COSTRUIRE INSIEME L'AVVENIRE DEL PIANETA

a cura della FONDAZIONE PER IL PROGRESSO DELL'UOMO

(Trad. di Anna Maria Merlo), aprile 1994

Vent'anni fa, il Club di Roma diffondeva il suo celebre rapporto, I limiti dello sviluppo, che metteva in guardia l'umanità contro lo spreco delle risorse ecologiche e contro il pericolo di distruzione del pianeta. Questi rischi sono aumentati. Per questo, la Fondazione per il progresso dell'uomo (1), nella piattaforma che qui pubblichiamo in esclusiva mondiale, formula una nuova diagnosi sulla crisi di questa fine secolo. E propone strategie di azione per uscirne.

Se le nostre società continueranno ancora a lungo a vivere e a svilupparsi come hanno fatto finora, l'umanità è destinata a autodistruggersi. Noi rifiutiamo questa prospettiva. Per evitarla, dovremo trasformare profondamente il nostro modo di pensare e di vivere. Questa trasformazione riguarda ciascuno di noi. Ma il singolo è impotente se la sua azione e la sua volontà non convergono con quelle di milioni, di miliardi di altri. Perché una tale convergenza esista, dobbiamo metterci d'accordo sull'essenziale: una diagnosi dei valori e dei principi secondo i quali agire, delle priorità e una strategia. Questo è ciò che definiamo una piattaforma per un mondo solidale e responsabile. Vogliamo partire da questa per costruire assieme l'avvenire.

Il nostro mondo è allo stesso tempo unico e infinitamente diversificato. La strategia da inventare per assicurarci sopravvivenza e realizzazione deve rispettare sia questa unicità, che ci lega, sia questa diversità, che ci arricchisce. La piattaforma esprime questo doppio movimento. Le priorità variano da un paese all'altro, da un continente all'altro. Queste variazioni non impediscono un accordo sull'essenziale. Nel nostro mondo coesistono da un lato bisogni fondamentali non soddisfatti, risorse sprecate e distrutte e, dall'altro, capacità di lavoro e di creatività inutilizzate. Questo non è accettabile.

Soffriamo di tre squilibri principali: tra il nord e il sud del pianeta; tra i ricchi e i poveri all'interno di ciascuna società; tra gli uomini e la natura. Questi tre squilibri riflettono una triplice crisi delle relazioni e dello scambio: tra le società, tra gli uomini, tra gli uomini e il loro ambiente di vita. Queste crisi sono inseparabili. Il non rispetto dell'ambiente di vita, per esempio, si accompagna sovente con il non rispetto delle donne e degli uomini.

Le tre crisi non possono essere superate separatamente. Non saremmo in grado di costruire, a qualunque livello, l'armonia nelle relazioni tra l'uomo e l'ambiente se allo stesso tempo non è stata costruita l'armonia nei rapporti degli uomini tra loro, delle società tra loro.

Queste crisi hanno cause comuni. Il mondo è cambiato velocemente nel corso degli ultimi due secoli. La "modernità" inventata in Occidente si è diffusa nel mondo intero. La maggior parte dei paesi conoscono ora una crisi spirituale e morale. Non abbiamo saputo volgere a vantaggio di tutti gli uomini le formidabili capacità di capire, di intraprendere e di creare. È difficile non vedere al centro delle tre crisi gli effetti delle forme attuali di sviluppo scientifico e tecnologico, dell'accentuazione della divisione del lavoro, dell'ipertrofismo della sfera del mercato e della circolazione delle merci e del denaro moltiplicata senza tregua: in breve, dei fattori costitutivi della "modernità occidentale" o, per alcuni, della "Modernità" tout court.

Nello spirito dei loro promotori, questi fattori di modernità dovevano costituire un mezzo di progresso per l'umanità e assicurare a tutti gli uomini prosperità, pace, sicurezza, felicità, libertà. Se per una parte dell'umanità, vi hanno, in un certo modo, contribuito, hanno simultaneamente causato miseria, guerre, insicurezza, morte, oppressione e, alla fine, la triplice crisi evocata sopra.

La modernità occidentale, nel corso di qualche secolo, si è imposta nell'insieme dei paesi del mondo attraverso una combinazione di costrizione e di attrazione. La colonizzazione prima, la decolonizzazione poi hanno contribuito a diffondere dappertutto il modello di sviluppo e di società occidentale. Attraverso il fascino che esercita e l'efficacia che apporta, la modernità è diventata, sotto vesti politiche diverse, il punto di riferimento principale delle classi dirigenti di tutti i continenti. Rapporti di potere e di mercato hanno contribuito assieme a dissolvere i valori e i rapporti di scambio diversi da quelli mercantili e, così facendo, a distruggere le società tradizionali.

