CAMPAGNA ITALIANA PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE

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Il 3 dicembre 1999 ricorre il secondo anniversario dall'accettazione del Trattato internazionale di Ottawa per la Messa al Bando delle Mine, a cui anche l'Italia ha aderito, con firma e ratifica.

Per commemorare l'avvenimento, abbiamo voluto fornire agli organi di stampa e di comunicazione i seguenti materiali informativi e di documentazione di rilievo:

1. Mine: il cammino che resta

2. Le mine in Kosovo

3. Le mine e i bambini

4. Monitoraggio delle Mine - Rapporto Mondiale 1999

5. La Campagna Italiana per la Messa al Bando delle Mine

Si prega di utilizzare ampiamente questo materiale, data l'urgenza e l'importanza dell'argomento e dell'evento.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti:

segreteria nazionale p. Marcello Storgato, sx

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Si prega dare risalto anche al conto corrente della Campagna, per coloro che volessero contribuire appoggiando la Campagna e i suoi progetti:

c/c postale 189241 intestato a Mani Tese-Campagna Mine

c/c bancario n. 16647 presso Banca Popolare di Milano, agenzia 508, intestato a Mani Tese-Campagna Mine

Grazie di cuore.

p. Marcello Storgato

Missionario saveriano, promotore della Campagna

EXECUTIVE SUMMARY

 

Mine: il cammino che resta

Rapporto della Campagna Italiana per la messa al bando delle mine

 

Il rapporto "Mine: il cammino che resta" è il primo tentativo della Campagna Italiana per la Messa al Bando delle Mine di fornire una base documentale accurata sul percorso di revisione della politica dell'Italia , solo pochi anni fa leader mondiale per la produzione e il commercio di mine terrestri, oggi una delle nazioni all’avanguardia per impianto legislativo nell'interdizione di questo sistema d'arma. Il rapporto costituisce la versione rivista e aggiornata del capitolo italiano del Landmine Monitor Report 1999, redatto dalla Campagna Italiana per l'Osservatorio sulle Mine della Campagna Internazionale (ICBL).

Il titolo scelto per questo rapporto ribadisce incontestabilmente come il dossier mine non possa considerarsi risolto, per l’Italia, con l'adozione della legge nazionale 374 del 29 ottobre 1997, con la firma del Trattato di Ottawa del 3 dicembre 1997 e la sua ratifica il 23 aprile 1999 (la Convenzione è entrata in vigore per il nostro paese il 24 ottobre 1999). La formulazione dell'impianto normativo di messa al bando, sia sul piano nazionale che internazionale, rappresenta piuttosto una tappa preliminare, nonché uno strumento efficacissimo di riferimento e riscontro per l'avvio di un processo di monitoraggio diretto su come gli impegni formali dei governi si trasformino o meno in azione coerente e trasparente. Da questo punto di vista, sarà di estremo interesse verificare il livello di trasparenza e di informatività del primo rapporto che il Ministero della Difesa dovrà consegnare alla Nazioni Unite entro la fine di marzo 2000, ai sensi dell'articolo 7 della Convenzione di Ottawa, ed in base all’articolo 7 della legge di ratifica 106/99.

Laddove esercitato con scrupolo e serietà, il processo dello scrutinio ("societal verification") richiama alla sostanziale e ineludibile autonomia della società civile rispetto al mondo governativo ed istituzionale. In quest’ottica, la Campagna Italiana ha ritenuto che la pubblicazione del rapporto fornisse un pretesto intelligente e creativo per far avanzare la battaglia del nostro paese contro queste armi, attraverso la sollecitazione di un continuo interscambio tra gli attori coinvolti a vario titolo nella vicenda delle mine terrestri. Poiché ci muoviamo in un terreno del tutto nuovo, il grado di reciprocità ed il livello di trasparenza in molti passaggi del processo attuativo delle norme vigenti sulle mine resta tutto da esplorare.

Il rapporto esamina in dettaglio la politica italiana in fatto di produzione, uso, trasferimento, commercio, stoccaggio, e distruzione delle mine; il ruolo e la responsabilità delle aziende italiane nella fabbricazione e commercializzazione delle mine, con un profilo aggiornato di suddette imprese, alla luce degli inevitabili riassetti aziendali; le attività intraprese per la distruzione degli stock di mine accumulati dalle aziende e dalle forze armate; l'impegno dell’Italia a favore dell’azione umanitaria contro le mine.

