Qui di seguito riportiamo gli appunti di viaggio di Silvio Vernero che, insieme ad Aldo Vico ( presidente della nostra associazione) ed altri amici ha partecipato al trekking da Coazze, piccolo comune di montagna situato sulle Alpi a ridosso di Torino, fino a Ventimiglia percorrendo in diciotto giorni tutte le vallate delle Alpi Cozie e Marittime che separano la Val Sangone dal mare.

Il trekking si è svolto in completa autonomia, senza alcun mezzo di appoggio, con l'ausilio di due mule ed un cavallo che trasportavano le tende, il materiale da campo, i viveri e i bagagli personali.

 

DALLA VAL SANGONE AL MAR LIGURE

 

"Il viaggio più lungo

incomincia col muovere il piede di un passo"

( C. Rocchi)

 

Bisognerebbe non conoscere Aldo per stupirsi dell'idea di organizzare un trekking someggiato da Coazze a Ventimiglia; diciotto tappe attraverso un numero impressionante di vallate: Chisone, Germanasca, Pellice, Po, Varaita, Maira, Stura, Parco del Mercantour, Val Roja.

Bisognerebbe non averlo visto con i suoi muli, dai quali ha mutuato qualcosa dell'implacabile capacità di inseguire passo dopo passo, zoccolo dopo zoccolo le sue idee o, come dice spesso lui, il "suo sogno".

Ma tant'è, evidentemente siamo di pasta simile, pur non ammettendolo, anch'io, Claudio e Nino, il grande ferrarese, il "Camatar".

Talvolta si creano delle alchimie strane per cui quattro uomini con personalità notevolmente diverse e talvolta opposte concorrano inconsciamente a formare un tutt'uno, un gruppo, naturalmente insieme a loro: Marilù (seicento chili di muscoli e pelo nero), Esther (sguardo sbarazzino ed energia da vendere, anche in capricci) e Lampo il cavallo, l'animale nobile eppure così disposto a farsi "soldatino" dietro al cocciuto buon senso dei muli.

Si parte una mattina di luglio, il più piovoso degli ultimi cinquant'anni; Aldo si alza molto presto e, volenti o nolenti, ne veniamo contagiati, anche nel partecipare a sardanapalesche colazioni di irritante durata e quantità.

Terminato di mangiare, ci si avventura fuori dall'alpeggio nel quale abbiamo dormito, quello di Alfonso, al Sellery a Monte, quota m. 1850, per preparare gli animali.

E' un cerimoniale al quale parteciperemo tutte le mattine. Occorre posare la coperta in groppa, sistemarvi sopra il basto o la sella, tendere il sottopancia, il sottocoda e la braga, soppesare le borse prima di decidere su quale lato sistemarle. Ciascun animale porta da cento a centocinquanta chili che devono essere equilibrati il più possibile per non creare difficoltà nei passaggi più difficili.

Ci congediamo dal nostro "oste" con un abbraccio sincero e affettuoso e un arrivederci al mese prossimo.

Al passo lento e cadenzato delle nostre mule la marcia comincia. Senza sembrare gravata dal suo carico Marilù avanza con passo regolare, mai precipitoso, ma la lunga falcata delle sue gambe la porta lontano in fretta, costringendoci rapidamente a verificare quanto allenamento abbiamo immagazzinato con le uscite degli ultimi tempi. Le soste sono rare, non perché ci si senta ad una competizione, ma per il timore di rompere ritmo e fiato.

Le salite, con dislivelli giornalieri di ottocento-mille metri, ci fanno spesso stringere i denti:: Colle della Roussa, Giulian, Baracun, la Gianna, ecc.; ma il peggio sono le discese ripide fra i sassi o sui prati viscidi con gli scarponi piantati a frenare gli animali per evitare che prendano andature proibitive o si espongano a pericolosi scivoloni.

I garretti si infiammano, i muscoli si tendono, il sudore scorre a rigagnoli. Le esclamazioni fioriscono mentre i nostri equini approfittano di ogni momento di pausa per brucare senza ritegno ciuffi d'erba fresca e cespugli di pino mugo.

Passo dopo passo arriva la sosta del pranzo, spesso sulla cima o nei pressi dei colli da scavalcare; una mezz'oretta di riposo, una barretta di cioccolato, qualche battuta, qualche foto e poi si riparte per la discesa verso il fondovalle e la tappa di riposo.

La scelta del luogo dove dormire non è mai casuale ma spesso dettata da un improvviso e automatico accordarsi. Ci si legge negli occhi a vicenda che "quello è il posto" e ci si ferma.

A questo punto il rituale ricomincia. Gli animali vengono, per prima cosa, sbastati e sistemati per la notte e noi ci si divide le incombenze quasi senza bisogno di parlare; chi prepara la cena, chi controlla le vettovaglie e le attrezzature, chi ripara le parti in tela o cuoio rottesi nella giornata, chi fa il punto della situazione e trascrive dati e appunti.

Mi accorgo che, raccontandola così, sembra essere una tranquilla marcia dalle Alpi al Mar Ligure, persino un po' monotona nel ripetersi delle situazioni. Non è stato proprio così. Ricordo che, al ritorno, novello replicante, mi sentivo spesso raccontare che "questi occhi hanno visto cose e questi piedi hanno fatto passi e queste mani stretto mani e queste bocche parlato con altre bocche e questi cuori battuto insieme ad altri cuori".

" Una margaria in Val Chisone con una bergera dal viso nobile e stupendo e forte come le sue braccia.

Una tavolata di sconosciuti con cui dividere pane e salame ad Agape, sopra Ghigo di Prali.

Una magnifica famiglia valdese che ci ha accolto e nutrito dopo una bufera di acqua in mezzo ai boschi della Val Germanasca, e ospitati in casa, coperti di fango come eravamo eppure così belli tutti in quel momento.

I mille rigagnoli d'acqua della Val Pellice.

Il Monviso che ci è apparso pian piano, pezzetto dopo pezzetto, sul crinale del Colle della Gianna.

Il mare davanti agli occhi, una distesa blu; come quella verde dei mille prati sui cui avevamo camminato.

E sassi, cuoio, risate, cielo, acqua, fuochi, piaghe, nuvole, erba, freddo, odori di montagna".

Sì, anche puzza, nostra e di quegli adorati quadrupedi che ci accompagnavano. O eravamo noi ad accompagnare loro? Che avessero sempre saputo che si andava al mare?

 

( Silvio Vernero)