L'esotismo al contrario:
i cantanti lirici coreani nei Conservatori italiani.


E' noto che le classi di Canto dei Conservatori di musica dell'Italia settentrionale sono oggi frequentate almeno al cinquanta per cento da cantanti lirici coreani. Da tre anni il fenomeno, che a Milano si è presentato da più di un decennio, si è esteso anche al Conservatorio "Lucio Campiani" di Mantova dove, quest'anno, è l'ottanta per cento degli iscritti a Canto a provenire dalla Corea del Sud.

Gli allievi coreani, donne e uomini, di un'età compresa tra i venti e i trent'anni, arrivano senza sapere nulla della lingua e della cultura italiane. Confidano nella universalità della comunicazione musicale, ma si trovano poi di fatto a dover frequentare tutte le materie previste dai programmi ministeriali per questo tipo di corso: Letteratura poetica e drammatica, una storia dei generi letterari e teatrali; Arte Scenica che affronta gli aspetti teorici e pratici della scena teatrale, con cura particolare per la dizione; Storia della musica, un corso in due anni sulle forme musicali dai Greci al Novecento. E altre ancora. Come si vede, le ore di effettiva prassi musicale (pianoforte, canto solista o coro) sono davvero poca cosa rispetto alla mole di ore di insegnamento che si avvale, come di consueto, di spiegazioni, verifiche, interrogazioni, ecc. In lingua italiana ovviamente.

Anche se questo improvviso tipo d'impegno interculturale offre certamente motivi di grande interesse, gli insegnanti del Conservatorio di Mantova si sono dovuti, come i loro colleghi delle altre città, da un giorno all'altro improvvisare, prima di tutto, insegnanti di lingua, sforzandosi di avvicinarsi di lezione in lezione ad una realtà veramente lontana e difficile da decifrare. Con programmi e prove d'esame uguali per tutti...

Così il Conservatorio di Mantova intende adesso impegnarsi a capire meglio cosa stia succedendo - e ci risulta sarebbe la prima volta che lo si fa pubblicamente - invitando alcuni esperti ad esplorare il fenomeno e ad arricchire la riflessione. La cosa ci sembra riveli più di un motivo di generale interesse.

Appare evidente che per i coreani si tratta di una ricerca di modelli colti occidentali, mediati dal Giappone, ma di provenienza statunitense (si pensi al grande successo mondiale di Luciano Pavarotti); si parla inoltre di una certa affinità spontanea tra le modalità di emissione di certi canti di loro tradizione e quelle del canto lirico europeo.

C'è poi quella straordinaria, e per noi, da secoli fantasiosi ammiratori dell'Oriente, davvero incomprensibile volontà di dimenticare il passato che alcune culture asiatiche sembrano perseguire. E i coreani a lezione non mancano infatti di stupirsi e sottolineare, anche se sono qui per questo, il nostro opposto sforzo scolastico a tentare di conservare e ricordare.
E ci saranno senz'altro questioni pratiche di convenienze reciproche, visto il valore riconosciuto in Corea ai diplomi conseguiti in Italia e il calo demografico della popolazione scolastica nei Conservatori italiani. Ma tutto questo non toglie nulla all'enorme fatica mentale cui si sottopongono questi nostri allievi coreani (per altro di intelligenza e memoria fuori dal comune) e alla forte determinazione di una cultura che cerca di impossessarsi di una diversità profonda.
In questo confronto, al solito, sarà possibile individuare meglio la nostra stessa identità occidentale (almeno musicale) che sembrerebbe ancora, questione di un certo imbarazzo, assolutamente vincente sul piano mondiale.