I dati più salienti del rapporto segnalano:

il cambiamento della politica sulle mine terrestri a partire dal novembre 1993, quando il Governo italiano blocca la concessione di ogni autorizzazione all'esportazione delle mine antipersona, attraverso il passaggio intermedio della moratoria unilaterale su produzione e commercio del 2 agosto 1994, fino all'approvazione in Parlamento delle Norme per la messa al bando delle mine antipersona, (legge 374 del 29 ottobre 1997), ed alla firma del trattato di Ottawa il 3 dicembre 1997, con la successiva ratifica del 23 aprile 1999 (legge 106/99).

gli aspetti positivi della legislazione italiana che derivano dall'esplicitazione di alcuni importanti principi, primo fra tutti una definizione molto ampia ed avanzata di mina antipersona tale da includere le mine duali e le mine anticarro dotate di congegno antirimozione (articolo 2). Inoltre la legge bandisce la ricerca tecnologica e il trasferimento di brevetti; prevede severe sanzioni, sia civili che penali; impegna il Governo a presentare al Parlamento, ogni sei mesi, una relazione sullo stato di attuazione della legge; abolisce ogni regime di segretezza (militare o di Stato) sulle mine terrestri; contempla la distruzione delle scorte entro cinque anni dall'entrata in vigore della legge. Questa normativa, malgrado le inadempienze, garantisce al nostro paese una posizione di tutto rispetto anche sul piano internazionale, per quanto attiene alla attuazione dell’articolo 9 della Convenzione di Ottawa, che chiede agli stati membri di intraprendere "tutte le opportune misure legali, amministrative e di altra natura, inclusa l’imposizione di sanzioni penali (...) per prevenire e sopprimere ogni attività proibita ai sensi di questa Convenzione, che sia intrapresa da individui o sul territorio sotto la giurisdizione di uno Stato Membro". Alla prima conferenza degli Stati Parte della Convenzione, tenutasi a Maputo lo scorso maggio, la Croce Rossa Internazionale sottolineava con preoccupazione l’esiguo numero di leggi nazionali in grado di colmare le lacune attuative del Trattato contro le mine.

Detto ciò, il processo di ratifica del Trattato di Ottawa ha rischiato di inficiare ed azzerare sostanzialmente il valore aggiunto della legge nazionale, fornendo un’occasione preziosa a chi intendeva riallineare l’Italia su posizioni e standard normativi meno avanzati, soprattutto in termini di definizioni. Questo disegno, sventato non senza un faticoso lavoro negoziale, ha in ogni caso indebolito alcuni tratti qualificanti della legge 374/97, soppiantati di fatto dalla successiva legge 106/99 di ratifica. Questa considerazione vale in particolar modo per l’applicabilità del Trattato di Ottawa (e non più della legge nazionale) nei confronti di forze armate di altri stati che stazionino in Italia in base ad accordi internazionali; per le nuove e meno severe previsioni relative agli stock di mine accumulate presso le basi Nato in Italia, di fatto trasferibili per la loro custodia in altri paesi membri dell’Alleanza, inclusi quelli - come la Turchia - che non hanno aderito al Trattato di Ottawa; per l’incarico assegnato al ministero della Difesa quale autorità competente in materia di applicazione del Trattato.

Dopo aver delineato lo sviluppo dell'industria italiana delle mine terrestri, che nasce all'inizio degli anni '70 attorno a tre piccole aziende (Valsella e Misar di Brescia e Tecnovar di Bari) destinate in breve tempo ad affermarsi sul mercato internazionale realizzando notevoli profitti, almeno fino alla fine degli anni '80, appare realistico sostenere oggi che la produzione di mine in Italia è una pagina definitivamente chiusa. A fronte di questo dato sostanzialmente incoraggiante, tuttavia, la Campagna segnala con preoccupazione la questione delle esportazioni di componenti delle mine, soprattutto esplosivi, che possono nascondersi all’interno di alcune voci doganali del capitolo 36 dell’Harmonized System. Esaminando le cifre delle esportazioni di materiale esplosivo e di detonatori dall’Italia verso i paesi extra Unione Europea, si vede come possano essere considerati a rischio di fornitura di componenti di ordigni esplosivi tre paesi, verso cui l’Italia ha esportato per più di 1 milione di dollari tra il 1993 ed il primo semestre 1998: la Slovenia, la Sierra Leone, la Guinea. Il materiale eplosivo potrebbe essere sfuggito ai controlli della legge 185/90 sul commercio delle armi e della legge 374/97 contro le mine sotto la denominazione di componenti "industriali" o "non militari".