Scienza e mercato al centro della crisi

I due pilastri della modernità - la libertà di scambio e la scienza - dovevano essere mezzi al servizio del progresso degli uomini. Troppo spesso oggi vengono considerati come fini in sé. Così, secondo la mitologia economica alla moda, la liberalizzazione di tutti gli scambi, delle merci come del denaro, dovrebbe assicurare, in tutti i campi, un equilibrio automatico e ottimale degli scambi tra gli uomini. Allo stesso modo, secondo la mitologia scientista, al di là dei problemi o dei guasti prodotti, l'alleanza tra scienza, tecnica e industria finirà sempre per fornire le soluzioni e far progredire l'umanità. Quindi non resterebbe che affidarsi al mercato e alla scienza.

Certo, la scienza è una fonte di comprensione, di capacità di azione e di creatività eccezionale; ma, se può essere mobilitata per il meglio, può anche esserlo per il peggio. Allo stesso modo, il mercato è uno strumento insostituibile per mettere in rapporto in modo elastico una moltitudine di agenti aventi ognuno sogni, desideri e capacità da offrire in scambio; ma le popolazioni impoverite, i bisogni fondamentali non realizzabili, i rischi ecologici, gli interessi delle generazioni future, sono, se si può dire, fuori dal suo campo di azione. Scienza e mercato in definitiva non valgono che in rapporto alle scelte e alle finalità delle società nelle quali si sviluppano. Devono ritrovare il loro giusto posto in quanto strumenti; strumenti certamente essenziali, ma strumenti messi al servizio di altre finalità che non siano se stessi.

Ma la diffusione della scienza e del mercato si è accompagnata con una grave crisi di valori. Ha anzi largamente contribuito a questa crisi. La scienza e la tecnologia, mettendo l'accento sul controllo e la manipolazione di uomini e cose, hanno incoraggiato gli atteggiamenti predatori, riducendo la natura, il mondo vivente e gli altri uomini allo stato di strumenti, inducendo così l'abbandono degli approcci più globali, più modesti e più rispettosi che la ricerca di un'armonia e di una solidarietà tra gli uomini e l'ambiente avrebbe richiesto. L'esaltazione del potere ha la meglio sulla ricerca della saggezza.

Dal canto suo, il mercato tende a ridurre il valore degli esseri e delle cose al loro valore monetario, propaga l'idea che l'arricchimento sia la misura ultima della riuscita degli uomini come delle società, impone un dominio del campo materiale su quello spirituale, per funzionare ha bisogno di far nascere senza tregua nuovi bisogni realizzabili anche se questo comporta sviare energie e intelligenze dai bisogni fondamentali, conduce a privilegiare il breve periodo sul lungo. Di tutto ciò, vediamo i frutti: la crisi morale di molte società, la generalizzazione della corruzione, il rifugio nella droga, l'indifferenza nei confronti del prossimo o dell'ambiente, la disperazione della gioventù.

Se la crescente sottomissione delle nostre società alla scienza e al mercato è al centro della triplice crisi del mondo attuale, ciò è certo dovuto ai limiti intrinseci di entrambi ma dipende anche al fatto che sono mezzi temibilmente efficaci al servizio di società profondamente ineguali, avide, imprevidenti. Infine, poiché il mondo è cambiato così in fretta, l'impatto degli uomini sull'ambiente si è accresciuto a una tale velocità, gli scambi internazionali hanno preso un'estensione così improvvisa, che l'umanità è sopraffatta dal proprio movimento.

Le antiche forme di regolazione delle attività umane, costruite nei millenni, si sono viste superare senza che nuove forme abbiano avuto il tempo di nascere. In numerosi campi, la posta in gioco diventa planetaria e sfugge alle istituzioni politiche tradizionali, al controllo democratico. Bisogna assumere responsabilità ed effettuare scelte su scala planetaria, ma non esiste luogo o istituzione per farlo. L'umanità si trova nella posizione di doversi far carico del corso del proprio destino, ma non sa come arrivarci.

Il nostro mondo è coinvolto in un'accelerazione senza precedenti: generalizzazione del regno delle merci, crescita della produzione, della popolazione e dei bisogni, circolazione delle informazioni, dei prodotti, degli uomini e dei capitali, messa in opera di sistemi tecnici sempre più potenti, aumento dei prelievi di risorse, dei rifiuti e delle scorie. Le ineguaglianze tra uomini e società si accrescono. Gli equilibri fondamentali del pianeta e degli esseri viventi sono minacciati, come lo sono gli interessi delle generazioni future.

Ma, allo stesso tempo, ogni società si ripiega sulle proprie priorità e sui propri obiettivi. Le società più ricche cercano di salvaguardare o migliorare il proprio benessere combattendo disoccupazione e povertà, e per fare ciò cercano di creare ancora più merci; altre società proseguono la marcia forzata verso l'industrializzazione e la modernizzazione, al prezzo di gravi danni all'ambiente e agli uomini, con, in prospettiva, il raggiungimento dei più ricchi; altre devono strappare alla miseria estrema larghe fasce della popolazione; altre, infine, cercano di sopravvivere, semplicemente sopravvivere, sovente tra rotture e scontri. Queste ricerche, parallele piuttosto che convergenti, non possono che portare allo sviluppo di nuove ineguaglianze, all'emergenza, all'interno delle società e tra società, di nuove forme di apartheid tra ricchi e poveri e a profondi squilibri ecologici locali, regionali e mondiali che colpiranno in primo luogo i più poveri.

