La
bellezza della capacità di amare
Con Eric Fromm, attraverso degli
estratti del suo libro “L’arte di amare”, andiamo alla scoperta di questa misteriosa
ed essenziale realtà umana che è la capacità di amare.
Diventa essenziale distinguere bene
ciò che è l’amore da ciò che è innamoramento. Le due realtà spesso si
rincorrono e si confondono ma sono nettamente distinte e di natura diversa.
L’innamoramento è un fenomeno
affettivo, pre-conscio e pre-volontario, in cui un individuo proietta sogni ed
aspettative in un altro. È un fenomeno, cioè, che “capita” al soggetto,
indipendentemente dalla sua volontà.
L’amore è invece una realtà pienamente umana (di
tutta la persona e non solo di una sua componente) che si esprime solo con un
atto libero, cioè cosciente e volontario.
Si può esprimere come un orientamento del carattere
che orienta la persona nei rapporti col mondo, un atteggiamento universale
verso tutta la realtà. È, come dice Fromm, un’arte che si acquisisce attraverso
la maturazione della persona e l’esercizio delle sue facoltà umane.
Il bisogno di amare è il bisogno fondamentale
dell’uomo, superiore per urgenza a quello della fame, della sete o dello stesso
“sesso”, in quanto per soddisfarlo questi ultimi possono anche essere messi a
tacere. Da dove nasce questo bisogno?
L'uomo è cosciente di sé stesso come realtà unica e irripetibile, della
propria individualità. Questa coscienza di sé stesso come realtà separata, la
consapevolezza della propria breve vita, del fatto che è nato senza volerlo e
che contro la propria volontà morirà; che morirà prima di quelli che ama, o che
essi moriranno prima di lui, il senso di solitudine, d'impotenza di fronte alle
forze della natura e della società, possono rendergli insopportabile
l'esistenza. Diventerebbe pazzo, se non riuscisse a rompere l'isolamento, a
unirsi agli altri uomini, al mondo esterno.
Il senso di solitudine provoca l'ansia; anzi, è l'origine di ogni ansia.
Essere soli significa essere indifesi, incapaci penetrare attivamente nel mondo
che circonda.
Questo
profondo bisogno dell'uomo, dunque, è il bisogno di superare l'isolamento, di
evadere dalla prigione della propria solitudine. L'impossibilità di raggiungere
questo scopo porta alla pazzia, poiché il panico della completa separazione può
essere vinto solo da un isolamento dal mondo esterno così totale, da cancellare
il mondo esterno, dal quale si è separati, e così scompare il senso di
separazione.
L'uomo
‑ di qualsiasi età e civiltà ‑ è messo di fronte alla soluzione di
un eterno problema: il problema di come superare la solitudine e raggiungere
l'unione.
Esistono diversi tentativi con cui l’uomo tenta di
superare questo senso di separazione e di solitudine. Oltre l’esercizio maturo
dell’amore si possono sintetizzare tre modi: l’esercizio della sessualità, il
conformismo e l’attività creativa:
-La soluzione sessuale, entro certi limiti, è un
modo naturale e normale di superare la separazione, ed è una soluzione parziale
al problema dell'isolamento. Ma in molti individui per i quali la solitudine
non può essere superata in nessun modo, l’esercizio dell'attività sessuale
assume una funzione che li rende non molto diversi dagli alcoolizzati e dai
tossicomani. Diventa un tentativo disperato di sfuggire all'ansia suscitata
dalla separazione e il suo risultato è un sempre crescente senso d'isolamento,
poiché l'atto sessuale, senza amore, non riempie mai il baratro che divide due
creature umane, se non in modo assolutamente momentaneo.
-La
soluzione più frequente scelta dall'uomo nel passato e nel presente è l'unione
col gruppo, il condividerne costumi, usi, pratiche e credenze.
Anche
nella civiltà occidentale contemporanea, l'unione col gruppo è la maniera più
frequente per superare l'isolamento. È un'unione in cui l'individuo si annulla
in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io
sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione
di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine.
La maggior parte della
gente non si rende nemmeno conto del proprio bisogno di conformismo. Vive
nell'illusione di seguire le proprie idee ed inclinazioni, di essere
individualista, di aver raggiunto da sé le proprie
convinzioni; e si dà il fatto che le sue idee siano le stesse della
maggioranza.
Nella
società capitalistica contemporanea il senso di uguaglianza è mutato. Per
uguaglianza, s'intende l'uguaglianza degli atomi, degli uomini che hanno perso
il loro individualismo. “Uguaglianza oggi significa uniformità, anziché unità”.
È l'uniformità astratta degli uomini che compiono lo stesso lavoro, che
scelgono gli stessi divertimenti, leggono gli stessi giornali e hanno le stesse
idee (sotto questo aspetto, bisogna anche guardare con un certo scetticismo
a alcune conquiste, generalmente citate come segni del nostro progresso, come a
esempio l'uguaglianza di diritti della donna. Gli aspetti positivi di questa
tendenza all'uguaglianza non devono trarre in inganno. Fanno parte della
tendenza all'eliminazione delle differenze. L'uguaglianza è ottenuta a questo
prezzo: le donne sono uguali perché non sono più differenti. La polarità dei
sessi va scomparendo, e con essa l'amore tra uomo e donna, che poggia su questa
polarità. Uomini e donne diventano simili, e non uguali, come i poli opposti).
La società contemporanea predica questo ideale
di uguaglianza perché ha bisogno di atomi umani simili tra loro, per farli
funzionare in una massa compatta: tutti obbediscono agli stessi comandi, e
tuttavia ognuno è illuso di seguire i propri desideri. Così come la moderna
produzione di massa richiede la standardizzazione dei prodotti, così il
progresso civile esige la standardizzazione dell'uomo. Questa standardizzazione
è chiamata “uguaglianza”.
L'unione
ottenuta mediante il conformismo, non è intensa né profonda; è superficiale e,
poiché è il risultato della routine, è insufficiente a placare l'ansia
della solitudine. I casi di alcoolismo, di tossicomania, di manie sessuali e di
suicidio, sono sintomi del fallimento di tale unione.
-Un
terzo modo per raggiungere l’unione è l’attività creativa, sia quella
dell’artista che dell’artigiano. In ogni attività creativa, colui che crea si
fonde con la propria materia, che rappresenta il mondo che lo circonda.
