IL MONDO SI RIBALTA

di MICHEL BEAUD, Docente di economia all'università Parigi VII-Denis Diderot.

(Trad. di Lilli Horvat), ottobre 1994

 

Mercificazione generalizzata delle attività sociali e di tutti gli aspetti della vita umana, globalizzazione delle sfere monetaria e finanziaria: il capitalismo trionfante, senza più alternative credibili, impone la crescita economica come unico fondamento della felicità e orizzonte insuperabile per il genere umano. Di fronte a questa evoluzione apparentemente irreversibile, come non augurarsi un soprassalto collettivo?

In meno di un quarto di secolo abbiamo assistito, nel mondo occidentale, a una crescita sempre più affannosa, alla perdita di efficacia delle politiche economiche nazionali, a una rimessa in discussione dello stato sociale, all'abbandono dei progetti socialisti (traditi qui, in fase di ritirata programmata altrove) di fronte all'affermazione folgorante delle ideologie del mercato e del denaro. Quello che veniva definito il Terzo mondo si sta disgregando in parti sempre più disparate, mentre scompare anche il ricordo della speranza terzomondista. Quanto ai paesi che si richiamavano al socialismo, hanno dichiarato tutti, in un modo o nell'altro, il fallimento radicale dello statalismo generalizzato, con l'abbandono del sistema precedente (Unione Sovietica, Europa dell'est), o asserragliandosi in una situazione bloccata (Cuba, Corea del Nord) o aprendo nuove vie in maniera pragmatica (Cina).

È crollato così un sistema mondiale fondato sul confronto tra due campi contrapposti, con due superpotenze, due concezioni della società, due sistemi di valori. Pur conservando la propria influenza in America latina, in Africa e nell'Est europeo, l'occidente appare impotente di fronte agli scompigli e ai drammi di queste regioni. E intanto l'Asia, con il peso e le capacità delle sue popolazioni, con le sue dinamiche industriali e commerciali, con le sue ambizioni in via di affermazione si prepara a occupare un posto essenziale nel mondo del XXI secolo.

L'ideologia del libero mercato trionfa e la speranza socialista di una società democratica, fraterna, solidale, non ha ormai più alcuna espressione politica credibile. Nello stesso tempo, quasi ovunque le aspirazioni delle società sembrano ridursi alla ricerca di punti di crescita; gli stati-nazione subiscono i giochi di una sfera finanziaria e valutaria che li soverchia; il peso delle grandi multinazionali aumenta, e al tempo stesso si accresce anche quello delle mafie; nuove tecnologie che incidono sulla materia, sulla vita, sull'immagine, sull'informazione, sul pensiero, sulle decisioni sorgono e trovano applicazione senza che sia possibile controllarne tutte le conseguenze.

La prosperità di un miliardo di esseri umani ha incominciato a intaccare gli equilibri fondamentali della Terra, e un altro miliardo sembra impegnato in una rincorsa accanita nella stessa direzione; ma sotto la triplice pressione della modernizzazione stracciona (la lumpen-modernisation), della crescita demografica e della rapacità delle oligarchie, un ulteriore miliardo, quello dei più poveri, sprofonda nelle spirali mortifere dello sradicamento, della spoliazione, delle lacerazioni.

Il regno delle merci

Crisi economiche; crisi delle società e delle loro interrelazioni; crisi dei rapporti tra il genere umano e il suo pianeta: la coincidenza di queste crisi costituisce l'avvio di una "svolta storica mondiale" (1), e fors'anche di un "ribaltamento del mondo". Tentiamo di individuarne i tratti salienti. Un bambino passeggia in campagna insieme al padre; improvvisamente preoccupato, si ferma e chiede: "Ma papà, dove si va a pagare?". Parchi giochi, piste da sci di fondo a pedaggio, spiagge a pagamento... Sempre più raramente le attività e gli svaghi all'aperto sfuggono al lucro.

