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I DEEJAY

RADIO BLACK OUT: Possiamo cominciare con il racconto di come siete arrivati in radio, se avete telefonato dopo averla sentita oppure siete stati invitati da un amico che già ci veniva.

TOMAS: Io non sento la radio perché abito a Chivasso, un giorno ho saputo che c’era una serata ska alla casa occupata El Paso, ci sono andato, ho conosciuto un certo Melchiorre che veniva in radio e allora ho cominciato a venirci con lui. Dopo un po’ Melchiorre non poteva più venire e allora ho cominciato a usare il suo spazio, ho cominciato a comprare i dischi, a interessarmi di giornali, ho dovuto capire da solo come funziona il mixer. Il mio programma si chiama 'On my radio’.

PAOLO: Io la radio l’ascoltavo regolarmente già da un po’, ho avuto l’idea della trasmissione e sono venuto alla redazione. Il programma originariamente si chiamava ‘Uso e abuso della storia’, l’idea mi era venuta facendo la tesi, volevo smontare i luoghi comuni passati nella cultura collettiva, ci sono queste interpretazioni che non stanno né in cielo né in terra. In particolare il Medioevo è visto in chiave risorgimentale, i comuni come primo embrione di Stato italiano, mentre in realtà non avevano una coscienza nazionale né erano particolarmente libertari. Poi ho trovato altre cose da proporre, sempre sul tema ‘uso e abuso’, ad esempio ho trovato un manualetto di educazione sessuale del 1912 che diceva che la masturbazione fa diventare ciechi o pazzi. Nella stessa linea ho fatto una trasmissione sulla marijuana riguardo a come è stata criminalizzata nel periodo fascista, per ragioni di propaganda estera nei confronti degli Stati Uniti che allora avevano la loro campagna proibizionista.

TRISTAN: Io frequentavo il liceo scientifico Segrè dove dei disgraziati mi hanno detto: “Hanno aperto una radio fichissima, faccio la trasmissione degli studenti medi, vieni anche tu”. Ricordo che era subito dopo la manifestazione antirazzista, pranzo al centro sociale Murazzi, poi io e Andrea passiamo in radio. Luca P. ci chiede “Che musica mettete?”, noi gli diciamo “Un po’ di tutto” e lui “Va bene, basta che non bestemmiate”. Cominciamo, sigla scelta a caso, il disco comincia con Breakout e allora abbiamo chiamato la trasmissione ‘Breakout’, poi mandiamo un 33 giri messo a 45, il terzo disco non parte nemmeno perché non eravamo pratici del mixer. Era più difficile che a teatro, dove anche se è buio gli spettatori un po’ li vedi, se suoni male ti fischiano e almeno lo sai. Qui non sai niente, non sai se pensano che sei stronzo. Noi cercavamo di sollecitare la gente a telefonare, forse erano i cinque minuti di gloria, non lo so, ma telefonavano. Dopo un po’ avevamo addirittura dei fans-club, gente che si riuniva per ascoltarci e telefonarci. È stato bello finché è durato, poi ci siamo stufati, oggi continuiamo ma abbiamo cambiato stile.

BOBO: Io sono capitato qui perché due miei amici conducevano una trasmissione sul jazz, si chiama ‘USA e jazz’, avevano bisogno di un tecnico al mixer e io avevo già lavorato in altre radio facendo regia. Poi la trasmissione è andata avanti, i miei due amici hanno smesso e da un anno e mezzo la porto avanti da solo. Il jazz è la mia passione da anni.