Sia
che il contadino coltivi il grano o il pittore dipinga un quadro, in ogni tipo
di lavoro creativo, l'artefice e il suo oggetto diventano un'unica cosa: l'uomo
si unisce col mondo nel processo di creazione. Questo, tuttavia, vale solo per
il lavoro produttivo, per il lavoro nel quale io progetto, produco, vedo il
risultato della mia fatica.
Ma
nel moderno processo di lavoro, al dipendente, anello di una catena senza fine,
poco è lasciato di quel genere di lavoro che crea l'unione tra lui e il mondo.
Il lavoratore diventa un'appendice della macchina o dell'organizzazione
burocratica. Ha cessato di essere “lui”, e di conseguenza non può verificarsi
nessuna unione se non quella del conformismo.
L'unità
conquistata col lavoro produttivo non è interpersonale; l'unità raggiunta con
la fusione orgiastica (sessuale) è fittizia; l'unità ottenuta col conformismo è
solo una parvenza di unità. Non sono che soluzioni parziali al problema
dell'esistenza. La soluzione completa sta nella conquista dell'unione interpersonale,
nella fusione con un'altra persona, nell'amore.
Il
desiderio di fusione interpersonale è il più potente. È la passione più antica,
è la forza che tiene unita la razza umana, la tribù, la famiglia, la società.
Il non riuscire e raggiungere questa unione significa follia e distruzione.
Senza amore, l'umanità non sopravviverebbe un solo giorno.
Eppure,
se chiamiamo “amore” la conquista dell'unione interpersonale, ci troviamo in
serie difficoltà. La fusione tra persone può essere raggiunta in diversi modi.
Ma sono poi tutte forme d'amore?
Oppure
dobbiamo riservare la parola “amore” a una particolare tipo di unione, che è
stata la virtù ideale di tutte le grandi religioni e dei sistemi filosofici di
quattromila anni di civiltà orientale e occidentale?
Come
sempre nelle difficoltà attorno al contenuto delle parole, la risposta può
essere solo arbitraria. Ciò che conta è sapere di quale tipo di unione
parliamo, parlando d'amore.
Ci
riferiamo all’amore come alla matura soluzione del problema esistenza, oppure
alludiamo a quelle incomplete forme di amore che possono chiamarsi unioni
simbiotiche?
Nelle seguenti pagine
chiameremo amore solo la prima ed inizieremo la discussione sull'amore con
le ultime.
L’unione simbiotica ha il suo
modello biologico nella relazione tra la madre e il feto. Sono due, eppure uno. Vivono insieme
(simbiosi), hanno bisogno l'uno dell'altro. Il feto è parte della madre,
riceve tutto ciò di cui ha bisogno da lei; la madre è il suo mondo; lei lo
nutre, lo protegge, ma anche la sua vita è intensificata da esso. Nell'unione
simbiotica fisica, i corpi sono indipendenti, ma lo stesso genere d'unione
esiste psicologicamente.
La
forma passiva dell'unione simbiotica è quella della sottomissione, o, per usare
un termine clinico, dei masochismo. Il masochista sfugge
all'insopportabile senso di separazione e solitudine rendendosi parte di
un'altra persona che lo domina, lo guida, lo protegge; che è la sua vita e il
suo ossigeno, per così dire.
Il
masochista ha la percezione di essere nulla, a meno che non diventi parte di
uno che ritiene potente: parte di grandezza, di potere, di sicurezza. Il
masochista non ha da prendere decisioni, non ha da correre rischi; non è mai
solo, non è indipendente; non ha autonomia; non è ancora pienamente nato.
Può
esserci la sottomissione masochistica al destino, alla malattia, alla musica
ritmica, allo stato orgiastico provocato dalle droghe, o sotto influsso
ipnotico: in tutti questi casi la persona rinuncia alla propria integrità, fa
di sé stessa lo strumento di qualche cosa o di qualcuno al di fuori di sé
stessa.
La forma
attiva di fusione simbiotica è il dominio o, per usare il termine psicologico
corrispondente al masochismo, il sadismo. Il sadico vuole sfuggire alla
propria solitudine, al proprio senso d'isolamento, impossessandosi un'altra
persona. Sublima se stesso incorporando un altro essere, che lo idolatra.
Il sadico è
legato a chi gli è succube così come quest'ultimo è subordinato al primo; non
può nemmeno vivere, senza l'altro. La differenza sta solo nel fatto che il
sadico domina, intraprende, offende, umilia, e il masochista è comandato,
offeso, umiliato.
Questa è una
differenza considerevole, in senso realistico; ma in un senso più profondo ed
emozionale, la differenza è minima, rispetto a ciò che ambedue hanno in comune;
fusione senza integrità. Se si capisce questo, non ci si meraviglierà di
scoprire che una persona reagisce sia nel modo sadico che masochistico, verso
oggetti diversi.
Hitler agì in
un primo tempo in modo sadico, verso il popolo; ma in modo masochistico verso
il destino, la storia, l'“alto potere” della natura. Il suo suicidio tra la
distruzione generale è altrettanto caratteristico quanto il suo sogno di
successo, di dominio totale.
In contrasto
con l'unione simbiotica, l'amore maturo è unione a condizione di
mantenere la propria integrità, la propria individualità.
L'amore è un
potere attivo dell'uomo; un potere che annulla le pareti che lo separano dai
suoi simili, che gli fa superare il senso d'isolamento e di separazione, e
tuttavia gli permette di essere sé stesso e di conservare la propria integrità.
Sembra un
paradosso, ma nell'amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due.
Se diciamo
che l'amore è un'attività, dobbiamo chiarire il significato della parola
“attività”.
Per
“attività”, nell'uso moderno della parola, di solito s'intende un'azione che
opera un cambiamento in una situazione esistente, attraverso un dispendio di
energia. Un uomo è considerato attivo se fa affari, studia medicina, lavora,
costruisce o pratica uno sport. Comune a tutte queste attività è il fatto che
sono volte a conquistare una meta.