L'acqua delle fontane scorreva gratuitamente; ma nelle città i portatori d'acqua hanno incominciato prestissimo a venderla. Oggi l'acqua del rubinetto si paga, dal momento che è divenuta una merce, oggetto di produzione; e la vendita delle acque minerali o di sorgente (in bottiglie, taniche o "fontane" destinate alle collettività) è in aumento in tutti gli arcipelaghi opulenti del nostro mondo, mentre in numerose baraccopoli i racket controllano i rubinetti da cui scorre un'acqua di dubbia qualità. La produzione di acqua potabile è divenuta un'attività economica a pieno titolo; domani, in alcuni paesi si potrà dire altrettanto per la sua importazione.

Un processo analogo è già iniziato anche per l'aria depurata. Ad alcuni crocevia di Città del Messico si possono inspirare boccate di ossigeno a pagamento. Sono sempre più numerosi gli edifici che comportano l'aria condizionata; i progetti di "città artificiali" sono prefigurati da alcuni prototipi. Così, insidiosamente, sta prendendo piede anche la mercificazione dell'aria.

Prendiamo la sanità. Si può sostenere che si è sempre dovuto pagare il medico o il farmacista; ma a un esame più approfondito, tutto appare cambiato: sistemi sanitari sempre più costosi, obiettivi di ricerca, di produzione e di mercato dei laboratori farmaceutici, lobbies sanitarie. Il caso del sangue per le trasfusioni contaminato lo testimonia: le sue radici profonde - interessi nazionali, necessità di smaltire le scorte, competizione tra i laboratori - affondano nell'economia, con l'intersecarsi delle tre logiche: statale, capitalista e mercantile. E lo testimonia anche il moltiplicarsi dei giri di denaro nel campo della medicina, della chirurgia, della procreazione, dei prelievi di organi e di tessuti. Il denaro domina, e tende a esercitare un dominio sempre maggiore anche nel campo dell'istruzione e della formazione, della stampa, della cultura, dell'arte, dello sport, del tempo libero...

Lo stesso avviene per quanto riguarda lo stoccaggio, la diffusione e il trattamento elettronico delle informazioni. Si sarebbe potuto immaginare che la gratuità potesse essere instaurata sotto forma di servizio pubblico o secondo un modello di tipo nuovo. Ma hanno prevalso le logiche del mercato e del profitto: alcuni gruppi capitalisti esercitano il loro peso contemporaneamente sullo sviluppo dei bisogni, sulla definizione delle norme e sulla strutturazione dell'offerta.

Si estende e si rafforza così il regno delle merci, ma ciò non avviene più soprattutto attraverso la moltiplicazione e l'accumulazione di beni materiali, come si poteva presentire nel XIX secolo e osservare nel XX, ai bei tempi della società dei consumi. Saranno mercificati - e già hanno incominciato a esserlo - tutti i momenti della vita umana, tutte le funzioni della società e, in misura sempre maggiore, tutte le dimensioni di una Terra ridotta a essere ormai soltanto l'ambiente di vita della specie umana. In sintesi, la mercificazione dell'uomo, delle società e della Terra stessa. Questa mutazione, da Colin Clark in poi, è stata percepita in uno dei suoi aspetti più visibili: l'arretramento del predominio dell'industria e l'avanzata dei servizi (2).

Negli Stati Uniti, la quota del terziario rispetto all'occupazione globale è passata dal 17% del 1850 al 77% nel 1992, mentre la sua incidenza in relazione al prodotto interno lordo ha superato il 70% nel 1991 (3). In un ambito più vasto, nei 16 paesi dell'Ocse la quota del terziario rispetto all'occupazione complessiva, che nel 1870 era in media del 24.3%, ha raggiunto il 38,7% nel 1950, il 53,4% nel 1973 e il 63,5% nel 1987 (4).

Per converso, il peso dell'industria scende rapidamente. Il suo contributo all'occupazione complessiva è caduto, tra il 1950 e il 1987, dal 46,8% al 27,7% in Belgio, dal 40,2% al 26,3% in Olanda, dal 46,5% al 29,8% nel Regno Unito (5). Come era già avvenuto per l'agricoltura, il posto dell'industria, sia per quanto riguarda l'occupazione che rispetto alla produzione, sta passando al secondo posto nei paesi occidentali.