GIAMPO: La prima volta che sono venuto è stato con Matteo e Giagio, facevamo il programma ‘Nation root’. Io sentivo la radio fin dall’inizio, loro mi hanno detto: “Vieni, porta qualche dischetto”. Era la sera, a volte non c’era nessuno dopo e andavano anche oltre, avevamo degli inviati dallo spazio, dispersi dall’incrociatore Aurora che ci telefonavano fino al giorno in cui sono venuti davvero qui in radio. Nell’estate 93 sono rimasto solo io e sono passato al pomeriggio, il mio programma si chiama “Brainstorm, musica dagli spazi della mente”. All’inizio mi faceva un po’ effetto parlare nel microfono e sentirmi in cuffia, ma mi divertiva. Io vedo colorato e spero di sparare colore alla gente, forse sono anche nostalgico, parto dagli anni ‘50 e ‘60, leggo notizie speciali prese da giornali vecchi, da vecchie fanzine ora non più in circolazione. Abbiamo fatto anche altre iniziative come l’occupazione della Villa della Regina da parte degli extra-terrestri, c’era questa festa che durava settimane, nessuno ci ha creduto, noi ci siamo andati, era bello. Ora continuo, mi diverto e spero che diverta anche gli altri.

CLARA: Io e Francesca ci siamo quasi dai primi mesi. Nessuna di noi aveva mai lavorato in radio né l’aveva mai presa in considerazione. Quel che ci stimolava era proprio questo tipo di radio. Il fatto che fossimo sempre tutte ragazze, pur cambiando la formazione più volte, non era determinato da una scelta ma da una affinità che non ha mai sentito il bisogno di giustificarsi, né ci imponeva di trattare necessariamente di condizione femminile.

FRANCESCA: Non c’era un’idea precisa su come impostare il programma. Abbiamo dovuto imparare dieci minuti prima di cominciare e stiamo imparando ancora. Non volevamo fare, né ci saremmo riuscite, un programma di intrattenimento, non era quello il nostro approccio alla musica, come d’altra parte non avevamo un approccio di tipo specialistico.

CLARA: Così abbiamo iniziato a sperimentare. In ‘Mondo Crudelia’ c’è la sinistra attenzione a certi temi, un’attitudine a metà tra Crudelia Demond e Tura Satana. Da qui la sigla, quasi un anagramma, ‘Crudelia Demon’, solcata dagli Einsturzende Neubaten e Cage, e dalle arie liriche di Casta Diva, suo alter ego. Si costruisce il programma con le nostre passioni, cinema, teatro, letteratura, la storia, le storie e ovviamente la musica, da quella dei cartoni animati alle musiche per film industriale, punk, musiche eterodosse, techno-trance, rock deviante, e la musica della fantomatica Orchestra Titanic che, per un certo periodo, ci ha fornito dei brani creati appositamente per la trasmissione. Si procede per accumulazione, partendo da suggestioni sonore o umorali oppure, prendendo spunto da notizie d’attualità, si sceglie un tema... storie di banditi, rapine e utopie, Pierre Schaeffer e la musica concreta, donne vampiro e lo schermo velato, allucinogeni e sado-masochismo, Boris Vian, peti carnascialeschi e flatus voci, il corpo dissonante, sperimentazioni nucleari, crash-test, carne e tecnologia, lo splatter, Kurth Weill e Bertold Brecht, Lotte Lenia e 007... Si accorpa il materiale più diverso, il sonoro dei film e di spettacoli teatrali, Carmelo Bene, Diamanda Galas, Artaud, voci, canzonette e rumori d’ogni sorta, tempo e spazio. Ci piace la contaminazione tra generi e registri differenti, lo stridore o la simpatia che nasce dal semplice accostamento e sovrapposizione di materiali diversi, per questo il più delle volte non si dicevano i titoli dei brani. Io e Francesca abbiamo collaborato anche al ‘Virus’ e, con altri, abbiamo organizzato il seminario di Grifi. Io poi partecipo alla trasmissione di teatro ‘A piena voce’.