Ciò di cui
non si tiene conto, è la causa di ogni attività. Prendete per esempio un uomo
spinto verso il lavoro incessante da un senso di profonda insicurezza e
solitudine; o un altro guidato dall'ambizione o dalla brama di ricchezza. In
tutti questi casi la persona è schiava di una passione, e la sua attività in
realtà è una “passività”, poiché è guidata: è la “vittima”, e non è l’“attore”.
D'altro canto, un uomo che se ne sta inerte a contemplare, senza scopo né fine
tranne quello di arricchire la propria esperienza e la propria unità col mondo,
è considerato “passivo”, perché non fa niente. In realtà, questo atteggiamento
di meditazione è la più alta attività che esista, un'attività dell'anima, che è
possibile solo in una condizione di intima libertà e indipendenza.
Un concetto
moderno di attività si riferisce all'uso dell'energia per raggiungere scopi
esterni; l'altro concetto di attività si riferisce all'uso dei poteri inerenti
all'uomo, senza tener conto di qualsiasi cambiamento esterno.
Questa
seconda teoria è stata espressa nel modo più chiaro da Spinosa, filosofo
olandese del XVII secolo. Egli distingue gli affetti in attivi e passivi,
“azioni” e “passioni”.
Nella
funzione di un affetto attivo, l'uomo è libero, è padrone del suo affetto;
nella funzione di un affetto passivo, l'uomo è oggetto di eventi di cui lui
stesso non si rende conto.
Invidia
gelosia, ambizione, bramosia, sono passioni; l'amore è un'azione un potere
umano che può essere praticato in libertà, e non è la conseguenza di una
costrizione.
L'amore è un
sentimento attivo, non passivo; è una conquista, non una resa. Il suo carattere
attivo può essere sintetizzato nel concetto che amore è soprattutto “dare” e
non ricevere
Che cosa
significa dare?
La risposta
sembra semplice, ma in realtà è piena di ambiguità e di complicazioni.
Il malinteso
più comune è che dare significhi “cedere” qualcosa, essere privati,
sacrificare. La persona il cui carattere non si è sviluppato oltre la fase
ricettiva ed esplorativa, sente l'atto di dare in questo modo. Il “tipo
commerciale” è disposto a dare, ma solo in cambio di ciò che riceve; dare senza
ricevere, per lui significa essere ingannato.
La gente
arida sente il dare come un impoverimento. La maggior parte degli individui di
questo tipo, di solito si rifiuta di dare.
Alcuni
trasformano in sacrificio l'atto di dare. Sentono che solo per il fatto che è
penoso dare, si dovrebbe dare; la virtù, per loro, sta nell'accettare il
sacrificio. Per loro, la regola che è meglio dare anziché ricevere significa
che è meglio soffrire la privazione piuttosto che provare la gioia.
Per la persona attiva, dare ha un senso completamente
diverso.
Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso
atto di dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa
sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante
di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione,
ma perché in quell'atto mi sento vivo.
Nella sfera
delle cose materiali, dare significa essere ricchi.
Non quello
che ha molto è ricco, ma colui che dà molto.
L'avaro che è
terrorizzato all'idea di perdere qualche cosa è, psicologicamente parlando, un
povero essere, per quanto ricco sia.
Chiunque sia
capace di dare se stesso è ricco.
Solo chi
avesse appena quanto basti a sopravvivere, sarebbe incapace di godere nell'atto
di dare cose materiali. Ma è noto che i poveri sono più ansiosi di dare dei
ricchi. Ciò nonostante, la povertà oltre un certo limite può rendere
impossibile il dare, ed è assai doloroso, non solo per la sofferenza che
provoca direttamente, ma perché toglie al povero la gioia di dare.
La sfera più
importante del dare, tuttavia, non è quella delle cose materiali, ma sta nel
regno umano. Che cosa dà una persona a un'altra?
Dà se stessa,
ciò che possiede di più prezioso, dà una parte della sua vita.
Ciò non
significa necessariamente che essa sacrifichi la sua vita per l'altra, ma che
le dà ciò che di più vivo ha in sé; le dà la propria gioia, il proprio
interesse, il proprio umorismo, la propria tristezza, tutte le espressioni e
manifestazioni di ciò che ha di più vitale.
In questo
dono di se stessa, essa arricchisce l'altra persona, sublima il senso di vivere
dell'altro sublimando il proprio.
Non dà per
ricevere; dare è in se stesso una gioia squisita. Ma nel dare non può evitare
di portare qualche cosa alla vita dell'altra persona, e colui che riceve si
riflette in essa; nel dare con generosità, non può evitare di ricevere ciò che
le viene dato di ritorno.
Dare
significa fare anche dell'altra persona un essere che dà, ed entrambi dividono
la gioia di sentirsi vivi.
Nell'atto di
dare qualcosa, nasce un senso di mutua gratitudine per la vita che è nata in
loro, e che unisce entrambi.
Ciò significa
che l'amore è una forza che produce amore.
“Se amate
senza suscitare amore, vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se
attraverso l'espressione di vita di persona amante voi non diventate una
persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato.”.
È inutile sostenere che sentire
l'amore come un atto di dare dipende dal carattere dell'individuo. Al contrario
presuppone la conquista di un atteggiamento prevalentemente produttivo; in
quest'orientamento l'individuo ha vinto l'indipendenza, l'onnipotenza
narcisistica, il desiderio di sfruttare gli altri, e ha preso fiducia nelle
proprie capacità umane. Nella misura in cui queste qualità mancano, egli ha
paura di dare sé stesso, e quindi di amare.
Al di là
dell’elemento del dare, il carattere attivo dell’amore diviene evidente nel
fatto che si fonda sempre su certi elementi comuni a tutte le forme d'amore.
Questi sono:
la premura (o cura), la responsabilità, il rispetto e la conoscenza.
L’amore è premura
soprattutto nell'amore della madre per il bambino.
Noi non
avremmo nessuna prova di questo amore se la vedessimo trascurare il suo
piccolo, se lei tralasciasse di nutrirlo, lavarlo, curarlo; e restiamo colpiti
dal suo amore se la vediamo assistere il suo bambino.
Non c'è
differenza anche nell'amore per gli animali o per i fiori. Se una donna ci
dicesse di amare i fiori e la vedessimo dimenticare di innaffiarli, non
crederemmo nel suo “amore” per i fiori.
“Amore è
interesse attivo per la vita e la crescita di ciò che amiamo” Là dove manca
questo interesse, non esiste amore.