L'insieme degli studi convergono su questo punto. Dalle decisioni che saranno, o non saranno, prese negli anni '90, dalle modificazioni che saranno, o non saranno, ottenute in alcuni settori principali, dipenderanno largamente la profondità, la gravità, il grado di irreversibilità degli squilibri con i quali l'umanità dovrà fare i conti nella prima metà del prossimo secolo. Crediamo che l'umanità debba intraprendere nei prossimi anni una rivoluzione spirituale, morale, intellettuale e istituzionale di grandissima ampiezza. Non potrà farlo che andando a cercare, nella parte migliore delle proprie tradizioni e delle proprie civiltà e nei suoi più generosi slanci, una guida all'azione.

Affermiamo che non esiste fatalità, che la gravità delle minacce o la complessità delle sfide devono produrre determinazione e non rinuncia. Capaci di pensare il proprio divenire, gli uomini, le società umane sono ricche di principi in grado di guidare le scelte e le decisioni.

Formulati sotto forme varie, nella diversità delle culture e delle società, alcuni principi sembrano essere punti di riferimento essenziali nel periodo attuale:

1) Principio di salvaguardia. La terra che ci è stata lasciata in eredità dai nostri antenati non è solo nostra; la dobbiamo anche alle generazioni future. Il posto eminente che vi occupiamo, e le nostre capacità tecniche, non ci danno il diritto di prelevare e distruggere senza freni. Lo sviluppo della scienza e della tecnica ci ha dato una libertà nuova. Questa libertà deve essere completata da un sentimento di riverenza nei confronti della natura, di cui dobbiamo rispettare i limiti e i ritmi, di cui dobbiamo salvaguardare i beni essenziali: l'acqua, l'aria, i suoli, gli oceani, gli esseri viventi e i grandi equilibri necessari alla vita. Per questo le società umane devono tendere verso modi di produzione e di vita senza prelievi, scorie e rifiuti suscettibili di recare danno agli equilibri essenziali degli ambienti a livello locale o della terra nel suo complesso.

2) Principio di umanità. La possibilità per ciascun essere umano di disporre dell'essenziale e di avere una vita dignitosa, il rispetto, l'equità e la solidarietà tra gli uomini e le società, il rispetto della natura e degli esseri viventi sono il vero metro di misura dell'umanità.

3) Principio di responsabilità. Gli individui, le imprese, gli stati, gli organismi internazionali devono assumere le proprie responsabilità nella costruzione di un'armonia delle società e degli uomini tra loro e con l'ambiente; devono farlo secondo la rispettiva ricchezza e potere. I popoli sono co-responsabili del destino dell'umanità.

4) Principio di moderazione. Dobbiamo imparare a frenare la cupidigia. I più ricchi, coloro che sono presi dal delirio dello spreco, devono riformare il loro modo di vivere, moderare i consumi, imparare la frugalità.

5) Principio di prudenza. Le società umane devono mettere in opera nuovi prodotti e nuove tecniche solo quando hanno acquisito la capacità di controllarne i rischi presenti e futuri.

6) Principio di diversità. La diversità delle culture, come quella degli esseri viventi, è un bene comune che tutti gli uomini hanno il dovere di preservare. La diversità delle civiltà è la migliore garanzia della capacità dell'umanità a inventare delle risposte adatte all'infinita diversità delle situazioni, delle sfide e degli ambienti. Le risorse genetiche del pianeta devono essere protette, nel rispetto delle comunità che finora le hanno salvaguardate e valorizzate.

7) Principio di cittadinanza. Dobbiamo imparare a considerarci e a considerare tutti gli esseri umani come membri a tutti gli effetti dell'immensa comunità umana.

Il coraggio di osare

Di fronte a coloro che vorrebbero ridurre il mondo al solo intreccio di interessi particolari, dei poteri e dei mercati, questi principi meritano di essere riaffermati e di servire effettivamente da guida nell'enunciare le priorità e determinare le strategie d'azione.

Di fronte alle tre crisi con cui deve fare i conti l'umanità, numerose reazioni positive sono venute alla luce: dall'azione puntuale esemplare, nei villaggi o nelle città, alle recenti convenzioni internazionali, dalle Carte di compatibilità ambientali di certe imprese alle politiche energetiche di certi paesi, dalla presa di coscienza dei consumatori all'emergere di agricolture ecologiche.

Ma i passi avanti sembrano ancora molto limitati e dispersi in rapporto alle dinamiche principali che coinvolgono il nostro mondo. A predominare attualmente è un profondo sentimento di impotenza. Ogni società, presa isolatamente, sembra paralizzata di fronte all'ampiezza delle trasformazioni da attuare. Ognuno, individuo, impresa o stato, sa che bisogna agire, ma si rassegna a non fare niente, aspettando che siano gli altri a cominciare o che delle decisioni vengano prese... altrove. Scienza, tecnica, mercato diventano i nuovi nomi del destino. Le ideologie e le istituzioni, che evolvono troppo lentamente, sovente mal di adattano alle emergenze e alle sfide del periodo attuale.