Il capitalismo industriale, simboleggiato tra il 1850 e il 1950 dalla fabbrica con i suoi pennacchi di fumo, i suoi ritmi d'attività e la sua disciplina di lavoro, sta scomparendo davanti a una nuova realtà, e con esso la classe operaia, il sindacalismo operaio e un certo tipo di conflitti e di relazioni sociali. Non è dunque a caso se contemporaneamente sta crollando tutta una concezione del socialismo che si era forgiata nella lotta contro lo sfruttamento capitalista nell'industria, aveva fatto della classe operaia la forza principale dell'emancipazione umana ed eletto il proletariato industriale a messia dei tempi moderni.

Certo, gli ideali fondatori del socialismo - solidarietà, equità, giustizia sociale, fratellanza - sopravvivono (6), ma doppiamente indeboliti: per aver perduto la loro dinamica di lotta e per la necessità di ricomporsi nel contesto di un capitalismo reso fragile dalla crisi. Ma ricomporsi rispetto a che cosa? La nuova società che sta emergendo è stata qualificata dai suoi analisti in vari modi: post-industriale, del terziario, dei servizi, dell'informazione, della comunicazione... Ma è questo l'essenziale?

La dinamica principale del nostro tempo è l'estendersi dei rapporti mercantili e capitalistici a quasi tutti i campi: dal sostentamento e dal benessere delle persone all'andamento delle imprese e delle organizzazioni, dal funzionamento dei sistemi di informazione e di decisione alla gestione delle attività politiche, dei sistemi sociali, dell'ambiente e della Terra stessa.

Siamo dunque in una nuova fase della divisione del lavoro e della sfera delle merci, contrassegnata dalla moltiplicazione di merci complesse, prodotte per lo più da gruppi capitalisti o sotto il loro controllo; e questa produzione esige a un tempo la disponibilità di una forza lavoro con competenze professionali (giuridiche, mediche, finanziarie, di gestione...) e di materiali e tecnologie spesso sofisticati. Queste "merci complesse" non sono soltanto oggetti materiali individuabili o semplici servizi, bensì combinazioni di fattori materiali e immateriali, dell'intervento diretto di competenze e dell'uso di beni a forte contenuto tecnico, che di conseguenza implicano spesso investimenti enormi, sia nella ricerca che nella produzione delle attrezzature e nella formazione degli addetti. Da qui il ruolo centrale dei grandi gruppi (come nell'informatica, nelle telecomunicazioni, nel settore multimediale, nelle biotecnologie, nell'industria spaziale, del tempo libero, delle misure anti-inquinamento ecc.).

Dietro le apparenze di un passaggio dall'industria al terziario il fenomeno decisivo è quindi, a nostro avviso, l'emergere di un capitalismo generalizzato. Il suo terreno di coltura è la generalizzazione della merce: la mercificazione dell'uomo (sanità, commercio del sangue, degli organi, della procreazione, con la prospettiva della gestione genetica della sua intera esistenza), delle funzioni sociali (istruzione e formazione, conoscenza e gestione dell'opinione pubblica e in prospettiva delle decisioni politiche, delle tensioni e dei conflitti), delle attività umane superiori (ricerca scientifica, elaborazione delle conoscenze, delle opere intellettuali e artistiche e in futuro la gestione dei principi e dei valori) rapporto con la natura (misure anti-inquinamento, produzione e urbanistica non inquinanti e domani la gestione del pianeta) ecc..

Nei campi in cui la produzione non è soggetta ai vincoli del mondo materiale (informazione, conoscenze, cultura, creatività) l'abbondanza avrebbe potuto essere alla portata dell'umanità se i suoi fini fossero stati gerarchizzati e i suoi bisogni adeguatamente gestiti. Ma le aziende hanno saputo imporre monopoli, moltiplicare i bisogni ed esacerbarli, rendere raro ciò che non lo era. Ed eccoci di nuovo catturati, in quasi tutti i momenti della nostra vita, nella dipendenza da nuovi hardware e software, con nuove aspettative e speranze che ci attanagliano in un infinito groviglio di nuove dipendenze e nuove alienazioni... Certo, il capitalismo industriale non scomparirà. Il suo vecchio strato andrà semplicemente assottigliandosi, mentre il nuovo strato (quello del capitalismo generalizzato, applicato all'informazione, all'uomo, al pianeta) si rafforzerà sempre più. Tenuto conto delle caratteristiche della merce generalizzata, trovarsi in una posizione di punta di questo capitalismo significa essere padroni delle nuove conquiste tecnologiche: l'informatica (con la gestione dei sistemi complessi), la teletrasmissione (con le nuove prospettive della digitalizzazione) le biotecnologie (con le cartografie e le terapie genetiche): tutte tecnologie che, per numerose applicazioni, si collegano o si associano tra loro.