Cura e
interesse implicano un altro aspetto dell'amore: quello della responsabilità.
Oggi, per
responsabilità spesso s'intende il dovere, qualche cosa che ci è imposto
dal di fuori. Ma responsabilità, nel vero senso della parola, è un atto
strettamente volontario; è la mia risposta al bisogno, espresso o
inespresso, di un altro essere umano.
Essere
“responsabile” significa essere pronti e capaci di “rispondere”.
La persona
che ama risponde.
La vita di
suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo. Si sente responsabile
dei suoi simili, così come si sente responsabile di sé tesso.
Questa
responsabilità, nel caso della madre e del bambino, si riferisce soprattutto
alle cure materiali; nell'amore tra adulti, si riferisce principalmente ai
bisogni psichici dell'altra persona.
La
responsabilità potrebbe facilmente deteriorarsi nel dominio e nel senso di
possesso, se non fosse per una terza componente dell'amore: il rispetto.
Rispetto non
è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere =
guardare), la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera
individualità.
Rispetto
significa desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è.
Il rispetto,
perciò, esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si
sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di
servirmi.
Se io amo
questa persona, mi sento uno con lei, ma con lei così com'è, e non come
dovrebbe essere per adattarsi a me.
È chiaro che
il rispetto è possibile solo se ho raggiunto l'indipendenza; se posso stare in
piedi o camminare senza bisogno di grucce, senza dover dominare o sfruttare
nessuno.
Il rispetto
esiste solo sulle basi della libertà: l'amore è figlio della libertà, mai del
dominio.
Non è
possibile rispettare una persona senza conoscerla: la cura e la responsabilità
sarebbero cieche, se non fossero guidate dalla conoscenza.
Conoscere
sarebbe una parola vuota se non fosse animata dall'interesse. Ci sono molti
gradi di conoscenza; il conoscere, in quanto aspetto dell'amore, non si ferma
alla superficie, ma penetra nell'intimo. È possibile solo se riesco ad
annullarmi a vedere l'altro quale veramente è.
Posso capire,
ad esempio, se una persona è adirata, anche se non lo dimostra apertamente, ma
se la conosco a fondo, mi accorgo che è ansiosa e preoccupata, che si sente
sola, che ha un senso di colpa. Allora mi rendo conto che la sua ira
altro non è che la manifestazione di qualcosa di più profondo, l'ansia,
manifestazione di sofferenza, quindi, e non di collera.
Premura,
responsabilità e comprensione sono strettamente legate fra loro. Sono un
complesso di virtù che fanno parte della personalità matura, di una persona che
sviluppa con profitto i suoi poteri, che sa quello che vuole, che ha
abbandonato sogni narcisistici di onnipotenza e di onniscienza, che ha
acquistato l’umiltà fondata sulla forza intima che solo l’attività produttiva
può dare.
L'amore non è
soltanto una relazione con una particolare persona: è un'attitudine, un
orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona coi
mondo, non solo verso un “oggetto” d'amore.
Se una
persona ama solo un'altra persona e è indifferente nei confronti dei suoi
simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico, o un egotismo
portato all'eccesso.
Eppure la
maggior parte della gente crede che l'amore sia costituito dall'oggetto, non
dalla facoltà d'amare.
Infatti, essi
credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non
amare nessuno tranne la persona “amata”.
Questo è lo
stesso errore di cui abbiamo già parlato prima. Poiché non si vede che l'amore
è un'attività, un potere dell'anima, si ritiene che basti trovare l'oggetto necessario
e che, dopo ciò, tutto vada da sé.
Questa teoria
può essere paragonata a quella dell'uomo che vuole dipingere ma che, anziché
imparare l'arte, sostiene che deve solo aspettare l'oggetto adatto, e che
dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato.
Se io amassi
veramente una persona, io amerei il mondo, amerei la vita.
Se posso dire
a un altro “ti amo”, devo essere in grado di dire “amo tutti in te, amo il
mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”.
Tuttavia, dicendo
che l'amore è un orientamento che si riferisce a tutto e non a uno, non si vuol
dire che non ci siano differenze tra le varie forme d'amore, legate all'oggetto
amato. Vediamo le principali.
La forma più fondamentale d'amore, è
l'amore fraterno. Con questo s’intende senso di responsabilità, premure,
rispetto, comprensione per il prossimo; esso è caratterizzato dall'assenza di
esclusività. Se io ho sviluppato la capacità d'amare non posso fare a meno di
voler bene ai miei fratelli.
Nell'amore
fraterno c'è il desiderio di fusione con tutti gli uomini, c'è il bisogno di
solidarietà umana. L'amore fraterno si fonda sul principio dell'unione coi
nostri simili.
Le differenze
di talento, d'intelligenza, di comprensione, sono trascurabili in confronto a
quello che c'è in comune tra tutti gli uomini.
Per sentire
questa uguaglianza è necessario penetrare dalla superficie in profondità. Se io
percepisco un altro essere solo in superficie, sento le differenze che ci
separano. Se penetro in profondità, percepisco la nostra uguaglianza, ciò che
ci fa fratelli.
Questa è
comunicazione profonda anziché superficiale. Come Simone Weil ha così
meravigliosamente espresso: “Le stesse parole (ad esempio, un uomo dice alla
moglie " ti amo ") possono essere banali e straordinarie, secondo
come sono dette. E il modo dipende dalla profondità di un essere umano, dalla
quale scaturiscono senza che la volontà sia in grado di fare nulla. E con un
accordo meraviglioso esse raggiungono in lui forma ed espressione. Così colui
che sente può discernere, se ha potere di discernimento, ciò che é il valore
del mondo.”
L'amore
fraterno è amore tra esseri simili; ma, in realtà, anche tra simili che non
sono sempre “simili”: infatti. poiché siamo esseri umani, siamo tutti bisognosi
di aiuto. Oggi io, domani tu. Ma questo bisogno di aiuto non significa che,
sempre, uno è indifeso e l'altro potente. La debolezza è una condizione
transitoria; la capacità di stare ritto e camminare coi propri piedi è lo stato
normale e permanente.
Eppure,
l'amore per l'essere indifeso, l'amore per il povero e per lo straniero, sono
il principio dell'amore fraterno.