IVANA: Io sono arrivata alla radio circa due mesi dopo la sua apertura. Alcune ragazze, molte provenienti dalla Pantera o dai centri sociali, si erano ritrovate una sera a discutere davanti a una pizza del fatto che in radio non c’erano trasmissioni specifiche sul mondo femminile. Io mi trovavo con loro quasi per caso. Siccome sia le persone che gli argomenti mi sembravano interessanti, già dalla settimana successiva ero coinvolta in ‘Pessime abitudini’, che andava in onda il venerdì nel tardo pomeriggio. All’inizio eravamo circa quindici. La più esperta e disinvolta era sicuramente Marina. Essendo così in tante gli argomenti e le idee non ci mancavano di certo. Le trasmissioni venivano costruite sulla base delle proposte che ognuna di noi faceva. Potevano essere discusse prima oppure chi improvvisava parlando in diretta portava del materiale. Sono stati toccati molti argomenti quali lo stupro, l’aborto, le imposizioni della Chiesa, la prostituzione, la disoccupazione femminile. Abbiamo cercato di spaziare il più possibile dall’attualità alla cultura al cinema e ovviamente alla musica. Dopo un anno e mezzo, per motivi vari, ‘Pessime abitudini’ è finita. Io ho continuato a trasmettere nello stesso orario ed è nata ‘Gocce di veleno’. A grandi linee lo stile è lo stesso di ‘Pessime abitudini’, con la differenza che essendo da sola la scelta degli argomenti e della musica dipende esclusivamente da me. Non c’è in ‘Gocce di veleno’ un tema dominante e non vengono trattate esclusivamente tematiche femminili. Per quanto riguarda la musica viene dato maggiore spazio a quella fatta da donne, ma ci sono anche gruppi di base e musica sperimentale, techno e grid. Non ci sono limiti né per la musica né per gli argomenti trattati.

MARINA: Io arrivo dalla Pantera e quindi è stato abbastanza automatico entrare in Radio Black Out. Ero una di quelle che facevano ‘Pessime abitudini’, ora faccio ‘Eletrika’, un programma assolutamente musicale, e collaboro al ‘Virus’.

RADIO BLACK OUT: Provate a dire perché occupate tante ore per fare qualcosa per cui non siete pagati, magari ascoltando la musica che più vi piace ma che potreste ascoltare tranquillamente a casa vostra.

TRISTAN: La risposta può essere diversa per ognuno, per me è la voglia di fare qualcosa che non avevo mai fatto. All’inizio era solo un gioco, poi ci ha preso il discorso della comunicazione, il fatto di dire qualcosa che va chissà dove. C’è questo luogo comune che la radio è ascoltata solo dagli amici, ma spesso abbiamo ricevuto telefonate di gente che non solo non avevamo mai visto noi ma che nemmeno frequentava il giro della radio né giri vicini.

BOBO: Per me vale il discorso della passione. A me interessa anche trasmettere in una radio che non abbia pubblicità. Era interessante l’idea, lo è tuttora.

PAOLO: Anche per me la pubblicità è importante, perché quando sento parlare del deodorante o del materasso mi rompo i coglioni e spengo. In Radio Black Out bene o male trovi di tutto, le peggio stronzate e le cose più profonde, il bello è questo, se hai voglia l’ascolti altrimenti la spegni. Se una cosa è importante ti viene voglia di parteciparci, e questa era importante, è unica per Torino. Anch’io sono venuto qui pensando di trovare qualcuno che mi spiegasse, invece ho dovuto improvvisare tutto, all’inizio portavo un’amica che mi facesse coraggio.

