LA STAGNAZIONE DEL PENSIERO

di JACQUES ROBIN, Direttore di Transversale Science Culture; autore di Changer d'ère, Le Seuil, Parigi, 1989.

(Trad. di Lilli Horvat), marzo 1993

 

In questi anni '90, una seconda ondata di mutazione tecnologica tendente all'informatizzazione generalizzata delle società occidentali sta raggiungendo anche i centri nevralgici delle imprese e delle amministrazioni. La prima ondata aveva messo a disposizione strumenti che facilitavano in maniera del tutto inedita la produzione di beni e di servizi: informatica, robotica, telecomunicazioni, biotecnologie. Tra il 1975 al 1990, questi strumenti hanno trasformato il paesaggio della società industriale e, contrariamente a tutti i pronostici, hanno indotto progressivamente una crescita quantitativa senza creazione di posti di lavoro. La seconda ondata ha portato con sé strumenti ancora più sofisticati: software iperefficienti, potentissime banche dati, telecomandi di concezione e di produzione, sistemi esperti, captori di ogni ordine, messaggerie elettroniche, immagini interattive, telecopie, microchips selettivi ecc..

Queste innovazioni in costante via di autoperfezionamento permettono non solo di delocalizzare il lavoro e di migliorare le prestazioni dei sistemi informatici della prima generazione, ma soprattutto di rendere la gestione generale sempre più coerente ed efficace. E offrono ai dirigenti di tutte le imprese dell'industria, del commercio e della finanza, delle società di servizi e delle amministrazioni, i mezzi per "gestire meglio la complessità" (1), di prevedere con più precisione i possibili esiti dei fattori aleatori, con il risultato di migliorare la gestione, la capacità previsionale e le prospettive.

Se gli strumenti della prima ondata hanno sconvolto l'economia in profondità, ma in maniera puntuale, quelli della seconda immettono in rete effetti generali di regolazione e di sinergia; in particolare, sostituiscono su vasta scala il personale adibito a questi compiti: l'aumento della disoccupazione tra i quadri intermedi, percepibile fin dal 1991, non può che aggravarsi nel sistema di economia produttivista di mercato. In Occidente, mentre i motori della crescita sembrano tendere al rallentamento, l'informatizzazione generale si sta imballando; e se non sarà integrata in un progetto di società coerente, non potrà che distruggere posti di lavoro. Quando i responsabili si decideranno a prendere atto di questi dati evidenti, per comprenderne le conseguenze economiche e sociali e trarne le conclusioni politiche? Per cogliere appieno la portata di questa mutazione dobbiamo innanzitutto richiamarci alle sue radici.

Una rottura nella storia

Negli anni 1942-1943, nel corso di ricerche condotte dagli Stati Uniti sui sistemi di comunicazione allo scopo di proteggere le flotte che trasportavano rifornimenti in Europa, gli ingegneri della Bell Corporation individuarono una grandezza fisica osservabile, la cui utilizzazione assicura una miglior trasmissione dei segnali. La battezzarono information. La si misura mediante un'unità elementare: il bit (2), del quale Shannon (3) ha stabilito la teoria. Norbert Wiener (4), uno dei padri fondatori della cibernetica, ne ha dato una definizione in negativo: "L'informazione non è né la massa, né l'energia. L'informazione è l'informazione". E Boulding ha dichiarato all'Accademia delle scienze degli Stati Uniti: "Ecco la terza dimensione fondamentale della materia".

Ora che si è arrivati ad afferrare la materia attraverso l'informazione che racchiude in sé, rendendo così possibile l'eliminazione di molte incertezze, si è indubbiamente prodotta una rottura nella storia: indipendentemente da qualsiasi manipolazione diretta della materia, è ormai possibile raccogliere messaggi e dati con un'infima spesa energetica. Queste informazioni, accumulate in macchine (i computer), sono strutturate, "computerizzate", e dopo il trattamento vengono trasformate in programmi i quali, inseriti nelle macchine, funzionano come comandi automatici.