Amare la
propria carne e il proprio sangue non è una conquista. L'animale ama i suoi
piccoli e li cura. Il debole ama il suo padrone poiché la sua vita dipende da
lui; il bambino ama i suoi genitori poiché ha bisogno di loro.
Solo l'amore
disinteressato è un sentimento maturo, completo.
È
significativo, nel Vecchio Testamento, il fatto che l'oggetto d'amore dell'uomo
sia il povero, lo straniero, la vedova e l'orfano, ed eventualmente, anche il
nemico, l'egiziano e l'edomita.
Con la
compassione per il debole, l'uomo comincia a sviluppare l'amore per il
fratello; e nel suo amore per se stesso, ama anche colui che ha bisogno di
aiuto, l'essere umano fragile e insicuro.
La
compassione implica la comprensione e la fraternità. “Voi conoscete il cuore di
uno straniero” dice il Vecchio Testamento “perché eravate stranieri nella terra
d'Egitto... di conseguenza, amate gli stranieri.”
L'amore
materno è un'affermazione incondizionata alla vita del bambino e ai suoi
bisogni. La madre ama il figlio per il semplice fatto che il figlio c’è.
Ma è
necessario fare un'importante aggiunta a questa definizione.
L'affermazione
della vita del bambino ha due aspetti: uno è rappresentato dalle cure
necessarie alla preservazione della vita e alla crescita del bambino; l'altro
aspetto va oltre la pura e semplice conservazione: è l'attitudine che instilla
nel bambino un amore per la vita, che gli dà questa sensazione: è bello essere
vivi, è bello stare su questa terra!
Questi due
aspetti dell'amore materno sono espressi in modo molto semplice nella storia
biblica della creazione. Dio crea il mondo e l'uomo. Ciò corrisponde alla
semplice affermazione della esistenza. Ma Dio va oltre. Ogni giorno dopo che la
natura, o l'uomo, sono stati creati, Dio dice: “È bello.”
Così pure l'amore
materno, in questa seconda creazione della vita, fa sentire al bambino che è
bello essere nato; instilla nel bambino l'amore per la vita e non solo
il desiderio di restare vivo.
La stessa
idea può essere applicata ad un altro simbolismo biblico. La terra promessa
(terra è sempre simbolo di madre) è descritta come “traboccante di latte e di
miele”.
Il latte è il
simbolo del primo aspetto dell'amore, quello per le cure e l'affermazione; il
miele simboleggia la dolcezza della vita, l'amore per essa, e la felicità di
sentirsi vivi.
La maggior
parte delle madri è capace di dare “latte”, ma solo una minoranza sa dare anche
“miele”. Per poter dare latte e miele una madre non deve soltanto essere una
“brava mamma”, ma una donna felice, e non tutte ci riescono.
L'amore della
madre per la vita è contagioso, così come lo è la sua ansietà; ambedue gli stati
d'animo hanno un effetto profondo sulla personalità del bambino; si distinguono
subito tra i bambini ‑ e gli adulti – coloro che ricevono soltanto
“latte” e coloro che ricevono “latte e miele”.
In contrasto
con l'amore fraterno e con l'amore erotico, che sono amori sullo stesso piano,
i rapporti della madre col bambino sono, per la loro stessa natura, su un piano
diverso, in cui uno ha bisogno di aiuto, e l'altro lo dà. È per questo
carattere altruistico che l'amore materno è stato considerato la più alta forma
d'amore e il più sacro dei vincoli affettivi.
Tuttavia la
vera conquista dell'amore materno non sta solo nell'amore della madre per il
neonato, ma nel suo amore per la creatura che cresce.
In realtà, la
grande maggioranza delle madri sono madri amorose finché il bambino è piccolo e
completamente legato a loro. Quasi tutte le donne desiderano avere figli, sono
felici coi loro piccoli e sono premurose con loro. E questo ad onta del fatto
che non “ ottengono ” niente in cambio, tranne un sorriso o l'espressione
soddisfatta nel viso del bambino. Sembra che questa forma d'amore sia radicata
sia negli animali che nella razza umana. Ma, qualunque sia il peso di questo
fattore istintivo, nell'amore materno hanno molta importanza alcuni fattori
psicologici. Uno di questi è l'elemento narcisistico. Finché il neonato
continua a far parte della madre, il suo amore e il suo attaccamento possono
essere una soddisfazione al suo narcisismo. Un altro elemento può essere
costituito dal bisogno di possesso della madre. Il bambino, essendo debole e
completamente soggetto alla sua volontà, è un oggetto naturale di soddisfazione
per una donna autoritaria e tirannica.
Per quanto
questi fattori siano frequenti, probabilmente sono meno importanti di quello
che può essere chiamato il bisogno di trascendenza. Questo è uno dei più
fondamentali bisogni dell'uomo, radicato nel suo egocentrismo, nella sua
insoddisfazione del ruolo di creatura che non sa rassegnarsi a essere un dado
gettato fuori dal bicchiere. Ha Bisogno di sentirsi il creatore, colui che
trascende il ruolo passivo di creatura. Ci sono molti modi per conquistare questa soddisfazione
creativa; il più naturale, e anche il più facile a raggiungersi, è la cura
amorosa per la propria creatura. La madre supera se stessa nel bambino, il suo
amore per lui le dà lo scopo, il senso della vita. (In questa incapacità del
maschio a soddisfare il suo bisogno di trascendenza portando il peso dei figli,
sta il suo bisogno di superare se stesso creando cose e idee.)
Ma il bambino
deve crescere. Deve emergere dal grembo materno; diventare un essere
completamente indipendente. La vera essenza dell'amore materno è di curare la
crescita del bambino, e ciò significa volere che il bambino si separi da lei.
Qui sta la
differenza con l'amore erotico.
Nell'amore
erotico, due persone distinte diventano una sola. Nell'amore materno, due
persone che erano una sola, si scindono.
La madre deve
non solo tollerare, ma desiderare e sopportare la separazione del figlio. E’
solo a questo stadio che l'amore materno diventa un compito così difficile da
richiedere altruismo, capacità di dare tutto senza chiedere niente e di non
desiderare niente altro che la felicità dell'essere amato. È anche a questo
stadio che molte madri falliscono nel loro compito.