Non dobbiamo essere timidi. Abbiamo un dovere d'audacia. Bisogna, tra i diversi futuri possibili, tracciare, sulla base dei valori comuni, le grandi linee di un futuro auspicabile; in seguito, concepire un insieme coerente di azioni che rispondano alle emergenze di oggi e che siano all'altezza delle sfide di domani.

Le tre crisi sono inseparabili e così sono anche le risposte.

Non crediamo alla possibilità di arrivare a uno sviluppo sostenibile, rispettoso dei grandi equilibri ecologici, ma al prezzo dell'esclusione di una larga parte dell'umanità. Diffidiamo dei tentativi di risolvere i problemi attraverso una fuga in avanti tecnologica o attraverso costrizioni imposte dai più potenti e subite dalle masse degli altri. Siamo convinti che le azioni da intraprendere debbano mirare sia a costruire dei rapporti equilibrati tra uomini e ambiente, nel rispetto di ogni complessità e diversità, che a costruire dei rapporti equilibrati tra uomini e società. Non si tratta di costruire una gerarchia di gravità tra le tre crisi, ma di trovare delle forme di azione che contribuiscano simultaneamente alla loro soluzione. Questa convergenza deve essere, con la messa in opera dei sette principi prima enunciati, la principale guida per la definizione di una strategia di azione. Vogliamo costruire un mondo responsabile e solidale.

Per questo non ci sottrarremo a una mobilitazione eccezionale di mezzi e volontà. È possibile. Il mondo occidentale è uscito dalla grande crisi degli anni '30 attraverso una mobilitazione straordinaria di mezzi per la preparazione e poi lo svolgimento della seconda guerra mondiale. Proponiamo di mobilitare in questa fine secolo dei mezzi equivalenti per lottare contro tutte le forme di povertà e di esclusione e per mettere in opera tecnologie e forme di produzione rispettose dell'ambiente di vita.

Il venti per cento degli uomini dispone oggi di più dell'ottanta per cento delle ricchezze. Alcune famiglie ricevono come reddito monetario l'equivalente delle risorse di centinaia di migliaia, forse di milioni, di famiglie povere. Persone e paesi detentori di grandi ricchezze dovranno quindi sopportare una larga parte dello sforzo.

Se verrà chiaramente accettato, questo sforzo di solidarietà costituirà la condizione politica che permetterà l'adozione, da parte di tutti i paesi, di obiettivi comuni e di una strategia coerente. Sarà l'espressione concreta del riconoscimento dell'unità della comunità umana. Può inoltre costituire una tappa significativa nella realizzazione di nuovi meccanismi di solidarietà e di redistribuzione, simili a quelli che le società umane hanno saputo alcune volte inventare nel passato e che rende sempre più necessaria a livello mondiale la moltiplicazione dei legami tra le società e gli uomini del mondo intero.

La strategia di azione, infine, per essere all'altezza delle ambizioni, deve essere altrettanto coerente, altrettanto completa del modo attuale di sviluppo; avrà bisogno di organizzazioni, di dirigenti, di modi di regolazione, di tecnologie adatte alle finalità che vengono perseguite; si costituirà nella durata e al prezzo di una determinazione senza incrinature.

Le tre crisi sono mondiali e causano su scala mondiale priorità comuni per quanto riguarda l'azione: la riscoperta e la diffusione di valori comuni, la riduzione delle ineguaglianze tra le persone e le società, la salvaguardia e la restaurazione delle fonti essenziali di vita, la costruzione di nuovi rapporti tra gli uomini e gli ecosistemi, il freno messo allo spreco energetico e alimentare. Ma le priorità comuni dovranno tradursi meno in misure uniformi, decise a livello mondiale, e più in iniziative coordinate, adatte all'infinita diversità dei contesti.

Per di più, priorità particolari emergono in ogni regione del mondo. I paesi più ricchi sono principalmente messi a confronto con nuove forme di esclusione, con la necessità di rivedere in profondità il loro modo di vita; i paesi del vecchio blocco sovietico devono far fronte a una disoccupazione di grande ampiezza, alla riconversione di un sistema di produzione inefficiente, alle minacce degli impianti nucleari militari e civili e allo sfascio dell'ambiente; i paesi più poveri hanno difficoltà a controllare la crescita della popolazione, a diminuire l'estrema povertà, a salvaguardare le acque e i suoli, a sviluppare mezzi scientifici e tecnologici realmente radicati nella propria cultura e adatti alla loro situazione; per l'insieme dei paesi aridi, l'acqua e la conservazione dello strato vegetale e dei suoli diventano emergenze vitali, ecc..

La serie di priorità che si può individuare su scala planetaria (salvaguardia degli oceani, protezione della fascia di ozono, limitazione delle emanazioni di gas che producono l'effetto serra...) non può essere concepita né accettata allo stesso modo in situazioni diverse, soprattutto se sembra imposta ai più deboli dai più potenti.