Decisori ciechi

Mentre ricercatori e pensatori (5) si interrogano sulla portata di questo concetto di informazione e di comando, la tecnoscienza non perde tempo e mette a punto tecnologie completamente nuove, che a partire dagli anni '50 si stanno diffondendo incessantemente: l'informatica, con le sue successive generazioni di computer; la robotica, che dalle prime macchine automatiche è passata oggi a congegni intelligenti e interattivi; le telecomunicazioni, che grazie alla commutazione elettronica sono in grado di avvolgere l'intero pianeta in una rete di trasmissione di suoni, immagini e scritti, reciprocamente trasformabili; le biotecnologie, che sfruttando i fulminei progressi della biologia molecolare e genetica invadono il campo agroalimentare e le bioindustrie, fino ad alzare il tiro sulla fabbricazione della stessa sostanza vivente. Queste quattro tecnologie chiave si collegano tra loro, oltre che con quelle del settore energetico tradizionale (in particolare nei campi della meccanica e della chimica). Il salto qualitativo rappresentato da queste tecnologie "dell'informazione" ha ripercussioni rivoluzionarie sull'andamento delle società "sviluppate". Le tecnologie della seconda ondata non possono che far precipitare questo andamento. Ecco allora la mutazione radicale che scandalosamente i responsabili continuano ad ignorare e ad occultare.

Dall'inizio del neolitico, gli uomini si sono sforzati - e con quale successo! - di plasmare la materia utilizzando fonti di energia sempre più potenti. Ed ecco che ora, con le tecnologie informatiche, ciò diviene possibile in modi infinitamente più vantaggiosi, attraverso codici, memorie, linguaggi, segnali. Entriamo così nel mondo inedito della riproducibilità pressoché gratuita di numerosi beni e servizi (si pensi ad esempio al trattamento dei testi, o al clonaggio di sementi selezionate); e queste tecnologie sconvolgono le regole degli scambi tradizionali. L'accelerazione è tale, i risultati così clamorosi, i vantaggi così evidenti (consumo minimo di energia, produttività ininterrotta, nuovo rapporto con il tempo, nuove regole di ripartizione, nuova alfabetizzazione...) che si finisce per non vedere una conseguenza sociale fondamentale: con l'automazione sistematica e generalizzata, l'uomo è semplicemente espulso dalla produzione dei beni e dei servizi. Non soltanto il suo rapporto con la macchina è stravolto - in larga misura, il lavoro non è più materiale - ma gli stessi meccanismi economici e sociali tradizionali si vanno progressivamente deregolando: la produttività marginale, fondamento del calcolo economico classico, non è più molto significativa. Indicatori quali il prodotto nazionale lordo (Pnl), l'indice di produttività o i livelli di inflazione non quadrano più con la realtà economica.

Ma mentre nella maggior parte dei paesi sviluppati gli spasimi di una crescita deregolata scatenano licenziamenti di massa, i decisori d'ogni parte e d'ogni colore, ciechi di fronte a questa mutazione, si accontentano di formulare voti di "ripresa". Così come in contesti diversi si recitano preghiere al rullo dei tamburi per invocare la pioggia, c'è chi invoca il calo dei tassi di interesse in Germania, come se bastasse una misura del genere a fermare la creatività tecnologica. E non riescono a comprendere che ogni accelerazione, attraverso l'informatizzazione generalizzata, dell'attuale tipo di crescita dei paesi sviluppati moltiplicherà automaticamente il numero degli esclusi. Come pensare che l'individuazione di una terza caratteristica della materia - l'informazione - accanto a quelle già note di massa e di energia non portasse a una trasformazione dei fattori fondanti delle società? Sarebbe come pretendere che i fisici del XX secolo potessero non tener conto della teoria dei quanti e dei principi della relatività, o che i biologi e i medici di questa fine secolo possano sbarrare la strada alla biologia molecolare e genetica. Eppure, è proprio questa la posizione attuale della quasi totalità degli economisti, dei politici, delle "grandi firme" della stampa e dei ricercatori nel campo delle scienze sociali e umane nei riguardi delle tecnologie informatiche.