CRISTIAN: Io sono arrivato alla radio sentendola, conoscevo già parecchie persone e mi è venuto spontaneo portare un’idea. Mi interessava che fosse autogestita, che non ci fossero discorsi commerciali alle spalle. Eravamo in tre adesso siamo in due, avevamo la fascia serale, l’idea iniziale era fare un programma che già dal nome “Necronomicon” andasse avanti nella notte con la musica che più ci appassiona secondo il nostro umore del momento e abbiamo cominciato a darci dentro con suoni magari inascoltabili. Volevamo infestare l’etere torinese, contaminarla con cose rare e sconosciute al di là della sopportabilità, senza preoccuparci degli ascoltatori, non abbiamo mai fatto calcoli. La mia passione giovanile era ascoltare programmi che non avevano pubblicità e andavano avanti nella notte e aiutavano a sognare, a immaginare un mondo più colorato. Per un paio d’anni non abbiamo mai detto i titoli dei pezzi che trasmettevamo, era un happening radiofonico in cui non importavano i nomi - né i nostri né quelli dei pezzi che usavamo - era importante solo il risultato caotico che si riusciva a raggiungere. Poi abbiamo cominciato a unire alla trasmissione di suoni e di rumori la lettura di testi, dalle poesie surrealiste al dadaismo a William Burroughs. Poi abbiamo affinato le tecniche, abbiamo scoperto la musica techno-trance, ci siamo anche dilettati a fare serate più psichedeliche, non abbiamo disdegnato di trasmettere in stato di completa alterazione di testa, unire la musica alla letteratura alla poesia e a volte al cinema con sonori di film, cut up sonori. Prendere la comunicazione fatta da altri, spezzettarla, trasformarla in un’ottica assurda e cortocircuitarla.

IVANA: Dal mio punto di vista, la radio ti permette di buttare una voce nello spazio, secondo me ha molta più rilevanza di un volantino, è un modo per esprimere una tua opinione su cose che succedono in modo critico o divertente. E poi penso che se non fosse stato per Radio Black Out alcune realtà o singoli non si sarebbero mai incontrati o scontrati.

RADIO BLACK OUT: La maggior parte di voi non partecipa alle riunioni della redazione del lunedì sera, ma sapete tutti che esiste, se non altro dagli avvisi che vedete affissi in sala-regia. Come immaginate la redazione?

CLARA: Io sono in radio perché credo in questo progetto, alle sue varie realtà e situazioni, per cui quando posso vado in redazione. Spesso si avverte un fatale scollamento tra ciò che passa per radio e la redazione, inghippata in scazzi politici sterili e frenanti. In più ha un ruolo accentratore, anche perché non le corrispondono altri siti di discussione di ugual peso.

BOBO: Io ci sono venuto una volta, l’idea che mi sono fatto è di molta confusione, un gruppo di persone che se la racconta di cosa la radio ha bisogno e di cosa bisogna fare, mi sono fatto l’idea di molta confusione. Ma penso che sia importante che ci sia della gente che si riunisca e si occupi del palinsesto, però per me è completamente estranea, completamente sconosciuta.

GIAMPO: Io ci sono passato due o tre volte, anch’io ho trovato molta confusione, magari è anche facile parlare senza fare, gente che discute di cosa succede in radio, di cosa c’è bisogno. Penso che sarebbe utilissima una riunione di chi fa i programmi, almeno ti conosci, non dico tutte le settimane, non dico obbligatoria, magari una volta al mese o ogni due mesi.

TRISTAN: Io in redazione ci vengo spesso, sarà un difetto del mio carattere ma non riesco a tollerarla più di mezz’ora o un’ora. Per lo più si occupa delle cose pratiche, delle bollette, delle tasse, ma bisognerebbe discutere della programmazione, dello stile, di cosa esce da qui ed entra nelle case e nei cervelli, e in redazione per questo non c’è tempo. C’è solo il responsabile del palinsesto che si preoccupa di quali trasmissioni infilare. Ci vorrebbe qualcuno che si preoccupasse a tempo pieno di come la radio suona, che avesse una linea anche nelle differenze più micidiali.

PAOLO: Per me la redazione è una figura mitologica. È una cosa extra-terrestre che ci sia della gente che abbia voglia di sbattersi per le cose più noiose ma che sono indispensabili, se nessuno le facesse nessuno trasmetterebbe. Evidentemente funziona, mi sono sempre chiesto come sia possibile. Non credo invece che la redazione dovrebbe occuparsi di più della linea di programmazione, per me è bello che nessuno di preoccupi di tenere una linea.