Il bisogno di tradurre localmente le priorità comuni e la presa in considerazione delle priorità particolari obbligano a riconoscere in permanenza l'unità e la diversità del mondo. Impediscono di concepire strategie monolitiche, imposte "dall'alto". Abbiamo bisogno di concepire una strategia pluralista, organizzando le convergenze. Di fronte alle principali poste in gioco del momento, l'azione deve essere portata avanti a tutti i livelli.

A livello degli individui, cittadini e consumatori, l'educazione, l'informazione, la presa di coscienza, l'affermazione della dimensione etica devono contribuire a far evolvere i sistemi di valori e i comportamenti, con effetti sia sul piano locale che su quello regionale e mondiale.

Molto viene giocato anche a livello delle imprese, dei comuni, dei poteri territoriali. Il che coinvolge sia i dirigenti, i quadri e i salariati, sia i loro clienti (per quanto riguarda le prime) e i loro amministrati (per i secondi), allo stesso modo delle norme, regolamentazioni e legislazioni nel cui quadro queste strutture operano. Le piccole comunità umane, i villaggi, le terre, le zone montagnose, le città, le unità geologiche, climatiche, idrologiche e storiche che hanno avuto un così grande ruolo nella storia antica, sono chiamate a vedere questo ruolo completamente rinnovato. È in effetti a questa scala che la diversità delle situazioni e dei contesti culturali, sociali ed ecologici può essere tenuta in considerazione. È anche a questa scala che possono essere democraticamente concepiti, discussi e realizzati approcci integrati, che riconcilino gli uomini con l'ecosistema.

Gli stati-nazione sono stati, nei secoli passati, il principale ambito per inventare regole e realizzare solidarietà. In un'epoca in cui gli scambi sociali ed economici si organizzavano essenzialmente all'interno di questo quadro e dove i danni causati agli ambienti naturali erano circoscritti all'interno delle frontiere, è a scala degli stati-nazione che sono stati concepiti gli equilibri sociali e ecologici, i modelli di sviluppo adatti al genio di ciascun popolo, le modalità di controllo democratico, i sistemi di normalizzazione, di legislazione e di controllo. Questo ruolo preponderante degli stati è oggi rimesso in causa: dall'alto, dalla modificazione degli scambi, dell'informazione, dagli squilibri ecologici; dal basso, dalla crescita dell'aspirazione a una maggiore autonomia.

L'idea di piena sovranità, come quella dell'impenetrabilità delle frontiere, è diventata un'illusione. Questo doppio movimento di smantellamento degli stati è irreversibile. Pertanto ogni stato-nazione rimarrà ancora a lungo un'istanza decisiva per il dibattito politico, per l'elaborazione delle grandi decisioni, per la realizzazione delle solidarietà, per la legislazione, la tassazione e il controllo. Semplicemente, deve accettare di non essere che uno dei livelli, certo eminente, ma legato agli altri, della gestione di un mondo solidale e responsabile; e le sue strategie dovranno accettare di partecipare a dinamiche più vaste.

C'è un livello che dovrebbe avere un ruolo crescente nel prossimo secolo: è quello regionale. Gli stati-nazione sono troppo numerosi, troppo diversi, troppo ineguali per poter dialogare efficacemente e su una base di eguaglianza su scala mondiale e per elaborare assieme le strategie ambiziose che richiedono le sfide future. Le organizzazioni regionali hanno preso molteplici iniziative e si vede già bene delinearsi la possibilità di una organizzazione del mondo, probabilmente a geometria variabile a seconda dei settori, ma attraverso la quale emergeranno otto-dieci regioni. Queste regioni nel XXI secolo potrebbero avere un ruolo nell'organizzazione dei mercati interni e nell'apertura ai mercati esterni analogo a quello avuto dallo stato-nazione negli ultimi cinque secoli. Più in generale, sembrano poter costituire un livello particolarmente adatto alla regolazione dei rapporti sia tra gli uomini e la natura che degli uomini tra loro.

Nella prospettiva della gestione del pianeta che non sia né dominata dal (o dai) paese (paesi) più potente (potenti) né consegnata alla gestione degli esperti, un collegio rappresentativo delle grandi regioni del mondo dovrebbe essere chiamato ad assumere un ruolo crescente. Queste regioni saranno senza dubbio anche chiamate ad acquisire un ruolo preponderante in materia di sicurezza. Una delle condizioni per ridurre gli armamenti è assicurare la sicurezza delle nazioni e dei popoli. Anche fra gli accordi tra stati e l'intervento di un'istanza mondiale, istanze e procedure regionali dovrebbero avere un ruolo essenziale.

