«Dal Kurdistan al Ruanda. La mia guerra alle mine» |
Gino Strada, fondatore di Emergency,
va in giro per il mondo a operare i feriti dalle bombe |
Pappagallo verde è il nome di una mina che funziona
ad accumulo di pressione.
Non scoppia quando uno la comprime, con le mani o
con i piedi, ma dopo una certa serie di toccamenti e di pressioni. È un'astuzia
per aspettare che tanti altri (bambini, scolari donne) siano corsi lì: è una
mina da strage.
Com'è fatta esattamente? «Eccola» e mi indica una
foto sul muro. Ha la forma di un uccello in volo, ad ali aperte. Piccola, dieci
centimetri di larghezza. «Un'ala è più grossa dell'altra, è tenera e gonfia:
viene voglia di premerla, premendola, un po' alla volta, si carica il
meccanismo detonatore, e la bomba ti scoppia in mano».
Colui che mi parla è un «chirurgo militare»
italiano, Gino Strada. Va in giro per il mondo a operare i feriti da mine,
quindi nelle immediate retrovie di guerre, rivoluzioni, guerriglie.
È appena tornato a Milano, nella sede di «Emergency»,
zona San Babila, dopo anni di lavoro in Kurdistan, Afghanistan, Ruanda,
Etiopia, Angola, Perù, Cambogia, Gibuti, Bosnia. Ha una barba corta, color pepe
e sale. Sta lentamente fabbricandosi a mano una sigaretta, con carta velina e
tabacco sciolto." Vorrei capire la psicologia di chi usa le mine. Sparare
una bomba deve essere "remunerativo", dicono i testi militari: il
nemico che uccide deve valere più della bimba che perdi.
Perché tagliare braccia e gambe a cento bambini è un
guadagno? "Per i militari è conveniente sacrificare bambini piuttosto che
adulti. Quando c'è da attraversare una zona minata, si tende a risparmiare il
soldato: si mandano avanti i bambini. Per il nemico, mutilare i bambini è
remunerativo perché mette in ginocchio la popolazione. Tu mutili cento bambini
e diventano cento bocche da sfamare: per sempre e inutilmente. E' così che la
guerra è cambiata e oggi si colpiscono prima le donne e i bambini! La nuova
tattica militare dice: prima i civili. E i turisti. E i Missionari.
Una volta le mine si posavano costruendo campi
minati, che seguivano una mappa, utile poi per lo sminamento. Per firmare la
pace era obbligatorio consegnare la mappa. Non è più così. Oggi si fa un giro
in elicottero e si sganciano diecimila mine a pioggia, da molto in alto: dove
vanno vanno. O si passa per le strade con l'"Istrice", una macchina
semina-mine, che spara in aria le mine come si sparano i piattelli, solo che ne
spara 1000-1200 al minuto. Il bambino se le trova sulla porta di casa».
«Saddam disse: "Io mi ritiro, ma il mio
esercito resta", alludendo alle mine. Le mine restano là come dei
"cecchini fissi"?». «Sì, con la differenza che il cecchino ha un
bersaglio, mentre la mina è cieca».
«Lei nelle sue memorie parla di qualcuno che ha
visto la mina prima di pestarla e tuttavia dopo l'ha pestata. C'è un tempo in
cui la mente vede la mina, ma il corpo non può evitarla? Quanto dura, due
secondi?». «La metà: un secondo. È capitato anche a me. Avevo il piede in aria,
ha visto la mina, ho spostato il piede in volo un po' più in là. Un secondo non
di più».
«È facile, psicologicamente, mettere le mine, perché
non si vede il bersaglio?». «Sono convinto di sì. È più facile bombardare e
distruggere una intera città che torturare un solo prigioniero».