CRISTIAN: A me la redazione interessa soprattutto come rito, a me interessano tutti i riti, prima li leggo sui libri e poi mi viene voglia di parteciparci di persona. Una volta ci sono venuto e sono stato acchiappato anch’io da questa rete e da allora vengo anch’io tutti i lunedì. All’inizio era solo la necessità di chiedere se potevo fare un programma, ora è il luogo in cui si misura la temperatura della radio, gli scazzi, i problemi, le energie. Ho cominciato come uditore, poi ho iniziato a fare delle proposte come le cassette autoprodotte, i video dei concerti. Mi sono appassionato alle discussioni sui problemi economici e politici, anche se sono individuo e non sono schierato con nessun ambiente, perché a questo serve la redazione e allora l’ho trovata stimolante. Perché la radio non è solo la radio, è gente che appartiene anche ad altre esperienze e le porta in radio. Per quanto sia un amante delle cose caotiche, non sono d’accordo che un programma venga messo dove capita. Non potrei fare il mio programma al pomeriggio, non avrebbe senso mettere suoni notturni al pomeriggio. Capita invece di sentire programmi grid-metal alle due del pomeriggio.

MARINA: Io non partecipo alla redazione perché penso che in una radio libera la redazione non deve essere il centro dove si decide tutto. È giusto che esista, soprattutto per le questioni organizzative, però è anche vero che ci sono altri ambiti all’interno della radio dove nascono nuovi progetti per la programmazione ma anche per gli argomenti, per il confronto tra le persone. Non vado in redazione anche perché non sopporto i giochi politici di varie parti. Partecipo a Radio Black Out proprio perché al suo interno ci sono diverse realtà del cosiddetto movimento. Quando invece diventerà, mi auguro che non lo diventi mai, una radio che esprime solo una parte del movimento, a me non interesserà più.

RADIO BLACK OUT: Siamo arrivati alle esigenze economiche della radio, alle bollette, alle tasse, che la redazione ha finora risolto soprattutto con i concerti, l’anno scorso con una festa di 4 giorni. Cosa ne pensate?

CRISTIAN: Organizzare le serate per tirare su i soldi per me è il paradosso della radio, che è nata per fare le cose per piacere. Ma purtroppo poi nel corso degli anni si rivela un buco nero che fagocita milioni e milioni e allora il piacere di trasmettere non diventa il piacere di organizzare i concerti. Devi dipendere dal successo economico della serata, purtroppo altre alternative non se ne vedono, che non sia diventare una radio commerciale e io non ci starei più. Ma io preferisco mettere le 10.000 lire che stare in paranoia la sera a contare i soldi alla porta del concerto perché se non si raggiunge la somma che bisogna dare ai gruppi musicali e avere un guadagno il mese dopo siamo da capo. Uno dei meriti maggiori su cui la radio dovrebbe muoversi è quello di dare possibilità ai gruppetti sconosciuti, quelli che non vengono cagati da Hiroshima Mon Amour; dovrebbero potersi esibire, mandare idee. Purtroppo il percorso della radio l’ha sempre più allontanata dal rapporto con i gruppi piccoli, con i posti occupati. La soluzione di compromesso dell’anno scorso, l’evento gigantesco di dumila o tremila persone concentrate in pochi giorni, si è rivelata la scelta perdente perché ha scollegato un po’ la radio dal terreno dove doveva continuare a muoversi.

GIAMPO: Io penso che se tutti mettono 10.000 lire a testa o anche 50.000 lire non serve a un cazzo. La festa della radio dell’anno scorso non è stata una cosa negativissima, bene o male c’eravamo tutti coinvolti. È chiaro, i soldi ci vogliono, o hai lo sponsor che dice “Che simpatici questi di Radio Black Out” e ti para il culo oppure organizzi la festa, che può sembrare commerciale ma non lo è, perché tu nella festa dici comunque quello che vuoi dire.