Così, dopo le diverse ondate di crescita dell'economia mercantile e dei capitalismi mercantili, in particolare nell'Europa del XIV e fino al XVI secolo, seguite dal capitalismo manifatturiero (XVII-XVII secolo) e da quello industriale (XIX-XX secolo) il secolo a venire si preannuncia come quello del capitalismo generalizzato (7). Il nuovo capitalismo che dominerà il mondo e le nostre società sarà un elemento decisivo del "ribaltamento del mondo" oggi in corso, di cui non si sono ancora neppure lontanamente comprese le reali dimensioni.

L'estensione delle sfere del capitalismo, dei mercati e dei rapporti finanziari si accompagna a mutazioni molto profonde delle nostre società: spazi sempre maggiori riservati alla tecnologia, alla ricerca e alla scienza; la divisione sempre più accentuata del lavoro; l'aumento delle interdipendenze. Le sue esigenze suscitano però al tempo stesso nuove emarginazioni, la moltiplicazione dei bisogni e il rinnovamento delle loro forme come delle modalità del loro soddisfacimento, la trasformazione dei valori, delle strutture sociali, delle motivazioni e dei comportamenti; la dispersione delle sedi decisionali e la diluizione delle responsabilità. Al tempo stesso, le attività produttive, che fino a ieri erano state al servizio delle società, tendono a divenire predominanti rispetto all'insieme delle altre attività sociali. Nel rapporto con le società umane, il momento economico si autonomizza.

Questa nuova autonomia è stata resa possibile dalla distruzione, spesso violenta, delle forme sociali precedenti nelle quali la commistione delle dimensioni religiosa, sociale, economica e politica, i legami familiari, i rapporti di dipendenza, di sottomissione o di vassallaggio, i sistemi di solidarietà e di redistribuzione creavano tessuti complessi che assumevano forme assai diverse tra loro (8).

Come ha osservato Karl Polanyi, dopo la disgregazione delle società tradizionali provocata dalla generalizzazione del "mercato autoregolatore" e dalla sua estensione, al di là delle merci, alla terra, al lavoro e al denaro, "la società è gestita in quanto ausiliaria del mercato. Al posto di un'economia incastonata nei rapporti sociali abbiamo rapporti sociali incastonati nel sistema economico" (9). Divenuto "fonte e matrice del sistema" (10), il mercato autoregolatore riduce le relazioni umane e sociali a rapporti monetari.

L'economia domina ormai le società. Gli argomenti economici detengono il primato su molte questioni che in altri tempi sarebbero state trattate in termini politici o etici. Il miglioramento della condizione di ciascuno, l'innalzamento del livello di vita, la felicità e l'esistenza stessa sembrano dipendere essenzialmente dalla vitalità dell'economia. E nell'universo delle scienze economiche si affermano sempre più le correnti che pretendono di dare risposte a tutto attraverso il semplice calcolo economico. Tutto sembra ormai dipendere soltanto dalla massimizzazione o dall'ottimizzazione (11). Il predominio crescente dell'economia nelle nostre società tende a riprodursi così nella nostra mentalità, nel nostro modo di pensare, nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni attraverso un crescente predominio del ragionamento economico.