«Lei ha incontrato un cecchino, in Bosnia, che
sparava a bambini di 6 anni e per giustificarsi diceva: "Fra 10 anni, ne
avrà 16". Cosa odia, quel cecchino, del nemico? La stirpe? La
generatività?». «Odiava di più. Perché era una cecchina. Una donna che si
nascondeva con il fucile di fronte alle case per sparare a bambini piccoli che
uscivano in cortile a giocare. Odiava la vita, il mondo. Se stessa. L'umanità».
«Ho in mente un bambino, da lei operato e salvato,
che rivedendosi mutilato tenta il suicidio, chiudendo la testa in un sacchetto
di nailon. Cos'è che sopportano meno, i bambini mutilati dalle mine: la perdita
delle braccia? delle gambe? o degli occhi?». «Non c'è dubbio: degli occhi Il
buio. Quando giri per una città come Kabul, incontrare tanti mutilati è
normale. La gente porta in giro gli arti monchi come qui le donne portano in
giro la pelliccia. Chi in Afghanistan oggi ha vent'anni, son vent'anni che vede
arrivare i mutilati ogni giorno. Per i bambini di Kabul perdere le gambe è come
per i bambini occidentali perdere le tonsille ".
"Forse per questo nelle sue memorie, così
terribili, non c'è mai un grido, non c'è mai pianto?". "No, non c'è.
Nei paesi poveri che fan la guerra, i feriti, anche piccoli, anche di pochi
anni, non piangono mai".
"C'è addirittura un mujahedin-bambinoafghano
che si nasconde in un angolo della terrazza, di sera, per cantare sottovoce,
una nenia, come ispirato. Ed è senza gambe ". "Si, ma quello è strafatto
di hashish. Non si fa di hashish solo dopo la mutilazione. si faceva anche
prima da combattente".
"Non capisco cosa succede in Ruanda: quelli che
escono dalla messa delle nove aspettano la messa delle undici, per fare a pezzi
quelli che entrano. Ci sono messe separate per razza ?". "Certo. Il
Ruanda è letteralmente un paese che non sa mettere i fedeli in chiesa, ha il
più alto tasso di cattolici, credo intorno al 90 %. Quindi fa messe separate.
Ma la radio incitava giorno e notte gli hutu a uccidere tutti i tutsi, e una
madre hutu, che aveva dei figli da un marito tutsi prese il machete e li fece a
pezzi".
"Alcuni ufficiali nazisti ha fatto così: scoperta
una moglie semi-ebrea, avvelenandoli. Un'autopurificazione ". "Infatti
io credo che qui stiamo ragionando sulle mutazioni genetiche del seme
originario che è l'olocausto. Fare a pezzi un milione di persone, in pochi
mesi, con i coltelli è un lavoro massacrante: anche perché quelli scappano, li
devi rincorrere, devi fare dell'inseguimento e uccisione in ogni ora della tua
vita ".
"Operare al fronte è un lavori rischioso,
spesso mortale, Chi lo fa, come lei, è pronto a pagare con la vita. Ma pagare
che cosa? L'essere europeo? essere occidentale ?Cos'è dunque,
un'espiazione?". "No. Non ho questo dentro di me. Ho dell'altro.
Venuto a contatto con queste situazioni, dove non si può fare niente, dove
tutto è perduto, ho voluto tenatre di vincere. Il pericolo ha anche un richiamo
l'avventura".
"Ma nel suoi libro di memorie, intitolato
"Pappagalli verdi", che uscirà fra qualche giorno da Feltrinelli, lei
parla di un'amica neozelandese che lavorava per "Emergency", faceva
il massimo che poteva, scherzosa, gioiosa, che a un certo punto si è uccisa,
spiegando il gesto col "rimorso di non fare abbastanza ".
"Ah si, me la ricordo sempre. Si chiamava Glen.
Generosa, preziosa Glen. La sua morte è un mistero. Credo che non la capirò
mai. "Emergency" mi ha riempito di esperienze che non so spiegare. La
morte di Glen è una di queste.
Ferdinando
Camon