La
narcisista, l'autoritaria, la tirannica può riuscire ad essere una madre
“amorosa ” finché il bambino è piccolo. Solo la donna veramente “ amante ”,
colei che é più felice di dare che di ricevere, può essere una madre amorosa
durante il processo di separazione del bambino.
L'amore
materno per il bambino che cresce, amore fine a se stesso, è forse la forma
d'amore più difficile a raggiungersi, ed è anche la più ingannevole, a causa
della facilità con cui una madre ama la propria creatura.
Ma proprio a
causa di questa difficoltà, una donna può essere una madre veramente amorosa
solo se può amare; se è capace di amare anche il proprio marito, altri
bambini, il prossimo, tutti gli essere umani.
La donna che
è incapace di amare in questo modo, può essere una madre affettuosa finché il
bambino è piccolo, ma non può essere una madre amorosa.
La condizione
per esserlo è la volontà di affrontare la separazione, e, anche dopo la
separazione, la capacità di continuare a amare.
L'amore fraterno è tra simili;
l'amore materno è amore per l'essere indifeso. Diverse come sono tra loro,
queste forme d'amore sono, per la loro stessa natura, non limitate a una
persona. Se io amo mio fratello, amo tutti i miei fratelli; se amo mio figlio,
amo tutti i miei figli; e oltre a ciò, amo tutti i bambini che hanno bisogno
del mio aiuto.
In contrasto
con ambedue queste forme, è l'amore erotico; questo è il desiderio della
fusione completa, dell'unione con un'altra persona. È per la sua stessa natura
esclusivo e non universale; è forse la più ingannevole forma d'amore che
esista.
Prima di
tutto, é spesso confuso con l'esperienza di “innamorarsi”, l'imprevista caduta
delle barriere che esistevano fino a quel momento fra due estranei. Ma, come prima
accennato, questa esperienza d'improvvisa intimità è per sua stessa natura di
breve durata.
Dopo che lo
sconosciuto è diventato intimo, non ci sono più barriere da superare, né
segreti da penetrare. La persona “amata” ci è nota come noi stessi. O, forse,
farei meglio a dire altrettanto sconosciuta.
Se si
potessero sondare le profondità dell'altra persona, se si riuscisse a penetrare
interamente la sua personalità, essa non diventerebbe mai così familiare, e il
miracolo di superare le barriere potrebbe rinnovarsi ogni giorno.
Ma per la
maggior parte della gente, la propria personalità, e quella degli altri, è
presto esplorata ed esaurita. Per loro l'intimità è stabilita principalmente
col contatto sessuale. Poiché sentono la separazione dall'altra persona
principalmente come separazione fisica, l'unione fisica significa superare la
separazione.
Oltre a ciò,
ci sono altri fattori che per molta gente significano il superamento della
separazione. Parlare della propria vita personale, delle proprie speranze e
delle proprie ansie, mostrarsi sotto aspetti infantili, stabilire un interesse
comune di fronte al mondo, tutto ciò è inteso come un superamento della
solitudine. Perfino dimostrare la propria rabbia, il proprio odio, la propria
completa mancanza di inibizioni, è scambiato per intimità, e ciò può spiegare
l'attrazione perversa che spesso lega una coppia, che è unita solo a letto o
quando dà libero sfogo al rancore e all'odio
Ma tutte
queste forme di intimità tendono a ridursi man mano che il tempo passa. La
conseguenza è che si cerca l'amore con un'altra persona, una persona nuova.
Ancora una volta, l'estraneo viene trasformato in “intimo”, di nuovo
l'esperienza di innamorarsi è intensa, e inebriante; poi comincia a farsi
sempre meno intensa, e termina col desiderio di una nuova conquista, di un
nuovo amore, sempre con l'illusione che il nuovo amore sarà diverso dal
precedente.
Il carattere
ingannevole del desiderio sessuale ha un peso notevole in queste illusioni.
Il desiderio
sessuale tende alla fusione ed è, senza dubbio alcuno, solo un appetito fisico,
il sollievo ad una tensione spasmodica.
Ma il
desiderio sessuale può essere stimolato dall'ansia della solitudine, dal
desiderio di conquistare o di essere conquistato, dalla vanità, dalla volontà
di ferire e perfino di distruggere, così come può essere stimolato dall'amore.
Sembra che il
desiderio sessuale possa facilmente essere confuso, o essere stimolato, da una
forte emozione.
Poiché il
desiderio sessuale è insito nella mente e associato al bisogno d'amore, è
facile concludere che ci si ama quando ci si desidera fisicamente.
L'amore può
ispirare il desiderio dell'unione sessuale; in questo caso la relazione fisica
manca di brama, di desiderio di conquistare o di essere conquistato, ma è
caratterizzata dalla tenerezza.
Se il
desiderio di unione fisica non è stimolato dall'amore, se l'amore erotico non è
anche amore fraterno, non porta mai alla fusione se non in un senso orgiastico
e fittizio. L'attrazione sessuale crea, sul momento, un'illusione d'unione,
eppure senza amore questa “unione” lascia due esseri estranei e divisi come
prima; a volte li fa vergognare l'uno dell'altro e li fa perfino odiare l'un
l'altro, perché quando l'illusione è svanita essi si sentono più estranei di
prima.
La tenerezza
è senza dubbio, come credeva Freud, una sublimazione dell'istinto sessuale; è
la conseguenza diretta dell'amore fraterno, ed esiste sia nelle forme psichiche
d'amore, che in quelle fisiche.
Nell'amore
erotico c'è un'esclusività che manca nell'amore fraterno e materno.
Il carattere
esclusivo dell'amore erotico richiede ulteriori chiarimenti.
Spesso,
l’esclusività dell'amore erotico è interpretata come attaccamento possessivo.
È molto
frequente trovare due persone “innamorate” tra loro che non sentono amore per
nessun altro.
Il loro amore
è, infatti, un egotismo a due; sono due esseri che si annullano a vicenda, che
risolvono il problema della separazione fondendosi tra loro. Credono così di
superare la solitudine; eppure, staccandosi dal resto della specie, restano
separati tra di loro e perfino da loro stessi; la loro unione è un'illusione.
L'amore
erotico esclude l'amore per gli altri solo nel senso di fusione erotica ma non
nel senso di profondo amore fraterno.