A loro volta, le economie nazionali e con esse le società umane sono sempre più dominate dalla sfera monetaria e finanziaria che si è sviluppata con la moltiplicazione delle operazioni di cambio, la crescita ipertrofica delle attività finanziarie e borsistiche, le incessanti speculazioni e gli arbitraggi sempre più capillari sui tassi di interesse e di cambio, i giochi sempre più eterei sui "futures", sui differenziali, sulle opzioni... Questa sfera monetaria e finanziaria si sta gonfiando poderosamente e tende ad autonomizzarsi rispetto al funzionamento delle economie produttive e mercantili. Gli scambi sui mercati monetari, finanziari e borsistici, che ai tempi di Keynes rappresentavano il doppio degli scambi di merci, assommano oggi a ben cinquanta volte il valore di questi ultimi (12).

Questa sfera monetaria e finanziaria, che attua in maniera spettacolare la tendenza contemporanea alla globalizzazione, costituisce un ambiente ideale per le attività degli speculatori internazionali, delle oligarchie e dei dittatori arricchitisi ai danni dei rispettivi paesi (13), dei finanzieri di tutte le mafie e di ogni tipo di traffici. Agitata com'è dai rapporti complessi tra le valute nazionali, le finanze pubbliche degli stati, le strategie finanziarie delle multinazionali e i conti esteri delle nazioni, questa sfera è inoltre soggetta a impulsi e a logiche propri; e i loro effetti, che agiscono in tempo reale sull'intero pianeta, in caso di crisi (14) rischiano di trascinare nella tormenta le monete e le economie nazionali insieme alle società umane che oramai ne dipendono.

Di fatto, con il duplice processo della mercificazione e della globalizzazione, si sta instaurando una situazione del tutto nuova nella storia: le società dipendono sempre più dall'economia mentre i sistemi economici sono sempre più tributari delle tensioni e dei soprassalti di una sfera finanziaria e monetaria mondiale di cui nessuno è in grado di controllare le dinamiche né di impedire le crisi. È questa un'altra dimensione del ribaltamento del mondo.

Le società contemporanee, i cui valori sono ormai erosi, la cui coerenza è sempre più fragile, non hanno più alcun progetto globale. La crescita economica è divenuta la loro principale finalità. Dopo averla rappresentata a lungo come il mezzo per aumentare il benessere, i paesi ricchi la ripropongono oggi come il principale rimedio alla disoccupazione e alla povertà. E spesso si preferisce non riflettere sui motivi per cui i paesi capitalisti soffrono ancora di queste piaghe dopo uno o due secoli di crescita. Nei paesi già trasformati da varie ondate di modernizzazione e di industrializzazione, la crescita appare come la via obbligata per raggiungere le nazioni ricche; e in quelli più poveri, ove la società è troppo spesso disgregata da traumi esterni e da lacerazioni interne per l'incuria e l'avidità delle famiglie al potere, la crescita demografica e l'estremo bisogno rendono indispensabile il rilancio della produzione.

Apartheid mondiale

Quando una società è dominata dall'economia, non le rimane altra prospettiva, e forse neppure altra speranza che la crescita economica. Ma la crescita di questi due ultimi secoli, e in particolare quella degli ultimi due decenni ha cominciato a intaccare in molti modi, dal livello locale fino a quello globale, il fragile equilibrio fisico-chimico che ha reso possibile la vita sulla Terra (15).

Il Nord è stato incontestabilmente e resta tuttora il principale responsabile degli accaparramenti, delle contaminazioni e degli squilibri ambientali. Da una ventina d'anni, grazie anche alla pressione del movimento ecologista, si è incominciato qui a ridimensionare le aggressioni più brutali; si è così facilitato tra l'altro anche il riflusso del capitalismo industriale e il trasferimento di talune attività. Il capitalismo generalizzato si preannuncia meno inquinante, sebbene siano da paventare certi effetti delle nuove tecnologie, e in particolare delle manipolazioni della materia e della vita.

Sarà oramai nel Sud, con la crescita demografica, l'urbanizzazione, la seduzione esercitata dal lusso del Nord sui più ricchi e dalla società dei consumi sugli altri, che si svilupperà inesorabilmente e massicciamente, in questi prossimi decenni, la parte preponderante dei processi distruttivi. Due situazioni si presentano oggi in contrasto tra loro: quella caratterizzata da una rapida industrializzazione, dal passaggio a forme di agricoltura con impiego massiccio di prodotti chimici e da una forte crescita della produzione e dei consumi, e quella dominata dalla pressione demografica, dall'indigenza e talora dalla miseria estrema. Nei due casi, molti processi di degrado - di cui taluni irreversibili - potrebbero essere evitati se i detentori delle risorse finanziarie e delle conoscenze tecniche ponessero mano agli interventi necessari. Ma come non vedere il tragico squilibrio tra l'entità della posta in gioco nel nostro tempo e l'incapacità delle nostre società di far fronte alla responsabilità che ne consegue?