Il livello mondiale, infine, diventerà necessariamente decisivo nei prossimi decenni, sia che si tratti di norme, di diritto e di regolamentazione, di tassazione, di controllo, che del lancio di grandi iniziative e di coordinamento di grandi azioni plurinazionali. Per arrivarci, bisognerà prima di tutto che un'autorità mondiale sappia acquisire la legittimità necessaria, mostri la volontà di imporre regole comuni anche agli attori economici e politici più potenti. Bisognerà anche che possa essere costituito un dispositivo istituzionale che assicuri l'indispensabile separazione dei poteri, in particolare tra le strutture che avranno funzione di potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Bisognerà, inoltre, uscire dalla separatezza dei singoli negoziati; legare, per esempio, i negoziati sul commercio a un accordo sulla protezione dell'ambiente. Bisognerà infine che la comunità internazionale sostenga l'emergenza di reti mondiali capaci di costituire utili contro-poteri, mezzi di vigilanza e forze di proposta da poter mobilitare per una strategia d'insieme.

Dall'individuo al mondo, non sfuggiremo, lo vediamo, all'articolazione delle responsabilità e delle competenze su diversa scala. Bisognerà innovare profondamente per evitare la sovrapposizione delle burocrazie e la confusione delle competenze, cosa molto propizia all'irresponsabilità generalizzata. La priorità deve essere chiaramente data all'iniziativa locale, alla gestione locale, le sole capaci di vitalizzare i legami tra le società e gli ambienti di vita. È il principio di sussidiarietà. Ma questa sussidiarietà non significa che ciascuna collettività è libera di fare ciò che vuole sul proprio territorio. Essa non è proprietaria, ma gerente. È tenuta a realizzare i principi di salvaguardia, di responsabilità, di prudenza, di moderazione. Tocca ad essa scegliere liberamente con quali mezzi, ma all'interno di finalità e di coerenze discusse e enunciate a un altro livello.

È per segnare questo dovere di articolazione che preferiamo parlare di sussidiarietà attiva. Questo principio viene applicato a cascata, dal mondo intero alla comunità di base. Dagli individui al pianeta, le comunità umane sono legate tra loro attraverso contratti nei quali vengono equilibrati diritti e doveri, sia nei confronti degli amministrati che nei riguardi del pianeta e delle generazioni future.

Contribuire a far sì che l'umanità si renda conto della propria responsabilità e ne prenda atto; che l'umanità, attraverso i popoli, le nazioni, le culture, tramite le élite e i dirigenti, le istituzioni e i molteplici attori prenda coscienza delle nuove responsabilità, verso se stessa, verso i più poveri e i più deboli, verso la terra e gli esseri viventi, verso le generazioni future e che si impegni a farsene carico: questa è la posta in gioco.

Ma le nostre società, prese nel vortice delle emergenze e largamente demotivate a causa dell'affondamento dei grandi messianismi del XIX secolo, sembrano rinunciare a proiettarsi nel futuro. Sempre più complesse, hanno difficoltà a concepire la strada del cambiamento. A fortiori sono poco pronte a farsi carico del divenire del mondo.

È quindi essenziale concepire e rendere visibile un processo coerente di cambiamento. Dire come mettersi in marcia è attualmente più importante ancora che dire dove andare.

Questo processo deve dispiegarsi in modo multidimesionale, a partire dal cambiamento dei comportamenti dei cittadini e dei consumatori e dalle azioni collettive locali, fino alle decisioni prese su scala planetaria. Questo processo di cambiamento collettivo potrebbe comportare i seguenti elementi.

Il cambiamento progressivo delle rappresentazioni: il mondo cambia in gran parte nelle nostre teste prima di cambiare nella realtà. Per questo, l'educazione è una leva decisiva per l'azione e le trasformazioni da realizzare sono immense. Bisogna aiutare a nascere un nuovo umanesimo, con una componente etica essenziale e un ampio spazio lasciato alla conoscenza e al rispetto delle culture e dei valori spirituali delle diverse civiltà, contrappeso al tecnicismo e all'economicismo della modernità occidentale.

L'insegnamento scolastico, dal canto suo, deve lasciare ampio spazio a una riflessione sui valori e alla loro realizzazione nell'azione, ampio spazio a un approccio critico della scienza e delle tecniche, all'apprendimento dell'approccio sistemico più che analitico, cooperativo più che competitivo. Non si tratta di aggiungere uno o due moduli a programmi già sovraccarichi, e tanto meno di concepire un'iniziazione all'ecologia uniforme da un paese all'altro, ma di riorganizzare dappertutto l'insegnamento attorno a una visione d'insieme dei rapporti e degli scambi degli uomini tra di loro e con la natura, insistendo sulla diversità delle coppie uomo-ambiente. Contemporaneamente, tali formazioni, introdotte nei sistemi di insegnamento, dovrebbero essere fornite anche ai cittadini che lo desiderano e in particolare ai formatori e agli insegnanti, giornalisti, tecnici, ingegneri, dirigenti.

La costruzione di un immaginario collettivo: solo una visione comune dell'avvenire, a tappe, è suscettibile di galvanizzare le energie, unire gli sforzi, far entrare il lungo periodo nelle decisioni attuali. Soltanto un immaginario collettivo costruito in comune sarà capace di creare le sinergie che permettono di sfuggire alla pressione delle imposizioni, di superare gli interessi immediati, sormontare gli ostacoli, utilizzare ogni sfida come un'opportunità per ripartire e innovare.