L'amore
erotico, per essere vero amore, richiede una condizione: che io ami
dall'essenza del mio essere, e “senta” l'altra persona nell'essenza del suo
essere.
Nell'essenza,
tutti gli esseri umani sono identici. Siamo tutti parte di Uno; siamo Uno.
Partendo da questo principio, non ha importanza chi amiamo.
L'amore
dovrebbe essere essenzialmente un atto di volontà, di decisione di unire la
propria vita a quella di un'altra persona.
Questo è, in
verità, ciò che di razionale v'è dietro il concetto dell'insolubilità del
matrimonio, com'è dietro molti matrimoni tradizionali, in cui i due sposi non
si scelgono tra loro, ma vengono scelti l'uno per l'altro, e che tuttavia ci si
aspetta si amino.
Nella civiltà
occidentale moderna questo concetto appare falso, nel suo insieme. L'amore
dovrebbe essere una reazione emotiva, spontanea, un sentirsi improvvisamente
uniti da un sentimento irresistibile. Sotto questo aspetto, si vedono solo le
caratteristiche dei due esseri coinvolti, e si dimentica il fatto che tutti gli
uomini sono parte di Adamo, e tutte le donne parte di Eva.
Si trascura
un fattore fondamentale, nell'amore erotico: quello di volere. Amare
qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un
impegno.
Se l'amore
fosse solo una sensazione, non vi sarebbero i presupposti per un amore
duraturo. Una sensazione viene e va. Come posso sapere che durerà sempre, se
non sono cosciente e responsabile della mia scelta?
Tenendo conto
di questi elementi, si arriva alla conclusione che l'amore è essenzialmente un
atto di volontà, e che di conseguenza non importa chi ne sia l'oggetto.
Sia il
matrimonio combinato da altri, sia esso il risultato di una libera scelta,
basterebbe un atto di volontà a garantire la durevolezza dell'amore.
Questo punto
di vista sembra non tener conto del carattere paradossale della natura umana e
dell'amore erotico.
Tutti noi
siamo Uno, eppure ognuno di noi è un'entità unica, separata. Nei nostri
rapporti col prossimo si ripete lo stesso paradosso. In quantoché siamo uno,
possiamo amare tutti nello stesso modo, nel senso di amore fraterno. Ma in
quantoché siamo esseri distinti, l'amore erotico esige prerogative strettamente
individuali, che esistono tra determinate persone, e non certo tra tutte.
Entrambi i
punti di vista, perciò, sia quello dell'amore erotico inteso come attrazione
strettamente individuale tra due persone, sia quello dell'amore erotico
considerato come un atto di volontà sono fondati, o meglio la verità non è né
questa né quella.
Di
conseguenza, il concetto di un rapporto che si possa facilmente troncare se
fallisce, è altrettanto errato del concetto che tale rapporto non possa mai
essere troncato.
Mentre non suscita nessuna obiezione
l'applicazione del concetto d'amore a vari oggetti, è opinione diffusa che sia
virtuoso amare gli altri e peccato amare se stessi.
Si ritiene
che nella misura in cui amo me stesso non posso amare gli altri, che l'amore
per se stessi sia una forma egoistica d'amore.
Questo punto
di vista ha la sua origine nel pensiero occidentale. Calvino parla di amore per
se stessi come di “ una peste ”, Freud ne parla in termini psichiatrici, ma,
nonostante ciò, il suo giudizio è uguale a quello di Calvino. Per lui, amore
per se stessi significa narcisismo, libido verso se stessi. Il narcisismo è il
primo stadio dello sviluppo umano, e la persona che in età adulta ritorna a
questo stadio è incapace di amare; nel caso estremo è malata di mente.
Freud parte dal presupposto che l'amore sia la
manifestazione della libido, e che la libido sia o rivolta verso altri (amore)
o verso se stessi (amore per se stessi). Amore per gli altri e amore per se
stessi sono reciprocamente esclusivi, nel senso che pia ve n'è di uno, meno ve
n'è dell'altro.
Se l'amore
per se stessi è peccato, ne deriva che l'altruismo è virtù.
Sorgono ora
queste domande: L'osservazione psicologica sopporta la tesi che ci sia una
contraddizione basilare tra l'amore per se stessi e l'amore per gli altri? È
l'amore per se stessi lo stesso fenomeno dell'egoismo, oppure è l'opposto?
Inoltre, è l'egoismo per l'uomo moderno un vero interesse per se stesso come
individuo, con tutte le sue possibilità intellettuali, emotive e sensuali? Non
è egli diventato un'appendice del suo ruolo economico‑sociale? È il suo egoismo
uguale all'amore per se stesso, oppure è cagionato dalla mancanza di esso?
Prima di
parlare dell'aspetto psicologico dell'egoismo e dell'amore per se stessi, va
sottolineato l'errore che l'amore per gli altri e l'amore per se stessi siano
reciprocamente esclusivi.
Se è virtù
amare i miei vicini come esseri umani, deve essere virtù, e non vizio, amare me
stesso, poiché anch'io sono un essere umano. Non esiste concetto d'umanità in
cui io stesso non sia incluso. Una dottrina che proclama una simile esclusione
è contraddittoria. Il concetto biblico “ama il tuo prossimo come te stesso” significa
che il rispetto per la propria integrità, l'amore e la comprensione di se
stessi, non possono essere scissi dal rispetto, dall'amore e dalla comprensione
per un altro essere umano.
Siamo ora
arrivati alle premesse psicologiche sulle quali si fonda il nostro argomento.
Generalmente queste premesse sono come segue: non solo altri, ma anche noi
stessi siamo l'oggetto dei nostri sentimenti e attitudini; le attitudini verso
gli altri e verso noi stessi sono fondamentalmente congiuntive
Rispetto al
problema in questione ciò significa: l'amore per se stessi si trova in coloro
che sono capaci di amare il prossimo.
L'amore, come
principio, è indissolubile per quel che riguarda la connessione tra “oggetti” e
noi stessi. L'amore genuino è un'espressione di produttività ed implica cure,
rispetto, responsabilità e comprensione. Non è un “affetto” nel senso di essere
amato da qualcuno, ma uno sforzo attivo per la crescita e la felicità dell'essere
amato, dettato dalla propria capacità di amare.
