate praecipitant et communes locos volvunt sed eos qui vita docent", ibid.).


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