L'attacco frontale delle innovazioni: un'innovazione non è mai sola; ne implica altre sia a valle che a monte. Un'innovazione limitata a un solo campo è destinata al fallimento. È in modo collegato che si sviluppano innovazioni tecniche, innovazioni sociali, cambiamenti di mentalità, di comportamento e di istituzioni. È quindi a un approccio coordinato di innovazioni tecniche e sociali che stati, imprese, organizzazioni contadine, sindacati, movimenti dei consumatori... dovranno dare impulso nei prossimi decenni.

Lo sviluppo e il coordinamento delle reti di scambio d'esperienze: le innovazioni sociotecniche nascono sempre localmente in un'impresa, in una città, un villaggio, una terra o un altro tipo di comunità. Hanno sempre precise radici, legate a un contesto particolare. Ma bisogna anche che si diffondano, che siano assimilate e trasformate da altri. Per questo, sono necessarie reti di collegamento. Ma la maggior parte delle reti attuali sono localizzate o specializzate, mentre numerose sfide oggi sono planetarie. Bisogna quindi sviluppare le reti di collegamento esistenti, crearne di nuove, aiutarle a connettersi tra loro in modo elastico, a coordinarsi. Così, potranno essere guadagnati anni preziosi, forse decenni, nella diffusione di innovazioni che possono contribuire a rispondere a uno o a un altro aspetto delle tre crisi con cui dobbiamo fare i conti.

Cinque sfide per mobilitarsi

Coerenza della strategia e degli strumenti con cui è realizzata, legame tra le soluzioni da apportare alle tre crisi, necessità di conciliare la traduzione a livello locale delle priorità planetarie comuni, con la messa in evidenza e la presa a carico delle priorità tipiche di ciascuna regione del mondo, articolazione dei diversi livelli di azione e dei diversi elementi del suo avviamento: vediamo progressivamente delinearsi le caratteristiche della strategia che deve essere inventata collettivamente. Evidentemente, questa strategia deve essere multisettoriale, implica cambiamenti coordinati delle mentalità, dell'istruzione, delle istituzioni, delle tecnologie, delle norme, del diritto, della fiscalità, delle relazioni internazionali...

L'umanità alla fine del XX secolo è messa di fronte a sfide concrete, urgenti, planetarie. Il fatto di rivelarle dovrebbe permettere di mobilitare le energie attorno a qualche grande programma. Questi programmi, probabilmente, non saranno sufficienti a organizzare il vasto mutamento delle società necessario nel prossimo secolo, ma saranno il segno tangibile di un reale punto di partenza, mostrando che è possibile affrontare simultaneamente le tre crisi, creando dei posti di lavoro, materializzando attraverso un'opera comune la coscienza di appartenere tutti alla stessa comunità umana, migliorando le condizioni di vita delle popolazioni più povere, instaurando un migliore equilibrio tra gli uomini e l'ambiente.

Cinque programmi ci sembrano corrispondere bene a questa definizione. Riguardano l'acqua, l'energia, i suoli, la riabilitazione delle regioni profondamente degradate, la riconversione delle industrie belliche.

L'acqua. Una persona su tre oggi nel mondo soffre di mancanza d'acqua. In meno di vent'anni, si prevede che in un continente come l'Africa la penuria diventerà drammatica. Il 90 per cento delle malattie parassitarie del Terzo mondo dipende dalla cattiva qualità dell'acqua. I conflitti tra paesi per il controllo di questa risorsa rara diventeranno sempre più frequenti e gravi poiché i grandi serbatoi d'acqua ignorano le frontiere. Se la gestione dell'acqua è sovente fonte di conflitti, altrettanto sovente diventa il cemento delle comunità.

Poiché dovrebbe riguardare le città e le campagne, la salute, l'agricoltura, l'energia, l'alimentazione, e poiché necessita di approcci integrati su differenti scale, dalla più piccola alla più grande, un programma mobilizzatore a favore dell'acqua farebbe ricorso a un'ampia gamma di tecniche e creerebbe numerosi posti di lavoro; implica l'adozione della "sussidiarietà attiva" privilegiando le iniziative locali, collocandole in una visione d'insieme; concorre sia al miglioramento della vita, allo sviluppo dell'attività e alla ricerca di migliori equilibri tra uomini e ambiente.

L'energia. Il programma deve comportare due parti, le economie di energia e gli impianti per le energie rinnovabili. Tutti i paesi, compresi i più poveri, nascondono importanti riserve di economie d'energia. Valorizzare queste riserve, sviluppare le tecnologie risparmiatrici di energia, sopprimere progressivamente le molteplici forme di sovvenzioni mascherate per l'uso di energie fossili, tutto ciò contribuirà a rendere realizzabili gli impianti di energie rinnovabili dappertutto e sotto tutte le forme disponibili. Applicato su grande scala, questo programma permette di migliorare l'efficacia delle tecniche di produzione dell'energia rinnovabile. Al pari di quella dell'acqua, la gestione decentrata dell'energia contribuisce alla diffusione della "sussidiarietà attiva". Il programma è ad un tempo benefico sul piano locale e su quello globale: permette contemporaneamente di ridurre l'inquinamento locale, le emanazioni di gas con effetto serra e la crescita dei rischi e delle scorie legate al nucleare.