Amare
qualcuno è la realizzazione e la concentrazione del potere d'amore.
L'affermazione fondamentale contenuta nell'amore è diretta verso la persona
amata come verso un'incarnazione di qualità essenzialmente umane. L'amore per
una persona implica l'amore per l'uomo come tale.
La “divisione
del lavoro ”, come William James la chiama, per cui un uomo ama la famiglia ma
non sente niente per lo “ straniero ”, è sintomo d'incapacità d'amare.
L'amore
dell'uomo non è, come generalmente si crede, una astrazione che viene dopo l'amore
per una specifica persona, ma è la sua premessa, sebbene geneticamente la si
acquisisca amando specifici individui.
Ne deriva che
il mio io deve essere un oggetto di amore tanto quanto ogni altro essere.
L'affermazione
della propria vita, felicità, crescita, libertà è determinata dalla
propria capacità di amare, cioè nelle cure, nel rispetto, nella responsabilità
e nella comprensione. Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama
anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente.
Se l'amore
per se stessi non è disgiunto dall'amore per gli altri, come ci spieghiamo
l'egoismo, che ovviamente esclude qualsiasi interesse genuino per gli altri?
L'egoista
s'interessa solo di se stesso, vuole tutto per sé, non prova gioia nel dare, ma
solo nel ricevere. Vede il mondo esterno solo dal punto di vista di ciò che può
ricavarne; non ha interesse per le necessità degli altri, né rispetto per la
loro dignità e integrità. Non può vedere altro che se stesso; giudica tutto e
tutti dall'utilità che gliene deriva; è fondamentalmente incapace d'amare.
Questo non prova che l'interesse per gli altri e l'interesse per se stessi sono
alternative inevitabili?
Sarebbe così
se l'egoismo e l'amore per se stessi fossero la stessa cosa. Ma questa
convinzione è l'errore che ha suscitato tante conclusioni errate riguardo il
nostro problema.
Egoismo e amore per se
stessi, anziché essere uguali, sono opposti. L'egoista non ama troppo se
stesso, ma troppo poco; in realtà odia se stesso.
Questa mancanza
di amore per sé, che è solo un'espressione di mancanza di produttività, lo
lascia vuoto e frustrato. È solo un essere infelice e ansioso di trarre dalla
vita le soddisfazioni che impedisce a se stesso di raggiungere. Sembra
interessarsi troppo di sé, ma in realtà non fa che un inutile tentativo di
compensare la mancanza di amore per sé.
Freud
sostiene che l'egoista è un narcisista, che ha concentrato su se stesso ogni
capacità d'amore. Ma se è vero che gli egoisti sono incapaci di amare gli
altri, ma sono anche incapaci di amare se stessi.
È più facile
capire l'egoismo se lo si paragona ad un morboso interesse per gli altri, come
lo troviamo, ad esempio, in una madre troppo premurosa. Mentre lei crede di
essere particolarmente attaccata al suo bambino, in realtà ha una profonda,
repressa ostilità per l'oggetto del proprio interesse. È eccessivamente premurosa,
non perché ami troppo il proprio figlio, ma perché deve compensare la sua
incapacità di amarlo.
Questa teoria sulla natura dell'egoismo
è nata dall'esperienza psicoanalitica dell'“altruismo” nevrotico, un sintomo di
nevrosi osservato in molti soggetti turbati non solo da questo sintomo, ma da
altri ad esso connessi, quali la depressione, la stanchezza, l'incapacità di
lavorare, il fallimento nei rapporti col prossimo, e via dicendo.
Non solo l'altruismo non è
considerato un “sintomo”; è spesso l'unico tratto positivo del carattere del
quale i soggetti si vantano. La persona “ altruista ” non vuole niente per sé;
vive solo per gli altri, si vanta di non considerarsi importante. È sorpresa di
scoprire che, ad onta del proprio altruismo, è assai infelice e che i suoi
rapporti con coloro che la circondano non l'appagano.
Uno studio analitico dimostra che
questo altruismo non è qualcosa di separato dagli altri sintomi, ma uno di
essi, e spesso il più importante; che il soggetto è inibito nelle proprie
capacità di amare e di godere; che è pieno di ostilità verso la vita e che
dietro la facciata dell'altruismo si nasconde un sottile ma intenso egocentrismo.
Questo individuo può essere curato
solo se anche il suo altruismo è interpretato come un sintomo tra gli altri, in
modo che la sua aridità, che sta alla base sia dell'altruismo che degli altri
sintomi, possa essere corretta.
La natura dell'altruismo si
manifesta in modo particolare nell'effetto che la madre “ altruista ” ha sui propri
figli. È convinta che il suo altruismo insegnerà ai figli a provare che cosa
significhi essere amati, e ad apprendere, a loro volta, che cosa significhi
amare.
L'effetto del suo altruismo,
tuttavia, non corrisponde mai alle sue aspettative. I bambini non mostrano la
felicità delle persone convinte di essere amate; sono tesi, timorosi del
giudizio materno, e ansiosi di appagare le sue speranze. Di solito, sono
colpiti dall'ostilità repressa della madre verso la vita, ostilità che essi
sentono oscuramente, restandone spesso influenzati.
Nell'insieme, l'effetto della madre
“altruista” non è troppo diverso da quello della madre egoista anzi, spesso è
peggiore, perché l'altruismo della madre impedisce ai figli di criticarla. Si
sentono nell'obbligo di non deluderla; imparano, sotto la maschera della virtù,
il disprezzo per la vita.
Chiunque abbia possibilità di
studiare l'effetto di una madre dotata di genuino amore per se stessa, può
vedere che non c'è niente di più utile che dare a un bambino l'esperienza di
ciò che è amore, gioia, felicità, che solo può ricevere il bambino amato da una
madre che ama se stessa.
Questo concetto di amore per se
stessi può essere sintetizzato citando questa massima di Meister Eckhart: “Se
ami te stesso, ami gli altri come ami te stesso. Finché amerai un'altra persona
meno di te stesso, non riuscirai mai ad amare te stesso, ma se ami tutti nello
stesso modo, compreso te stesso, li amerai come una persona, e quella persona è
sia Dio sia l'uomo. E’ grande e giusto chi, amando se stesso, ama in ugual modo
il suo prossimo.”