Non siamo forse entrati in un'era di irresponsabilità illimitatata? Infatti, dal momento che è il mercato a provvedere a tutto, tocca al consumatore fare la scelta giusta; dal momento che il denaro è il valore supremo, chi non ne ha è fuori gioco; dal momento che i mercati, e in particolare quelli finanziari, sono mondiali, i responsabili nazionali dispongono di un buon numero di pretesti per lasciar fare. Società private, governi, professionisti (della sanità o della finanza), luminari della scienza non lesinano certo gli appelli, le dichiarazioni, i codici (di buona condotta o di etica): può testimoniarlo, se ce ne fosse bisogno, la conferenza di Rio de Janeiro. Ma a fronte dei processi di destrutturazione in atto nelle nostre società, che minacciano l'umanità e mettono in pericolo la Terra, non esiste una sede in cui si elabori e si programmi l'attuazione della strategia pluridimensionale di cui abbiamo bisogno. Perciò, si sta forse preparando il peggio.

Il peggio, fin d'ora, è un'umanità più ricca che mai, che accetta di vedere un miliardo di esseri umani sprofondati nella miseria; è l'intollerabile disuguaglianza che caratterizza il nostro tempo e nasce dal sovrapporsi delle disuguaglianze sempre più profonde tra le diverse società alle sperequazioni esistenti in ciascuna di esse: una disuguaglianza che raggiunge limiti estremi quando il denaro domina ovunque. I più poveri, che rappresentano il 20% della popolazione mondiale, dispongono dello 0,5% del reddito mondiale, mentre un altro 20%, quello dei più ricchi, incamera il 79% del reddito (16). Alcune famiglie ricchissime hanno redditi pari all'equivalente monetario dei proventi di centinaia di migliaia di famiglie indigenti. Nessuno ha il coraggio di dirlo, ma ciò che si sta instaurando - nel Sud come nel Nord, arcipelaghi di opulenza, di benessere protetto, di natura ben curata o... simulata, e tutt'intorno, a Nord e a Sud, zone che sono oceani di indigenza e miseria, ove spesso manca l'essenziale, l'acqua potabile, l'aria respirabile, il nutrimento - fino alle radici stesse delle culture e delle società, è una nuova apartheid su scala mondiale.

Ma l'aspetto peggiore è anche il sacrificio che le rapacità e le passività di oggi stanno imponendo alle generazioni a venire, con il saccheggio e lo sperpero delle risorse, il degrado delle acque, la distruzione del suolo, i depositi di rifiuti chimici e radioattivi sotto terra e nei mari, i siti nucleari (civili o militari) che esigono manutenzione... Saranno di più - vari miliardi in più, per un'altra irresponsabilità, quella di chi si oppone al controllo demografico - e dovranno gestire i guasti, i rischi e le carenze che avremo lasciato loro in eredità. Invece di essere chiamati a conoscere una nuova tappa dell'emancipazione umana, saranno sottoposti alla pressione dei nuovi vincoli e delle nuove necessità.

Davanti alla potenza delle dinamiche in corso, alla forza di accelerazione che caratterizza praticamente tutti gli aspetti dell'evoluzione del nostro mondo, e in assenza di alternative credibili, tutto ciò che resta da fare è attenersi - ma con fermezza - ad alcuni baluardi: per impedire il dominio generale della mercificazione, salvaguardare o ricreare aree di gratuità e di piccola produzione familiare o comunitaria, ridefinire a tutti i livelli (dal locale al mondiale) lo spazio dei beni pubblici, sotto la responsabilità dei pubblici poteri; per bloccare il sorgere di un'apartheid mondiale, fermare la tendenza all'aggravamento delle disuguaglianze e impegnarsi in seguito a ridurle; per riaffermare, restaurare o instaurare sistemi plurimi di solidarietà, di redistribuzione e di protezione sociale. E inoltre concepire e porre in atto strategie per dare risposte a bisogni urgenti (acqua, habitat, sanità ecc.) e suscitare al tempo stesso lo sviluppo di attività e occupazione, contribuendo a promuovere forme di produzione e di vita non distruttive delle risorse e degli equilibri della nostra Terra.