CRISTIAN: Anch’io mi sono divertito a partecipare alla festa. Ma in prospettiva, pensandoci adesso, vedo che la festa ha permesso alla radio di vivere ancora qualche mese ma ha tagliato quella che era la sua base. Allora, se 4 giorni ti portano 30 milioni, perché non pensare a un giorno solo con un gruppo che tira 5.000 persone, il mega-concerto, e la risolvo così?

BOBO: Ma tu devi fare i conti con la realtà, la radio deve sopravvivere...

CRISTIAN: Non è obbligatorio che la radio sopravviva, deve sopravvivere finché ha senso che esista, nel solco in cui è stata creata. Quando il disco comincia a saltare vuol dire che è rotto, non avrà senso continuare, nessuno ne morirà. Le energie, le persone che ci sono, si spera che abbiano avuto un significato e che nascano nuove esperienze.

GIAMPO: Ma poi la festa ha attirato gente che magari nemmeno conosceva la radio e ora la conosce, ha visto sui banchetti cose che non aveva mai visto. Alla fine siamo qui che dobbiamo pagare le bollette, dobbiamo pagare l’affitto, per questo ci vogliono questi merdosi soldi e in qualche modo li devi tirare fuori, e allora con mezzi diversi porti avanti la tua radio. Io la vedo così.

CRISTIAN: Io sono molto favorevole a non fare solo i concerti nei posti occupati, dove viene solo un pubblico limitato, sono d’accordo che aprirsi all’esterno ha permesso di entrare in contatto con molte più persone. Ma nella grande festa quanti sono venuti perché sensibili alla radio e quanti solo per lo spettacolo? È l’ottica di trovare la cosa che tira, che fa venire la gente.

TRISTAN: Be’... su cento persone, magari a novanta non gliene frega niente della radio e dieci invece si incuriosiscono e decidono di ascoltarla... E poi quando qualcuno ha proposto Jovanotti si è scatenato un putiferio, il che significa che un limite c’è. C’è ancora una differenza tra Jovanotti e i Massimo Volume.

GIAMPO: Ma io apprezzo di più un gruppo come gli Hawkwind, che suonano per lavoro nel locale con l’ingresso a 30.000 lire ma che la settimana dopo suonano gratis nel posto occupato dove hanno bisogno di soldi, che i Massimo Volume che fanno i discorsoni e poi si vanno ad attaccare all’etichetta. Altrimenti dici tanto di far capire ma non fai capire un cazzo, in tutti questi anni io ho notato che è un circolo chiuso, non la vedo come si sente in radio. Alla fine in questi concerti vedi sempre le stesse persone, tu dai un messaggio solo a determinate persone, comunicazione zero. Per quanto tu sia ribelle qualche compromesso c’è sempre, a meno che non metti su il traliccio e la batteria, fai la radio pirata e ogni tanto disturbi i programmi degli altri, e anche per quello ci vogliono soldi.

RADIO BLACK OUT: Dalle attività di finanziamento torniamo alla programmazione della radio, quella che fate voi e anche quella che sentite fatta dagli altri deejay. Dopo tre anni cosa ne pensate?

BOBO: Potrebbe andare meglio, ma certo è ancora unica. Per esperienza personale in altre radio ti trovi inserito in un meccanismo, ti chiedono di essere professionale, mentre qui ognuno esprime ciò che ha, ciò che vuole.

RADIO BLACK OUT: Ma a questo non porta a quello che diceva Giampo, che alla fine ti ascoltano sempre le stesse poche persone?

BOBO: No, perché le cose che piacciono a te piacciono anche a tante altre persone, e poi siamo un mucchio a trasmettere con stili diversi e generi diversi.