Sono in buona sostanza nove i tipi di mine nostrane prodotte direttamente in Italia, ovvero all’estero (soprattutto Singapore, Egitto, Spagna e Grecia) su licenza, che hanno avuto una vasta diffusione, infestando numerosi paesi del mondo: la Valmara 69 (venduta ad Iraq, Sudafrica, Somalia), la VS 50 (venduta a Gabon, Iraq, Marocco) e la VS JAP della Valsella Meccanotecnica; la SB 33 (venduta ad Argentina, Spagna, Grecia, Iraq e Zaire), la SR 33 AR (venduta ad Iran, Kuwait, Pakistan), la P 25 (venduta ad Iran, Iraq, Australia) e P 40 (venduta a Kuwait, Portogallo e Iraq, Australia) della Misar; la VAR 40 e la TS 50 (venduta su licenza all’Egitto) della Tecnovar.

Sono ancora parziali i dati dell'inventario del materiale esplosivo ed inerte di mine antipersona, secondo la prima edizione del Registo delle Mine redatto dal Ministero della Difesa nel novembre 1998. Stando ai dati del Registro, queste sono le mine finora contate:

  1. mine,

  1. componenti,

  1. kg di esplosivo come materiale esplosivo, e

  1. mine

  1. componenti

  1. kg di esplosivo come materiale inerte.

Lo smaltimento delle scorte, in conformità con l'articolo 6 della legge 374/97 risulta che sia stato avviato alla fine del 1998. Nessun dato ufficiale sull'entità del lavoro finora condotto è stato comunicato, anche se è imminente la pubblicazione dell’edizione aggiornata del Registro, in allegato alla terza relazione semestrale alle Commissioni Parlamentari, prevista per novembre 1999.

Sembrano essere aumentati i finanziamenti italiani per l’azione umanitaria contro le mine, che comprende sminamento umanitario ed assistenza alle vittime delle mine. La Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero Affari Esteri ha contribuito nel periodo 1995-1997 con 3,3 miliardi di lire, nel 1998 con 20 miliardi e con la previsione, nel 1999, di un contributo di 12,941 miliardi. Questa tendenza, seppur apprezzabile, sembra ancora piuttosto instabile per determinare un impegno inequivocabile e coerente dell’Italia in questo settore umanitario.

La Campagna desidera guardare avanti, dunque: al cammino che resta, e su questo confermare il proprio impegno con l'entusiasmo e la dedizione messa in gioco finora.

 

 

CAMPAGNA ITALIANA PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE

Le mine in Kosovo

Più di 767.000 rifugiati sono rientrati in Kosovo dal 15 giugno.

L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms) stima che, tra il 13 giugno e il 12 luglio 1999, da 130 a 170 incidenti mortali si siano verificati a causa delle mine e degli ordigni inesplosi (Uxo).

Cause più frequenti degli incidenti: percorrere aree ritenute sicure (44%); pascolare il bestiame (28%).

Il 58% degli incidenti sono provocati da mine terrestri; il 40% sono imputabili ad ordigni inesplosi, soprattutto bombe a grappolo (cluster bombs); il 2% degli incidenti sono provocati da trappole e fili d’inciampo.

Il Centro di Coordinamento per l’Azione contro le Mine dell’ONU (UNMACC) indica che la contaminazione da mine ed ordigni inesplosi riguarda il 25% delle comunità kosovare.

Dai sopralluoghi effettuati dall’organismo non governativo Halo Trust in 1205 città e villaggi risulta che 252 sono contaminati dalle mine/Uxo, 684 risultano liberi da mine e 269 villaggi sono attualmente riesaminati.

Il sopralluogo di 1205 villaggi del Kosovo effettuati da Halo Trust mostra quanto segue:

L’esercito della Repubblica Federale della Yugoslavia ha ceduto alla Nato le mappe di 616 aree minate in Kosovo. Queste segnalano la presenza di 20.000 mine antipersona e 9.000 mine anticarro. La KFOR ritiene che il 30% delle mine presenti in Kosovo si trovino al di fuori delle aree indicate nelle mappe.

La Nato ha fornito informazioni su 333 aree in cui sarebbero state lanciate 1392 bombe a grappolo.

Le bombe a grappolo, secondo la KFOR, hanno un margine di errore del 5%; ma le Ong coinvolte nello sminamento considerano come norma un margine superiore di errore (dovuto a cattivo funzionamento) fino al 15-20%.