I politici tentano di assimilare la mutazione tecnologica a una terza rivoluzione industriale - cosa che li conforta nei loro ragionamenti tradizionali - e si aggrappano ancora al teorema dell'ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt: "I profitti di oggi sono gli investimenti di domani e i posti di lavoro di dopodomani". Quanto ai ricercatori, c'è chi tenta di rispolverare la vecchia teoria dei cicli lunghi dell'economista russo Kondratiev, formulata negli anni venti, o di aggiornare i lavori di Joseph Aloys Schumpeter degli anni '30 e '40 sul ruolo dell'innovazione tecnologica nella dinamica del capitalismo.

Né gli economisti, murati nelle loro modellizzazioni matematiche, né i politici ossessionati dalle scadenze elettorali o i ricercatori ormai senza bussola sono in grado di orientare i cittadini nel dedalo della crisi. La questione di fondo posta dalla mutazione tecnologica dell'informazione rimane senza risposta: poiché una quantità sempre maggiore di beni e di servizi viene prodotta con sempre meno lavoro umano, come organizzare questo lavoro, ridurne e ripartirne la durata, distribuire la ricchezza prodotta e i redditi in maniera più equa, aprendo il tempo liberato alle attività di solidarietà, di conoscenza, di creatività che non conoscono limiti?

La sola economia di mercato è certo incapace di rispondere a una problematica tanto complessa e pluridimensionale. Tanto più che la mutazione tecnologica va di pari passo con una mutazione culturale, tendente in particolare a mettere in discussione il posto del lavoro nella società, le modalità di produzione e di consumo e quelle di ripartizione delle ricchezze. E l'esplosione demografica mondiale, lo squilibrio stridente dei rapporti Nord-Sud, il degrado ecologico della terra, l'asservimento della tecnoscienza agli imperativi di potenza del sistema economico occidentale complicano ulteriormente l'analisi.

È indispensabile uno sguardo diverso sul mondo, un altro modo di vedere. Al di là delle alternanze elettorali, che non cambiano nulla di nulla, siamo posti di fronte a un'alternativa ove si giocano le sorti della libertà. O ci lasciamo sommergere dall'alta marea informatica, e allora non sarà messo in forse solo il lavoro, ma l'umanità stessa sarà ridotta al ruolo di robot dei nostri computer. Oppure sapremo scaricare su queste macchine tutte le incombenze ingrate, ripetitive, automatiche e informatizzabili, e fare di questi nostri schiavi meccanici, perfetti manipolatori dell'informazione, gli strumenti di realizzazione delle potenzialità umane.

 

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(1) Si veda, in particolare, Dominique Genelot, Manager dans la complexité, INSEP Editions, Parigi, 1991.

(2) Il bit, contrazione di binary digit, non è un'unità di "senso", bensì un'unità elementare di informazione, suscettibile di rappresentare due valori distinti: in generale 0 e 1, in conseguenza dell'eccezionale sviluppo dei computer con sistema binario.

(3) C. E. Shannon, "A Mathematical Theory of Information", Bell System Technology Journal n° 27, 1948; C. E. Shannon e W. Weawer, The Mathematical Theory of Communication, University of Illinois Press, Urbana Internet, 1949.

(4) Norbert Wiener, Cybernetics or Control and Communication in Animal and in the Machine, John Wiley and Sons, New York, 1948.

(5) Tra gli altri, Léon Brillouin, La Science et la théorie de l'information, Masson, Parigi, 1959; J. Von Neumann, Heinz von Förster, Henri Atlan, l'Organisation biologique et la théorie de l'information, Hermann, Parigi, 1972 (nuova edizione 1992), oltre che, con una riflessione più concettuale, Gregory Bateson, Henri Laborit, Edgar Morin, François Jacob.