LETTERA SULLA RIFORMA
Avendo preso visione in questi giorni del testo di Riforma per Accademie
e Conservatori, approvato dalla Camera, desidero esprimere particolare
approvazione per i contenuti qualificanti del testo medesimo.
Ho assunto l'incarico di Direzione, con nomina elettiva, il 10 novembre
1997, con un preciso programma di rinascita del Conservatorio di Venezia.
Tale programma difficilmente sarebbe realizzabile senza la riforma.
Anche se intendo continuare la mia attività concertistica, elemento
tra l'altro determinante nell'elezione, come Direttore ho iniziato la lettura
di un numero quasi infinito di leggi, decreti, circolari, che vanno dal
1912 ad oggi, e tuttora governano le nostre maggiori istituzioni musicali
statali. In nessuna struttura didattica si opera in condizioni di così
grande confusione normativa; solo questo fatto renderebbe di per sé
urgentissimo, dopo quasi un secolo, un impegno preciso del legislatore
per l'istruzione artistica.
In ogni modo questa lettura può essere interessante, oltre che
per uno studioso di diritto, anche per un musicista, infatti mi ha condotto
ad una serie di riflessioni che desidero esporre: dopo aver letto la legge
del 1918 ed i successivi decreti fino agli anni '50, ho pensato: quanto
poco sappiamo sul Conservatorio e su quello che poteva diventare! L'essere
oggi invischiati fra incoerenti e inapplicabili normative della secondaria
sembra, agli occhi di molti colleghi, normale, sembra la giusta collocazione
di una classe insegnante poco capace e di una struttura di livello secondario,
preparatoria alle varie accademie private. Personalmente ho sempre contrastato
questa idea, anche per ragioni familiari: mio padre Camillo, pianista e
compositore, 1927/1991, che oggi senz'altro gioisce per la mia nomina,
ha studiato e poi insegnato al "B. Marcello" e mi ha descritto più
volte cos'era il Conservatorio. Ma mi rendo conto che basterebbe leggere
la storia "legislativa" di queste istituzioni per capire che esse, in origine,
non avevano nulla a che fare con la scuola secondaria e che la loro collocazione
naturale, dopo un possibile decentramento delle prime fasi dello studio,
sarebbe stata universitaria, come avviene all'estero, e questo già
50 anni fa. Solo un esempio: il Consiglio superiore delle antichità
e delle arti, descritto nella legge del 1947, diviso in 5 sezioni, vedeva
docenti universitari e docenti di accademie e conservatori lavorare gomito
a gomito. Conoscono questo particolare coloro che considerano la riforma
solo come una rivendicazione corporativa per raggiungere privilegi economici
universitari, quando l'istruzione musicale era nata già nel 1918
con una configurazione per lo meno quasi universitaria? Leggere leggi e
decreti dal 1912 al 1980 è come leggere una storia al contrario,
un'involuzione, un degrado progressivo, è come vedere un oggetto
prezioso che perde poco a poco, norma dopo norma, le proprie caratteristiche
migliori, senza per altro essere sostituito, cosicchè l'unico risultato
finale è quello di perdere qualcosa. Non riesco proprio a capire
come oggi sia possibile che la riforma abbia ancora tanti avversari o,
per lo meno, è poco decoroso che li abbia tra i professori di Conservatorio.
Per queste e per tante altre ragioni auguro una sollecita e definitiva
approvazione della legge che, dopo tanti anni, recupera grado e dignità
alle nostre gloriose istituzioni. Spero così di poter dare il mio
contributo, nella sede di Venezia, affinché il passaggio dalla vecchia
alla nuova normativa avvenga nel migliore dei modi.
(Testo ricevuto per la pubblicazione il 4 gennaio 1998).