CLARA: È però vero che molte volte si parla in gergo, non come scelta ma perché non c’è coscienza di quello che si fa. Chi fa programmi particolari può decidere che non gliene importa degli ascoltatori, ma è assurdo che, ad esempio, nei programmi informativi si dicano le iniziative senza poi dare gli indirizzi dei posti dove le iniziative si fanno. Sottende l’idea che chi ascolta la radio lo sappia già, che sia uno del ‘giro’, si danno troppe cose per scontate.

CRISTIAN: Caso mai dovrebbero essere i posti che dovrebbero preoccuparsi di fare conoscere cosa sono e cosa fanno a chi ancora non lo sa, per questo nel palinsesto ci sono gli spazi autogestiti. Io non posso fare l’esperto che spiega cos’è El Paso, quello che dici è vero ma è un limite dei posti, non della radio.

CLARA: Non devi fare l’esperto, è una semplice questione di comunicazione. Un’altra cosa importante sarebbe dire ogni giorno che programmi ci sono nel corso della giornata. Altrimenti ti rivolgi solo a chi tiene la radio sempre accesa come sottofondo. Non vedo perché, come si annunciano le iniziative della città, non si possa annunciare un bel programma, dovrebbe avere lo stesso valore di un concerto.

TRISTAN: C’è di sicuro un livello di professionalità che non è negativo di per sé. C’è un sacco di radio che, anche se chi parla dice idiozie e mette un disco che io odio, riesce a catturare l’ascoltatore. Esiste un modo di lavorare professionalmente per fare passare contenuti stranissimi, musica stranissima e fare una radio stranissima, com’è adesso, ma più ascoltabile.

PAOLO: Sono d’accordo che bisogna dare la qualità migliore che uno riesce a dare, ma se ti preoccupi troppo di queste cose finisci con il far parlare solo chi ha la bella voce e mettere solo cose che possono interessare l’ascoltatore casuale, e questo impoverisce.

CRISTIAN: Il problema della forma è un problema vero. Come cerchiamo di avere gli strumenti più adeguati, di conoscere le novità quando escono, allo stesso modo dovremmo appropriarci di forme più classiche di trasmissione. A volte sembra che certe cose, siccome le sanno fare bene gli altri, diventano un tabù per noi. Chi mette il pezzo punk rock o il pezzo scatenato, sa che chi lo ascolta è una determinata fascia, è una musica che la radio rivendica come sua, anche se Radio Flash magari mette pezzi simili, ma se Radio Flash mette i Fugazi è un’altra cosa. Un deejay che mette musica jazz sa che alla manopola della radio c’è uno che non è amante dei suoni più estremi, ma sa cos’è Radio Black Out.

FRANCESCA: Credo che a nessuno di noi interessi il numero degli ascoltatori, ma resta il fatto che se tu trasmetti lo fai per un motivo, a meno che non sia solo per una forma di egocentrismo. Se ti interessa che la gente ascolti quello che hai da dire, bisogna cercare un modo di migliorarlo senza per questo diventare professionali. Quindi è giusto che ci sia una redazione per i problemi pratici, ma sarebbe giusto che ci fosse anche una redazione relativa ai programmi.

MARINA: In tre anni molti che hanno cominciato qui sono migliorati moltissimo dal punto di vista tecnico. L’unica cosa che mi dispiace ancora tanto è che molti considerano Radio Black Out ‘radio svacco’, nel senso che sono poco rigorosi, si permettono di dire tutto quello che gli passa in mente, se ne fregano di fare un programma che sia ben fatto. Uno può esprimere tutte le opinioni che vuole, ma in una forma che sia radiofonica e che abbia un senso dal punto di vista del contenuto. Invece molti con il brutto alibi che non vengono pagati se la prendono comoda, saltano due o tre trasmissioni, e questo l’ho sempre detestato. Proprio perché è una radio libera, proprio perché è autofinanziata, proprio perché è impostata politicamente in un certo modo, bisogna farla in modo assolutamente più rigoroso.


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