Circa 270.000 bomblets sono state disseminate nel paese; di queste, tra 14.000 e 56.000 sono rimaste inesplose sul terreno.

Le mine usate in Kosovo derivano da produzioni ed arsenali della regione balcanica. Ci sono attualmente 13 Ong di sminamento che operano nella bonifica del territorio.

 

 

CAMPAGNA ITALIANA PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE

Le mine e i bambini

 

A dieci anni dalla adozione ed entrata in vigore della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, le mine terrestri privano ancora i bambini dei loro diritti fondamentali, violando sistematicamente il diritto alla vita, il diritto alla assistenza sanitaria, il diritto alla protezione in situazioni di conflitto.

I diritti dei bambini rivendicano una completa e definitiva proibizione delle mine terrestri.

(Fonte: "A Child Rights Guide to the 1996 Mines Protocol", Unicef, New York, 1997)

 

 

 

 

CAMPAGNA ITALIANA PER LA MESSA AL BANDO DELLE MINE

Monitoraggio delle Mine - Rapporto Mondiale 1999

Verso un Mondo Senza Mine

Il Landmine Monitor Report 1999: Verso un Mondo Senza Mine, di 1100 pagine, è oggi il libro più esaustivo sulla situazione globale delle mine, e contiene informazioni su ogni paese del mondo in materia di uso, produzione, commercio, stoccaggio delle mine, sminamento umanitario ed assistenza alle vittime.

Si tratta di un’iniziativa senza precedenti della Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine (ICBL), premio Nobel per la Pace 1997, per monitorare la attuazione del Trattato di Ottawa firmato il 3 dicembre 1997, e più in generale per valutare gli sforzi della comunità internazionale volti a risolvere la crisi provocata dalle mine. E’ la prima volta che le organizzazioni non governative si trovano a lavorare insieme in maniera coordinata, sistematica e coerente, per controllare l’applicazione di una norma umanitaria o di un trattato disarmistico, e per documentarne regolarmente progressi e problemi.

I dati più salienti del Landmine Monitor Report 1999 segnalano:

 Gli 80 ricercatori del Landmine Monitor Report hanno operato in oltre 100 paesi raccogliendo informazioni sul terreno, avvalendosi del network di 1300 Ong attive nella Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine (ICBL) in circa 80 nazioni. Le informazioni sono state spesso raccolte con l’ausilio di giornalisti, istituti di ricerca, fonti accademiche. Il Rapporto include appendici a cura dei maggiori attori del movimento antimine, come le agenzie delle Nazioni Unite ed il Comitato Internazionale della Croce Rossa.

La iniziativa del Landmine Monitor, che sta mettendo a punto la seconda edizione del rapporto annuale per l’anno 2000, è coordinata da un "Core Group" di cinque organismi attivi nella ICBL: Human Rights Watch, Handicap International, Kenya Coalition Against Mines, Mines Action Canada, Norwegian People’s Aid.

Per maggiori informazioni:

Mary Wareham, HRW, wareham@hrw.org

Liz Bernstein, ICBL coordinator, banemnow@icbl.org

 

  

 

La Campagna Italiana per la Messa al Bando delle Mine

Un piccolo gruppo di Ong ed associazioni pacifiste incontrò Jody Williams il 12 settembre 1993 per discutere e valutare il possibile avvio di un’iniziativa contro le mine in Italia, allora uno dei leader nella proliferazione di questi ordigni.

La Campagna Italiana per la Messa al Bando delle Mine viene lanciata ufficialmente il 1 dicembre 1993 con una conferenza internazionale promossa da Mani Tese, Pax Christi, Greenpeace, Oscar-Ires Toscana, Servizio Civile Internazionale, Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, Gruppo Verdi al Senato, Archivio Disarmo con l’obiettivo primario di denunciare il ruolo italiano e sensibilizzare l’opinione pubblica del nostro paese sulla crisi umanitaria provocata nel mondo da questi ordigni, dei quali mai si era parlato sulla stampa, o nel dibattito politico. L’intento è quello di avviare il dibattito su questo tema, ed iniziare un’azione di lobby su parlamento e governo.

La prima importante presenza della Campagna in un popolare show televisivo consegna impulso decisivo alle prime reazioni del parlamento, che il 2 agosto 1994 vara una moratoria unilaterale sulla produzione ed esportazione delle mine antipersona. A questo segue una manifestazione di tre giorni a Brescia ("Non fermiamo il girotondo"), organizzata dal comitato bresciano della Campagna nel settembre 1994, che si conclude con la prima marcia per la pace di 5000 persone a Castenedolo, sede della Valsella Meccanotecnica e culla della produzione delle mine made in Italy. La Fiat, shareholder di due delle tre aziende italiane produttrici, si attiva per "uscire" dal business.