I suoli. Il programma consisterà nel promuovere su scala molto vasta la realizzazione di forme di sfruttamento dei suoli che non comportino, o almeno limitino, il degrado delle funzioni biologiche, alimentari, regolatrici delle funzioni idrologiche. Questo degrado massiccio è fonte di gravi perdite di fertilità, quindi della desertificazione. L'interesse principale del programma è di essere molto diffuso nello spazio, di obbligare a una revisione profonda dei sistemi di produzione agricola, di mobilitare molta manodopera, di ridurre l'insicurezza alimentare nei paesi più poveri, di obbligare a ricercare una gestione diversificata degli ecosistemi e di combinare programmi su grande scala con micro-iniziative.

La rivitalizzazione di regioni profondamente degradate. Questo programma può interessare sia i paesi di vecchia industrializzazione che i paesi che hanno subito (in Europa centrale, nell'ex Urss o altrove) gli eccessi devastatori della modernizzazione e dell'industrializzazione a tappe forzate. C'è un immenso valore simbolico in un mondo dove gli uomini troppo sovente hanno avuto tendenza ad andare altrove quando l'ambiente era stato rovinato dai loro bisogni e dalla loro imprevidenza. Su un pianeta dai confini limitati, sempre più carico di uomini, le strategie di riabilitazione devono assolutamente avere la meglio sui sogni di conquista di nuovi e improbabili spazi. La riabilitazione è la nuova frontiera dell'umanità.

La riconversione dell'industria bellica. Dalla seconda guerra mondiale, comparti interi dell'economia in numerosi paesi si sono strutturati attorno alla produzione di armamenti. La fine della guerra fredda permette, in teoria, di liberare molteplici competenze e molteplici mezzi. Ma la riconversione dalla guerra alla pace è comunque una grande sfida. Presuppone contemporaneamente una volontà politica, una competenza tecnica, l'apertura di nuovi sbocchi e più ancora di nuove, coinvolgenti prospettive per le competenze e i talenti così liberati. Proponiamo un programma mondiale, concertato, di riconversione delle industrie d'armamenti nello sviluppo di tecnologie non aggressive per l'ambiente. All'inizio comporterà investimenti consistenti, ma redditizi a termine. Sarà anche il simbolo del passaggio da un periodo di conquiste e di scontri a un periodo di solidarietà e di alleanze, sia tra le società che tra queste e la natura. In più, bisognerà che vengano assicurate, sotto la garanzia di istituzioni internazionali di preferenza a carattere regionale, le condizioni di sicurezza, sia tra paesi che per le minoranze nazionali.

Le lezioni del passato

L'idea di un programma mobilizzatore non è nuova. Il fallimento che simili programmi hanno conosciuto nel passato suscita a ragione scetticismo. Ma da questi fallimenti possono essere tratte alcune regole per la realizzazione dei programmi, che aumentino le loro possibilità di successo:

- necessità di un adeguamento preciso del programma ai bisogni delle regioni dove è realizzato (come avvenne con il piano Marshall, per la ricostruzione dell'Europa);

- inscrizione dell'insieme nella durata (da quindici a vent'anni), eventualmente associando a un programma una generazione;

- realizzazione progressiva delle procedure e del finanziamento;

- ricorso alle capacità istituzionali e tecniche decentrate, radicate nelle popolazione e attente alle loro richieste, con in particolare protocolli di accordo sottoscritti con i rappresentanti di queste popolazioni;

- sulla base della scelte delle soluzioni tecniche più adatte, realizzazione progressiva dei lavori, con valutazione regolare del loro impatto, sempre in stretto legame con le popolazioni.

I paesi ricchi dovranno apportare un contributo più grande. Tra le forme di prelievo di questo contributo, possono essere previste una tassa progressiva (che tenga però conto delle condizioni climatiche) legata al consumo di energia (o sulle emanazioni di CO2), e tasse mondiali sulle spese in armamenti per abitante e sui guadagni in Borsa.

Per gli scambi, un triplo orizzonte può essere delineato:

- l'orizzonte 2000; grazie a un'ampia presa di coscienza e alla convergente mobilitazione di molteplici energie - "gli Stati generali del pianeta" - le principali decisioni sono state prese e vasti programmi sono stati avviati nei principali settori. Cominciano a delinearsi svolte decisive;

- l'orizzonte dal 2030 al 2050; questo orizzonte segna una biforcazione decisiva poiché la continuazione delle tendenze attuali dovrebbe condurre, per quella data, a una situazione di profondo degrado e a squilibri difficilmente reversibili. Nella maggior parte dei campi (demografia, coesione sociale, solidarietà, acqua, energia) dovranno quindi essere state trovate di qui ad allora vie "sostenibili e durevoli";

 

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(1) I membri della Fondazione appartengono a tutti i continenti. Alcuni degli autori di questo testo non sono membri della Fondazione.