Tutto questo, nell'attesa che un soprassalto - in senso sia umano che etico e politico - schiuda prospettive migliori.

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(1) Si rinvia, pur senza riprenderne gli intendimenti, ai lavori di Robert Bonnaud, Y a-t-il des tournants historiques mondiaux? Kimé, Parigi 1992; les Alternances du progrès, Kimé, Parigi 1992, les Tournants du XX siècle. Progrès et régressions, L'Harmattan, Parigi 1992

(2) Colin Clark, The National Income, 1924-1931, Londra, Macmillan, 1932; The Conditions of Economic Progress, Londra, Macmillan 1940; trad. fr. les Conditions du progrès économique, Parigi, PUF 1960.

(3) US Labour Statistics Bureau e Ocse, da The Economist, 20 Febbraio 1993, p. 63.

(4) Angus Maddison, Dynamic Forces in Capitalist Development, A Long-Run Comparative View, Oxford University Press, 1991, pp. 248-249.

(5) Angus Maddison, op. cit, pp. 248-249.

(6) Vedere Michel Beaud, le Socialisme à l'épreuve de l'histoire, le Seuil, Parigi 1982

(7) Vedere Fernand Braudel, Civilisation matérielle, économie et capitalisme, Armand Collin, Parigi 1979 trad. it. Civiltà materiale, economia e capitalismo, Einaudi, 1981-82. E la Dynamique du capitalisme, Flammarion, 1985: Karl Polanyi, The Great Transformation, 1944, trad. it. La grande trasformazione, Einaudi, 1974

(8) Secondo Karl Polanyi, fino alla fine del periodo feudale i sistemi sociali dell'Europa occidentale "erano organizzati secondo i principi della reciprocità o della redistribuzione, dell'amministrazione domestica o anche di una combinazione dei tre".

(9) Ibid., p. 88

(10) Ibid., p. 21

(11) Si pensa in particolare a Gary Becker. Vedere Michel Beaud e Gilles Dostaler, la Pensée économique depuis Keynes, Parigi, le Seuil, 1993, pp. 161 s. e 238 s.

(12) Un'altra valutazione: il rapporto tra l'insieme degli acquisti e delle vendite valutari sul mercato dei cambi e il complesso delle operazioni legate agli scambi mondiali di merci, che era di 6 nel 1979, è arrivato a 20 nel 1986. Vedere Michel Beaud, l'Economie mondiale dans les années 80, La Découverte, Parigi 1989, pp. 128-129

(13) Negli anni 80 per tredici paesi fortemente indebitati del Terzo mondo i fondi all'estero, che si considerano corrispondenti alle fughe di capitali, rappresentavano dal 40 al 50% del totale del debito estero. ("United Nations Conference on Trade and Development", International Monetary and Financial Issues for the 1990's, Nazioni Unite, New York, vol. III, 1993, p. 66).

(14) Lo testimoniano due gravi episodi: la crisi borsistica dell'autunno 1987 e gli attacchi speculativi nei confronti di alcune valute del sistema monetario europeo nel primo semestre del 1993. Gli ottimisti penseranno che si riuscirà sempre a evitare il peggio; ma i pessimisti temono che un'altra volta tutte le dighe potrebbero saltare.

(15) Vedere in particolare Michel Beaud, Calliope Beaud e Mohamed Larbi Bouguerra (dir.), l'Etat de l'environnement dans le monde, La Découverte, Parigi 1993, parte prima, "Les hommes et la planète".

(16) Programma delle Nazioni Unite sullo sviluppo (Pnud), Rapporto mondiale sullo sviluppo umano 1992, Rosenberg e Sellier, Torino 1992.