La Campagna cresce di numero, i gruppi locali si mobilitano con numerose iniziative, gli enti locali aderiscono alla petizione per la messa al bando, e si fa più intensa e serrata la azione di lobby sulle istituzioni per ratificare la Convenzione dell’ONU del 1980 sulle Armi Inumane, e per avviare la formulazione di un disegno di legge per la definitiva proibizione di questo sistema d’arma in Italia. La Campagna partecipa attivamente al processo di revisione della Convenzione sulle Armi Inumane a Vienna (settembre-ottobre 1995) e Ginevra (gennaio e maggio 1996).

Con il deludente risultato di questo percorso negoziale, l’azione della campagna si indirizza con forza a favore del processo di Ottawa. Nel 1996 e 1997 vengono organizzate giornate e/o settimane di mobilitazioni nazionali contro le mine (invio di scarpe al Ministero della Difesa), e vengono raccolte le firme. Si ripetono gli incontri con parlamentari, con il Presidente della Repubblica, con il Presidente del Consiglio, per approdare ad una legge. Finalmente, poco prima della apertura della Conferenza Internazionale di Ottawa a dicembre 1997, l’Italia approva la legge 374/97. Nel corso della Conferenza, importante sarà il ruolo italiano, sia a livello di delegazione governativa, sia della campagna delle Ong.

Il lavoro di campaigning prosegue sul tema della ratifica del Trattato di Ottawa, e sulla questione dell’impegno italiano a favore dello sminamento umanitario, e dell’assistenza verso le vittime delle mine. Il 12 dicembre, il primo convegno sull’azione umanitaria contro le mine "Dalle Mine al Cibo: Sminare la Strada alla Sviluppo", nel corso del quale la Campagna chiede la costituzione di una tavolo permanente di consultazione con le istituzioni per delineare la politica umanitaria del governo.

Aumenta l’impegno della Campagna per la raccolta fondi a sostegno di un programma di rimozione delle mine in Afghanistan, in partenariato con la Campagna Afgana per la Messa al Bando delle Mine.

Luglio 1998: Mina di ghiaccio a Piazza Venezia a Roma, in occasione della Conferenza per il Tribunale Penale Internazionale.

Nel febbraio 1999 prende l’avvio il Comitato Nazionale per l’Azione Umanitaria contro le Mine, presso il Ministero Affari Esteri. La Campagna produce il primo report in inglese per il Landmine Monitor Report 1999.

1 marzo 1999 : le campane suonano a festa per l’entrata in vigore del Trattato di Ottawa nelle più importanti città italiane, ed in molte realtà locali.

Prosegue l’attività internazionale della Campagna, che dal maggio 1999 entra a far parte del Comitato Esecutivo della ICBL, e coordina il gruppo di Lavoro della Campagna Internazionale "Ethics and Justice".

I MEMBRI DELLA CAMPAGNA ITALIANA:

Aifo, Amici Terzo Mondo, Amnesty International, Archivio Disarmo, Asal, Assocazione Obiettori Non Violenti, Associazione Papa Giovanni XXIII, Associazione per un Sudafrica Democratico, Beati i Costruttori di Pace, Caritas Italiana, Centro Amilcar Cabral, Centro Eirene per la Pace, Centro Missionario di Reggio Emilia, Cesvi, Cies, Cipax, Cir, Lega Cooperative Nordest, Comunita’ Capodarco, Consulta per la Pace di Brescia, Cospe, Fisioterapisti senza Frontiere, Gruppo Verdi, Idoc, Intersos, IRES Toscana, Istituto per la Cooperazione allo Sviluppo di Alessandria, Jesuit Refugee Service Italia, Lega Anti Vivisezione, Lega Missionaria Studenti, Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, Legambiente, Mani Tese, Medici Senza Frontiere, Missione Oggi, Movimondo, Nigrizia, Pax Christi, Pontificia opera Infanzia Missionaria, Progetto Continenti, Pugwash, Quelli che le Mine...., Religioni per la Pace, Rete di Indra, Servizio Civile Internazionale, Terre di Mezzo. Circa 200 enti locali hanno aderito alla Campagna, ed oltre 300.000 persone hanno sottoscritto la petizione per la messa al bando delle mine.

Per informazioni:

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